Questa mattina a Montecitorio, in un’affollata Sala della Regina la Presidente della Camera Laura Boldrini ha presentato la “Relazione finale” della Commissione “Jo Cox” (la parlamentare britannica laburista europeista uccisa da un pazzo estremista filonazista nel giugno dell’anno scorso), Commissione di studio sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, istituita il 10 maggio 2016.
In calce, in anteprima su Key4biz, i Pdf integrali della Relazione finale della Commissione Cox e della connessa Infografica di sintesi “La piramide dell’odio in Italia”.
I risultati documentativi sono certamente interessanti e l’iniziativa politica è senza dubbio stimolante, ma riteniamo si potesse fare di più e di meglio, a fronte dell’altissimo livello istituzionale della promotrice (terza carica dello Stato), e della gravità quali-quantitativa dei fenomeni affrontati. La Commissione ha lavorato peraltro per 14 mesi.
La Commissione è stata presieduta dalla Presidente della Camera e, sul modello della “commissione mista” (parlamentari + esperti + società civile) già sperimentato per la Commissione di Studio sui Diritti e i Doveri dei Cittadini in Internet (nota anche come “Commissione Rodotà”, dal nome del coordinatore, il compianto Stefano Rodotà), ha incluso un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di associazioni nonché esperti (ma non è stato coinvolto nessun istituto di ricerca). Se i deputati sono designati dai gruppi rappresentati in Parlamento, gli altri componenti “extra-parlamentari” sono scelti dalla Presidente discrezionalmente. E, nel caso in ispecie, è stupefacente osservare come non sia stato coinvolto un mediologo uno, allorquando il problema essenziale – come si ha conferma anche dalla Relazione della “Commissione Cox” – è proprio il divario estremo esistente tra realtà dei fenomeni e rappresentazione mediatica degli stessi. Senza nulla togliere ovviamente al ruolo che nella Commissione ha svolto il compianto linguista Tullio De Mauro: un intero capitolo della “Relazione” è stato redatto da lui, in una sorta di “glossario” delle parole d’odio (si tratta del capitolo II, intitolato “Parole per ferire”).
La Commissione ha promosso ben 31 audizioni ed ha acquisito 187 documenti, ed ha alla fin fine prodotto un rapporto di 130 pagine ed un fascicolo “riassuntivo” di una decina di pagine che, attraverso agevoli infografiche in bella quadricromia (ma con un qualche deficit di accuratezza nella citazione delle varie fonti), intende sintetizzare i dati essenziali di quella che è stata definita “La piramide dell’odio in Italia”.
Una premessa essenziale, prima delle critiche che andremo a rappresentare: l’iniziativa è assolutamente commendevole, perché ha comunque avuto il merito di mettere il dito in una piaga (e finanche in una piega nascosta) del discorso pubblico in Italia, evidenziando la necessità di porre la questione tra le più importanti nell’agenda politica nazionale. Si deve superare la banalizzazione corrente e la metabolizzazione passiva del linguaggio ostile, che spesso viene invece purtroppo dato per scontato e “normale”: sacrosanto intendimento.
Per ora, la Commissione ha prodotto un ricco dataset ed una quantità notevole di “raccomandazioni”, che temiamo, in assenza di un intervento normativo, possano però purtroppo restare allo stadio delle buone intenzioni. La stessa Presidente Laura Boldrini ha comunque prospettato che il risultato raggiunto dalla Commissione possa divenire almeno una “mozione” parlamentare (che è comunque poca cosa, rispetto alla gravità del problema: serve una legge): “Tutto questo diventerà una mozione? Non lo so, mi auguro di sì – si è domandata retoricamente –. Con la Dichiarazione dei Diritti in Internet ci siamo riusciti, è diventata una mozione approvata all’unanimità in questa Camera. Mi auguro che anche su questo importante tema si possa raggiungere non dico l’unanimità, ma un’ampia maggioranza sulla mozione che presenteremo, mi auguro, a settembre”. Ci auguriamo che l’auspicio della Presidente si tramuti in atto formale, anche se temiamo che l’unanimità sarà impossibile, considerando le posizioni ostili (appunto…) che su queste tematiche delicate ha un partito come la Lega Nord (sarebbe interessante conoscere la posizione della parlamentare Giuseppina Castiello, che la rappresentava nella Commissione Cox…).
