IoT (Internet of Things) è uno dei nuovi driver nell’ambito della rivoluzione legata all’Industry 4.0. Grazie alle nuove tecnologie (Intelligenza artificiale, Big data, 5G, ecc…) gli oggetti possono essere connessi con noi e fra loro. Secondo uno studio della Commissione europea, l’IoT raggiungerà nell’Ue a 28 Paesi un valore di base di 1,1 trilioni di euro nel 2020 e in Italia la crescita dei ricavi delle imprese sarà del 205%.
Concretamente ecco alcuni degli oggetti della vita di tutti i giorni, oggetti (e dispositivi) che saranno sempre più connessi:
- termostati;
- videocamere;
- rilevatori di luminosità;
- rivelatori di umidità;
- orologi;
- wearable (oggetti da indossare, come braccialetti connessi e orologi);
- sensori ambientali e territoriali.
Avremo quindi Smart Home con la possibilità di attivare il riscaldamento con lo smartphone non appena usciamo da lavoro oppure quando siamo al supermercato chiedere al nostro frigo cosa manca e quando scadono i prodotti, solo per fare due esempi.
Dunque tutti gli oggetti “intelligenti” sono coinvolti in questa rivoluzione dell’IoT, ma ecco l’altra faccia della medaglia: tanti oggetti connessi significa ancora più dati personali in Rete e dunque chi pensa all’Internet of identities? Chi pensa a come gestire e proteggere la nuova mole di dati? Questo è un aspetto da considerare sia da chi sviluppa oggetti smart sia da chi mette a disposizione le reti su cui viaggiano i dati degli utenti.
Ecco 3 raccomandazioni, indicate dal sito CSOonline:
- Accesso agli oggetti intelligenti con un’autentificazione “forte”, la più sicura possibile: ogni dispositivo IoT deve avere un’identità forte e unica basata su tecnologie biometriche, tecniche di impronte digitali o certificati digitali.
- L’aumento di lettori di impronte digitali sui telefoni.
- Una supervisione dei cloud delle identità. Gli Over the top insieme alle industrie dei diversi settori interessati dall’IoT dovrebbero dar vita a un ecosistema d’identità supervisionato.
Oltre alla protezione dei dati delle persone che accedono agli oggetti intelligenti c’è, infine, un’altra questione da risolvere: trovare la lingua comune per “far parlare” gli oggetti connessi, un esperanto dell’IoT. Per decidere tutto – dall’alfabeto alla grammatica – erano nate due associazioni: la Allseen Alliance e la Open Connectivity Foundation (Ocf). Entrambe avevano messo a punto due progetti per realizzare un linguaggio comune: IoTivity e AllJoyn. Poi si sono rese conto per tempo che andare avanti su strade separate avrebbe significato replicare la guerra Apple/Windows e iOs/Android e hanno deciso di fondersi. Ne è nato un colosso (sotto la guida dell’Open Connectivity Foundation) che conta centinaia di marchi: da Accenture a Lg; da Samsung a Microsoft. La lingua che ne verrà fuori dovrebbe essere la stessa se si tratta di una rete Wi-Fi domestica, di una connessione Bluetooth o di servizi cloud. Come per qualsiasi lingua, ci sono alcuni fondamentali che devono essere inclusi, come la grammatica per stabilire le regole che diano un senso alle cose. L’Ocf sta costruendo la grammatica che costituirà l’IoT, affinché gli oggetti connessi si parlino e si capiscano anche.