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Cominciano a circolare informazioni più dettagliate sulla montagna di denaro che Google traghetta alle Bermuda. Parliamo di 9 miliardi di dollari di revenue solo per il 2011. Fuori dagli Stati Uniti, la società non pagherebbe che il 3,2% delle imposte sul reddito, grazie al trasferimento del proprio fatturato in Irlanda, Paesi Bassi e Bermuda attraverso complesse procedure di profit-shifting che gli permettono di bypassare il fisco.
Le autorità tributarie francesi hanno aperto diversi fascicoli su Google, ma anche su altre multinazionali che usano gli stessi meccanismi di ottimizzazione, ‘assicurando’ i loro averi nei paradisi fiscali. Nel mirino del fisco sono finite anche Amazon, eBay, Apple e più recentemente Microsoft e LinkedIn (Leggi Articolo Key4biz).
Il governo sta studiano una legge che garantisca il pagamento delle imposte da parte di tutti, specie delle web company, ma soprattutto che sia adeguata all’era della digital economy (Leggi Articolo Key4biz).
Anche l’OCSE è la lavoro sul dossier multinazionali e paradisi fiscali (Leggi Articolo Key4biz). Argomento che sarà centrale pure per i lavori del G8, che sarà anche impegnato in un piano di lotta all’evasione fiscale.
La Gran Bretagna non è da meno. Una Commissione parlamentare ha avviato un’inchiesta e il premier David Cameron ha assicurato che interverrà tempestivamente, specie adesso che tocca alla Gran Bretagna la presidenza di turno del G8 (Leggi Articolo Key4biz).
Cameron ha già inviato una lettera a tutti i leader politici, invitandoli ad avviare un’azione congiunta contro le pratiche di ottimizzazione fiscale.
Documenti ufficiali indicano che nel 2011 Google ha ‘spedito’ 6,1 miliardi di sterline (9,2 miliardi di euro) nelle Bermuda, una somma che s’è raddoppiata in tre anni, permettendogli di ridurre della metà, 1,5 miliardi di dollari, le imposte a suo carico per l’anno in questione.
Per il Regno Unito, questo s’è tradotto in un importo di poco più di 9 milioni di dollari, mentre quasi 4 miliardi di dollari di fatturato evaporavano nelle Bermuda.
La tecnica usata è sempre la stessa, ovunque. Le divisioni locali fatturano servizi pubblicitari alla sede di Google Irlanda, che a sua volta paga le royalties a un’holding olandese che versa le sue tasse alle Bermuda.
Apple usa un meccanismo simile, ma alla fine della corsa troviamo le Isole Vergini, invece che le Bermuda.
Attraverso questa procedura sofisticata e complessa, spiega il Daily Mail, Google è riuscita a ridurre il suo tasso medio d’imposizione a livello mondiale, fuori dagli USA, al 3,2% nel 2012 anche se nei Paesi europei dov’è presente o dove svolge la maggior parte delle sue attività, il tasso d’imposizione varia tra il 26% e il 34%.