Procediamo con ordine: la ricerca e le raccomandazioni, “plus” e “minus” dell’uno e delle altre.
Il rapporto finale della Commissione Cox si pone come testo di sintesi rispetto alle tematiche affrontate, ma pecca di un evidente deficit… bibliografico. Il rapporto non riporta alcuna bibliografia (appunto), ed i 187 documenti acquisiti non sono nemmeno elencati, così come non è nemmeno riportato l’elenco di coloro che sono stati ascoltati durante le 31 audizioni. Perché questi deficit informativo-documentativi?!
In particolare, sono sconcertanti due note a piè di pagina (la numero 75 a pagina 112 e la successiva 76 a pagina 113 della “Relazione Finale”): in entrambe vengono citate due fonti, ma si precisa “non è stato possibile reperire il rapporto” (!), ed i dati riportati sono tratti da comunicati stampa ed articoli giornalistici. Sarà anche soltanto una… buccia di banana (due, in verità, ed altre ce ne sono, però non vogliamo infierire, assurgendo a saccenti maestri di metodologia), ma non è accettabile che un rapporto di studio serio, su tematiche importanti di questo tipo, prenda per buona una versione giornalistica, senza andare in profondità a verificare la qualità del dato e la attendibilità della fonte. Un paradosso, per chi teorizza la massima qualità delle informazioni e la responsabilità editoriale delle fonti! Non basta produrre ed acquisire “i dati”: la validazione dei dati non è meno importante dei dati stessi.
E che dire della prevalenza di utilizzazione della fonte Istat?! Nessuno contesta che si tratti della maggiore fonte di informazioni statistiche del Paese, e non a caso un ruolo determinante, nell’impostazione del rapporto, l’ha svolto la sociologa (non mediologa) Chiara Saraceno, che sembra essersi riferita ai dati dell’Istituto Nazionale di Statistica come se fosse la Bibbia. Il che non è. Infatti si tratta di quella stessa Istat che, su molte delle tematiche affrontate dal rapporto, evidenzia deficit di indagine e ritardi: basti osservare che l’ultima indagine su “Discriminazioni in base al genere, all’orientamento sessuale e all’appartenenza etnica” (a cui il rapporto attinge a piene mani) risale all’anno 2011 (!), e basti notare come si legga nel rapporto (pag. 105), in relazione alle persone con disabilità: “in particolare in Italia i dati di fonte amministrativa non permettono nemmeno di conoscere una cifra univoca delle persone cui finora è stata riconosciuta la condizione di gravità in base al corpus delle norme esistenti”. E l’Istat cosa fa, assiste passivamente?! Suvvia: non risulta che l’Istat si sia proprio data granché da fare, negli ultimi anni, su queste tematiche, almeno a livello di rapporti di ricerca resi di pubblico dominio.
Quel che preoccupa è che la Relazione propone un approccio più quantitativo che qualitativo, e con dati che sono incompleti, frammentari, metodologicamente disomogenei, e finanche poco aggiornati: alla faccia del più accurato “fact checking” tanto auspicato dai promotori, ed in primis dalla Presidente Boldrini.
In sostanza, la Commissione ha prodotto un repertorio di fonti statistiche e demoscopiche, citando indagini variegate di differente tipologia, senza una minima validazione delle metodiche utilizzate, ed in totale assenza di una lettura critica organica.
Il rapporto finale evidenzia a chiare lettere deficit cognitivi estremi, se è vero che come fonte di analisi sulle “comunicazioni via Twitter” (sic) è citato soltanto Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti.
D’altronde, con onestà, a pagina 19 del Rapporto finale si legge: “la mancanza o la scarsità di dati certi, omogenei e pubblici sul fenomeno del discorso dell’odio è una grave lacuna molto diffusa”. E forse la Commissione, su questo specifico argomento, avrebbe potuto / dovuto scavare più approfonditamente, scandagliare meglio la letteratura scientifica esistente, magari promuovere essa stessa un’indagine conoscitiva, per addivenire a risultati meno fragili e frammentari.
