Il letargo è finito per gli account fake, che dopo il lavorìo per il referendum costituzionale di dicembre 2016, sono di nuovo scesi in campo. A lanciare l’allarme è l’agenzia Bloomberg che scrive: “Account fake su Twitter e Facebook sono di nuovo attivi in Rete, dopo il referendum costituzionale, per influenzare questa volta il voto del 4 marzo a favore dei populisti”. E cita il caso ‘Un fantastico Matteo Salvini su La7! Sei d’accordo?’, un tweet identico inviato alla stessa ora del 24 gennaio scorso da innumerevoli bot (vedi screenshot di seguito), “più di 150” ne ha smascherati David Puente, l’informatico che con proprio tool ogni giorno va a caccia sui social di “bufale e del mondo che c’è dietro”, questa è la sua bio su Twitter. “Monitorare gli account di tutti i candidati è un dovere civico per me”, ha detto Puente, 35 anni, a Bloomberg.
Bloomber ha chiesto un commento all’ufficio stampa di Salvini, ma non è stata rilasciata nessuna dichiarazione.
‘La campagna elettorale italiana nel mirino degli hacker russi’
“L’uso di bot non è illegale, ma possono avere un reale effetto sulle intenzioni degli elettori”, secondo Maks Czuperski, direttore del laboratorio Atlantic Council che fa parte di una squadra che si recherà qui in Italia la settimana prossima per monitorare l’attività di internet fino al voto. “Stiamo rilevando un tentativo di divulgazione di account fake dalle parti più estreme, sia di destra che di sinistra”, ha affermato.
Il rapporto del Senato degli Stati Uniti lo scorso mese ha evidenziato che l’Italia è un potenziale bersaglio per il Cremlino, i cui hacker si sono già dati da fare per influenzare le presidenziali Usa del 2016, le recenti elezioni in Germania e la lotta catalana per l’indipendenza da Madrid.
“Le elezioni italiane sono cruciali per la Russia”, ha dichiarato Michael Carpenter, ex vice segretario alla Difesa degli Stati Uniti, ora direttore del Penn Bider Center for Diplomacy. L’uso di bot, che per una stima rappresenta il 15% dei circa 330 milioni di utenti di Twitter, è stato determinante nell’elezione di Donald Trump. Secondo i risultati della University of Southern California, i tweet automatizzati hanno rappresentato il 19% dei tweet elettorali che hanno portato alla sua vittoria del 2016 .
Anche milioni di italiani sono preoccupati di cadere nelle bufale online. Un sondaggio pubblicato dal quotidiano La Stampa il 5 febbraio ha rilevato che circa l’80% degli intervistati ritiene che account fake abbiano il potere di far oscillare il voto. Circa la metà ha dichiarato di essere stata ingannata da notizie false negli ultimi 12 mesi.
Grave l’assenza di una par condicio 2.0
Si sa che Facebook ha iniziato un’attività di fact-checking che verificherà se le notizie condivise dagli iscritti sulla piattaforma siano vere o false. Funziona così: se un post contiene un link a una possibile notizia falsa, chiunque potrà segnalarlo a Facebook, che avvierà un processo di controllo affidato a un soggetto terzo, ossia a Pagella Politica, sito specializzato nel verificare la veridicità delle dichiarazioni dei politici e che ha stipulato con Facebook un accordo commerciale, lo sottolinea bene quest’articolo di Valigia Blu.
Però con quest’accordo sarà impossibile fare piazza pulita delle bufale su Facebook, come ha spiegato a la Repubblica Giovanni Zagni di Pagella Politica, che guiderà un team di 5 persone affiancato da alcuni collaboratori: “ci occuperemo solo di bufale evidenti e sempre relative a link esterni. Dal fact-checking sono esclusi gli status, le foto e i video caricati direttamente su Facebook”. Saranno sottoposti a verifica, dunque, esclusivamente gli articoli condivisi sulla piattaforma e non quindi i contenuti più condivisibili che spesso diventano virali: come i meme, le immagini con scritte con cui si veicola maggiormente le fake news.
Si sa anche che in vista delle elezioni politiche il ministro dell’Interno Minniti ha affidato il ‘pulsante rosso’ per riconoscere le fake news alla Polizia Postale. Gli utenti segnalano l’eventuale bufala online e, se certificata tale, viene comunicata sui canali social della Polizia.
Sia quella di Facebook sia quella della Polizia Postale sono buone iniziative, ma sono gocce nell’oceano. Il problema delle bufale online e degli account fake si potrebbe risolvere aggiornando la legge sulla par condicio (la numero 28 del 2000) che detta disposizioni specifiche per l’accesso al mezzo radiotelevisivo al fine di garantire la parità di accesso a tutti i soggetti politici. La norma è anacronistica per la società di oggi fortemente caratterizzata dai social network, mezzi non considerati dalla legge perché nel 2000 non ancora esistenti. Così a causa del vuoto legislativo la Rete e in particolare i social sono l’arena ideale della comunicazione politica fatta di fake news e a suon di bot. Questo luogo reale, ma anarchico, necessità urgentemente di regole per il bene della democrazia.
L’Agcom ha capito il grave problema e in attesa dell’intervento del Parlamento ha stilato una sorta di ‘par condicio per i social’, ossia sei linee guida soprattutto rivolte a Facebook e Google.
- Parità di accesso
- Non post ‘sponsorizzati’, ma ‘messaggio elettrorale’
- Contenuti illeciti e contenuti la cui diffusione è vietata dalla legge (sondaggi)
- Divieto di fare campagna elettorale con i social istituzionali
- Silenzio elettorale sui social nei 2 giorni prima del voto
- Raccomandazione sul Fact-checking
Purtroppo sono solo linee guida “che sarebbe auspicabile rispettare durante la campagna elettorale fino al 4 marzo”, si augura l’Agcom.
Dunque non c’è l’obbligo. E così senza nuove leggi e regole per i social network la campagna elettorale sta finendo, pochi puntano l’attenzione sui pericoli di bot e fake news.
Molto probabilmente dopo il 4 marzo saranno chiamati in causa dai perdenti. Ma sarà troppo tardi.