‘AdGate’. La guerra di Free alla pubblicità online riapre il dibattito sugli accordi tra Telco e OTT

di Alessandra Talarico |

L’obiettivo di Free è di obbligare Google a pagare per trasmettere i contenuti video di YouTube: il servizio di video sharing continua e crescere e non è più possibile che Google continui a guadagnare senza siglare un contratto di interconnessione.

Francia


Xavier Niel

L’operatore francese Free, salito alla ribalta per il ‘terremoto’ causato nel settore mobile d’oltralpe (Leggi articolo Key4biz), ne ha fatto un’altra delle sue, scatenando quello che è già stato ribattezzato dalla stampa ‘AdGate’, lo ‘scandalo della pubblicità’.

I fatti: giovedì sera, l’ISP guidato da Xavier Niel – che conta 5,2 milioni di utenti – ha annunciato di aver installato un blocco di default dei banner pubblicitari su internet. Una mossa che, anche se parzialmente ridimensionata (il sistema di blocco dovrebbe essere ritirato oggi o nei prossimi giorni), non ha mancato di creare scompiglio, tanto che oggi il ministro delegato all’economia digitale Fleur Pellerin nel corso di una conferenza stampa seguita all’incontro con i rappresentanti degli editori di servizi online e delle agenzie pubblicitarie, ha chiesto a Free di rimuovere il blocco, indicando che la maniera di procedere dell’ISP “non è accettabile”.

Il ministro – che ha ricevuto sempre stamani il direttore generale di Iliad, Maxime Lombardini – ha sottolineato che gli editori di contenuti hanno fatto presente che “il blocco indiscriminato della pubblicità su internet avrebbe pesanti ripercussioni sull’economia globale del settore digitale e sui modelli economici”.

 

Pur dicendosi contraria (su Twitter) alla pubblicità ‘invasiva’, il ministro si è detto dispiaciuto che questo incidente abbia potuto contribuire a “stigmatizzare la pubblicità”, che rappresenta un importante modello di business per diversi siti.

In più, dal punto di vista politico, questo blocco “non è compatibile con la mia visione di un internet libero e aperto”.

 

Sabato, in un’intervista al quotidiano Le Figaro, Pellerin aveva invece espresso ‘simpatia’ per la posizione di Free: “Ci sono oggi problemi reali relativi alla condivisione del valore tra i content provider – principalmente di contenuti video che consumano molta banda – e gli operatori”, ha spiegato il ministro, aggiungendo che “…in Francia e in Europa dobbiamo trovare metodi più consensuali per integrare i giganti di internet negli ecosistemi nazionali”.

 

La decisione, in effetti, al di là della messa in discussione di alcuni modelli economici crea un rischio di non poco conto, soprattutto per un operatore che – oltre a guadagnare esso stesso dalla pubblicità – si è sempre rifiutato di filtrare i contenuti a priori, senza la richiesta di un giudice. Proprio per questo, Free ha rassicurato il governo sul fatto che l’applicazione sarà ritirata.

 

Stando ai bene informati, tuttavia, l’obiettivo di Free non è tanto di dichiarare guerra alla pubblicità online quanto di obbligare Google a pagare per trasmettere i contenuti video di YouTube: il servizio di video sharing continua e crescere e, secondo Niel e il suo vice Rani Assaf, non è più possibile che Google continui a guadagnare senza siglare un contratto di interconnessione con Free. È questo, a giudizio dei vertici di Free – e di tutte le telco europee, in verità – l’unico modo per continuare a garantire una vera qualità del servizio agli utenti internet.

Di fronte a questa prospettiva – visti anche gli esiti dell’ultima conferenza mondiale sulle telecomunicazioni (WCIT12) – Google continua a fare orecchie da mercante: il modello economico degli OTT, infatti, si basa proprio sull’interconnessione gratuita con gli operatori ma Google sa anche bene che alla luce delle forti pressioni delle telco le cose potrebbero presto cambiare.

 

Nel suo rapporto annuale, il gruppo di Mountain View evoca la possibilità di un calo dei ricavi e della crescita dovuto proprio alle misure che alcuni ISP hanno preso o potrebbero prendere e che potrebbero “accrescere i costi dell’accesso degli utenti ad alcuni nostri prodotti restringendo o impedendo l’utilizzo delle loro infrastrutture o facendoci pagare un prezzo più alto per fornire le nostre offerte”.

 

Il dibattito, comunque, non è ristretto ai soli player del settore: il governo francese, da tempo in prima linea per chiedere maggiore trasparenza sulle pratiche di ottimizzazione fiscale delle web company, ha organizzato per il 15 gennaio una tavola rotonda sulla neutralità di internet nell’ambito della quale certamente si parlerà del sempre più teso rapporto tra le telco e gli OTT.

Si attende inoltre di conoscere il risultato di un’inchiesta del regolatore (Arcep) che ha scandagliato le relazioni economiche tra Google e Free e le ragioni del blocco adottato da quest’ultimo.

Gli osservatori sottolineano che l’Arcep probabilmente non si opporrà a un accordo tra Free e Google volto a migliorare la qualità del servizio. Una possibilità, questa, che è stata il cavallo di battaglia dell’associazione ETNO a Dubai e che comincia, dunque a essere considerata uno strumento importante a sostegno della crescita equa e sostenibile del web.

 

E, anche se Google si è tenuto finora ai margini del dibattito sulla decisione di Free, non è mancata la reazione dei piccoli operatori, il cui business, come quello di Mountain View, è quasi interamente basato sulla pubblicità: “Nessun fornitore di accesso ha il diritto di decidere al posto dei cittadini quello a cui possono o non possono accedere”, ha sottolineato in una nota l’associazione degli editori di news online Spill.

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