Comunque, si tratta di un documento che è certamente utile, anche soltanto come repertorio di fonti, pur segnalando che molte sono state ignorate: basti notare che non sono nemmeno citati gli studi realizzati dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas sulle tematiche dell’immigrazione e dell’emarginazione, e nemmeno un prezioso testo di riferimento qual è l’“Atlante dell’infanzia a rischio” promosso da Save the Children ed Enciclopedia Treccani…
E che dire della assenza, incredibilmente totale, di dati sul monitoraggio dei media, nel “Rapporto finale” della Commissione Cox?! Non sono forse anch’essi una concausa di una distorsione del discorso pubblico?! Ma l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) non ha nulla da sostenere, su queste tematiche?! E la Rai, che pure notoriamente dedica risorse non indifferenti per misurare il livello “qualitativo” della propria offerta, informativa e non, “pluralismo” e non pluralismo incluso?! Si legge soltanto a pag. 61 un cenno sulle rilevazioni dell’Osservatorio di Pavia, in materia di “sessismo nei media”. Da non crederci. Silenzio totale, anzi tombale, su tutto il resto.
Alcuni dati evidenziati da Boldrini sono inquietanti, ma, per quanto verosimili, si nutre un qualche dubbio sulle metodologie con cui questi dati sono stati elaborati: “Colpisce che un cittadino su quattro consideri l’omosessualità una malattia. Colpisce che l’Italia sia il Paese europeo con il massimo tasso di non conoscenza dei fenomeni migratori, il massimo tasso di ignoranza: eppure avremmo buone ragioni per conoscerlo. La maggioranza degli italiani pensa infatti che gli immigrati residenti sul suolo italiano siano il 30 % della popolazione, anziché l’8 % effettivo, e che i musulmani siano il 20 %, quando sono il 4 %. Colpisce che il 65 % degli italiani (contro il 21 % dei tedeschi) consideri i rifugiati un peso perché godono di alcuni benefit, secondo loro, mentre si ignora il contributo positivo che invece danno in termini di saldi fiscali e contributivi… Colpisce anche che un quarto della popolazione creda che i rom, sinti e caminanti siano in Italia tra uno e due milioni, anziché tra 120 e 180mila, di cui metà italiani”. Secondo la Presidente “fa impressione questo scarto, questa clamorosa divaricazione tra i numeri e la realtà percepita”. La Presidente ha messo nello stesso calderone più dati e più fonti: l’effetto è esplosivo, ma anche un po’ confuso. Le scienze sociali insegnano che spesso le risposte ad un’indagine demoscopica dipendono anche dall’impostazione della domanda… E qui le fonti son tante e variegate.
Le raccomandazioni della Commissione per prevenire e contrastare l’odio sono veramente… tante, ben 56 (“forse troppe”, lo ha riconosciuto anche Chiara Saraceno nel suo intervento), in 6 aree di possibile azione: A. “azioni orizzontali”, B. “migliorare la raccolta dati e la conoscenza fenomeni”, C. “interventi a livello normativo”, D. “azioni a livello politico-istituzionale”, E. “azioni di carattere culturale/educativo”, F. “azioni relative ai media”. Nel fascicolo “La piramide dell’odio in Italia” sono ridotte a 15. Boldrini ha sostenuto che si tratta di “56 raccomandazioni concrete e puntuali. Raccomandiamo la raccolta dei dati. I dati sono essenziali per evidenziare il tema e mettere in atto efficaci politiche di contrasto. Invitiamo anche i media a fare una riflessione su questo, su una percezione così diversa dalla realtà, perché le informazioni passano a volte, non sempre, attraverso i media. Bisogna contrastare gli stereotipi, non assecondarli. Ci occupiamo anche dell’odio in rete. Non può essere una condizione che dobbiamo accettare. L’odio in rete deve essere contrastato, e nella nostra relazione noi indichiamo alcune possibilità…”. Resta il fatto che 56 raccomandazioni sono veramente troppe.
