#cosedanoncredere: in Italia troppi paletti per la class action

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Massimiliano Dona

Rubrica settimanale #cosedanoncredere, curata da Massimiliano Dona, Segretario Generale Unione Nazionale Consumatori (www.consumatori.it), per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

 

Quando tre anni fa entrò in vigore la class action, spuntarono centinaia di moderni Robin Hood pronti a vendicare qualsiasi tipo di sopruso del mercato (o presunto tale), minacciando azioni contro banche, assicurazioni e multinazionali di ogni tipo. Noi abbiamo preferito lasciare ai nostri colleghi delle altre associazioni la soddisfazione di annunciare le prime denunce, preferendo studiare casi meno eclatanti, ma probabilmente con più alta potenzialità di riuscita; e così oggi, con orgoglio, proclamiamo piuttosto la prima sentenza di accoglimento di un’azione di classe, un risultato storico per il movimento consumerista italiano e per la nostra Unione che ha portato avanti il procedimento.

 

 Il Tribunale di Napoli ha, infatti, riconosciuto il danno da vacanza rovinata a un gruppo di turisti, seguiti dai nostri legali, che durante le festività di Natale del 2009 partirono per un viaggio da sogno a Zanzibar che in realtà si rivelò un vero incubo. All’arrivo nell’isola, i malcapitati scoprirono, che il lussuoso resort che avevano prenotato (e pagato profumatamente), era ancora in fase di costruzione e la sistemazione alternativa che il tour operator offrì era di classe decisamente inferiore a quanto pagato.

Nonostante questa vittoria, rimane la consapevolezza di alcuni limiti della procedura (e il fatto che la prima sentenza giunge dopo così tanto tempo dall’entrata in vigore è l’ennesima dimostrazione): non solo, infatti, l’azione non si è svolta nei tempi rapidi sperati, ma non tutti i consumatori coinvolti riceveranno il rimborso previsto, in quanto il giudice non ha ritenuto sussistente l’identità delle posizioni dei richiedenti.

 

Insomma, nonostante la class-action nasca per far fronte comune nei confronti di controparti tradizionalmente più forti riducendo i costi per i singoli, nel nostro Paese sembra sia stata introdotta da un legislatore tremante che ha posto una serie di paletti che ne hanno limitato l’efficacia.

 

Probabilmente il timore era che lasciando maggiore libertà a questo strumento si scatenasse uno tsunami di azioni collettive verso qualsiasi tipo di soggetto, anche senza le condizioni necessarie, ma in realtà, per sua stessa natura, la class-action è un mezzo di reazione e non di attacco al sistema economico: nulla più di un airbag che si attiva per evitare danni più grossi.

 

Oltreoceano dove la class-action è nata è tutta un’altra storia: altre leggi, altri giudici, altri avvocati. Non è sempre un mondo migliore, ma ci sono anche altri consumatori più consapevoli e battaglieri. Il problema al quale l’azione di classe cerca di ovviare è proprio l’asimmetria “processuale”, cioè il divario tra l’utilità della tutela individuale rispetto al costo che il consumatore si assume nel momento in cui decide di intraprendere un processo. La spesa per rivolgersi a un legale, la complessità della controversia per il giudice, la durata stessa del giudizio, sono fattori di rischio che ricadono interamente sul consumatore e che diventano ingiustificati ogni qualvolta si controverte per danni di modesta entità.

 

La conseguenza di tale scenario si concretizza in un atteggiamento fortemente remissivo da parte del singolo danneggiato il quale rinuncia, generalmente, all’azione. In questo “lasciar perdere” risiede il più appariscente vulnus nella concreta tutela del consumatore che ricade, più in generale, sull’efficienza stessa del mercato.

 

E’ da queste premesse che discende l’esigenza di introdurre strumenti di tutela collettiva che consentano di azionare, in un unico processo, le difese di interessi riconducibili ad una indefinita generalità di soggetti, anche in virtù della funzione di deterrenza che la minaccia dell’iniziativa collettiva è in grado di esercitare nel dissuadere i comportamenti delle imprese scorrette.

 

 

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