Tra le raccomandazioni, ci sembra comunque molto importante segnalare “la possibilità di esigere l’autoregolazione delle piattaforme, al fine di rimuovere l’hate speech online”, così come “stabilire la responsabilità giuridica solidale dei provider e delle piattaforme di social network e obbligarli a rimuovere con la massima tempestività i contenuti segnalati come lesivi da parte degli utenti”. Se già soltanto questi due meccanismi venissero introdotti, con precise norme di legge piuttosto che con comode autoregolamentazioni, il salto di qualità sarebbe eccezionale, a fronte della disastrata situazione italiana.
Dopo l’intervento introduttivo di Boldrini, è seguito quello della già citata sociologa Chiara Saraceno, della deputata Milena Santerini (attualmente iscritta al gruppo Democrazia Solidale- Centro Democratico, già a Scelta Civica), della “testimonial” contro il bullismo Flavia Rizza, ed un videomessaggio di Bebe Vio, campionessa para-olimpica di scherma. Toccante veramente l’intervento della giovane Flavia Rizza, protagonista di una campagna di sensibilizzazione promossa dalla Polizia di Stato. A seguire, una tavola rotonda – moderata da Giovanni Anversa, giornalista di Rai3 – con la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, i direttori de “La Repubblica”, Mario Calabresi, e di Rai News, Antonio Di Bella, la consigliera di amministrazione Mediaset, Gina Nieri, la Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Paola Spadari, il giornalista del “Corriere della Sera”, Gian Antonio Stella.
Il direttore di “Repubblica” Mario Calabresi ha segnalato come il proprio giornale abbia dovuto attrezzarsi con una particolare redazione, struttura ad hoc, formata da 6 persone, che ha il compito di “censurare” i commenti insultanti e incitanti all’odio che vengono postati, in relazione ad articoli del suo giornale, su Facebook. In sostanza, la testata giornalistica sta supplendo ad un ruolo che dovrebbe essere svolto – in sistema sano di ecologia dei media – dalla stessa Facebook. Ha anche lamentato di venir abitualmente insultato su Twitter, e di aver tante volte segnalato al “social network” l’esigenza di eliminare questi messaggi, senza aver mai ricevuto feedback di sorta.
Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, ha evidenziato l’asimmetria normativa che caratterizza i “broadcaster”, ed in generale i “vecchi” media, rispetto ai “social network”: i primi sono soggetti ad una architettura complessa di regole (ed obblighi), e possono garantire la responsabilità editoriale dei contenuti offerti, mentre gli “over-the-top” sono totalmente sregolati, liberi di proporre qualsiasi contenuto in regime di totale deresponsabilizzazione. Il problema è quindi “normativo”, ma anche “culturale”. Nieri ha segnalato che soltanto da qualche tempo sembra intravvedersi il superamento di una sorta di diffusa “sudditanza psicologica” verso internet, che si registra ancora a livello di Commissione Europea, anche in relazione alle direttive che sono in gestazione su materie afferenti (servizi audiovisivi e diritto d’autore). Sembra quasi che “chi tocca internet, muore”, ovvero viene meccanicamente additato come repressore e censore, liberticida, killer di libertà. Questa dinamica produce e produrrà – sostiene Nieri – “conseguenze pazzesche”, perché le risorse economiche del sistema si stanno spostando dai “media” ad “internet”, determinando la pauperizzazione progressiva del sistema mediale, con rischi concreti per la qualità dell’informazione e per la funzione di responsabilità editoriale che – nel bene e nel male – caratterizza “broadcaster” ed altri editori.
Tutti d’accordo nel rimarcare la gravità del problema e l’esigenza di interventi radicali, per evitare che l’assuefazione continua si trasformi in patologica normalizzazione di fenomeni che debbono essere invece oggetto di denuncia, contrasto e repressione.
La Presidente Laura Boldrini ha concluso auspicando che l’iniziativa odierna si ponga come “l’embrione di una grande alleanza contro la manipolazione”.
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- Clicca qui, per leggere l’intervento della Presidente Laura Boldrini, presentazione della Relazione Finale della Commissione “Cox”, Montecitorio, 20 luglio 2017
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