“Bloomberg”, Alitalia dovrebbe camminare sulle proprie gambe o fallire
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – I salvataggi governativi dell’ex compagnia di bandiera italiana, Alitalia, hanno esatto un costo eccessivo all’economia italiana, accusa Ferdinando Giugliano in un editoriale su “Bloomberg”. “Data la sua ricca storia”, esordisce l’opinionista, “l’Italia e’ giustamente attaccata alle proprie reliquie”. Purtroppo, questa forma di attaccamento “non si limita al Colosseo, ma riguarda anche le aziende fallimentari”. Alitalia “e’ sopravvissuta per anni grazie a una lunga scia di salvataggi pubblici e privati”. Ieri, dopo la bocciatura del piano di riordino da parte dei dipendenti, l’azienda e’ finita in amministrazione straordinaria, non prima di un altro, generoso contributo dello Stato italiano: un prestito ponte da 600 milioni di euro necessario a far proseguire le operazioni dell’azienda nell’arco dei prossimi sei mesi. Secondo Giuliano, con Alitalia lo Stato italiano ha superato da tempo il limite entro il quale dovrebbe scattare la riduzione delle perdite. I politici “vogliono proteggere i lavoratori”, ma “ogni euro impiegato per il salvataggio e’ un euro che non puo’ essere impegnato altrove”. Il concetto, sottolinea l’opinionista, e’ semplice, almeno per gli economisti: si tratta del rapporto costo-opportunita’. “Quanti piu’ posti di lavoro si sarebbero potuti creare, se il governo avesse investito quei 600 milioni di euro nel potenziamento dell’infrastruttura digitale italiana?”. Tenere in vita Alitalia, sottolinea Giugliano, e’ anche un onere in termini di produttivita’, perche’ “sottrae risorse che potrebbero essere impiegate da competitori piu’ efficienti”. Giugliano ricorda uno studio pubblicato dalla Commissione europea lo scorso anno, secondo cui la cattiva allocazione di capitali e manodopera in Italia e’ andata progressivamente peggiorando sin dal 1995, causando una porzione significativa del calo di produttivita’ in quel paese. Se il governo italiano e’ davvero determinato a conseguire una crescita economica sostenibile, “dovrebbe impedire ai perdenti di ostacolare le aziende produttive”, anziche’ tenerli forzatamente sul mercato. Alitalia, prosegue l’opinionista, pone anche “questioni di stabilita’ finanziaria”: tra il 1974 e il 2014, i contribuenti italiani hanno versato 7,4 miliardi di euro per tenere in vita la compagnia aerea. “Il vizio dello Stato italiano di aiutare le compagnie nazionali in difficolta’ ha contribuito ad ingigantire il suo debito pubblico”, che oggi ammonta a circa il 133 per cento del Pil. Lo stesso problema, sottolinea Giugliano, riguarda il settore bancario: “Da UniCredit a Intesa Sanpaolo, molti dei maggiori istituti di credito italiani hanno garantito linee di credito da centinaia di milioni di euro ad Alitalia, soltanto per vedere i loro prestiti ridotti in fumo”. La lista “include anche Monte dei Paschi di Siena”, che lo scorso dicembre si e’ dovuta appellare al governo italiano per un salvataggio multimiliardario: “la ragione? La banca e’ soffocata da crediti non performanti, come quelli concessi ad Alitalia”. Giugliano conclude con un avvertimento: “Anche se le norme europee renderanno difficile a Roma aiutare Alitalia oltre i sei mesi iniziali, non andrebbe mai sottovalutata l’abilita’ dello Stato italiano di mettere in piedi un altro salvataggio fallato”. Se l’Italia vorra’ davvero concentrarsi su un futuro di crescita, pero’, “dovra’ anzitutto smettere di indugiare sulle rovine del passato”.
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Usa, la riforma della sanita’ dei Repubblicani supera il voto della Camera, ma il Senato e’ pronto a riscriverla
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – La maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti Usa ha approvato ieri, con il voto favorevole di soli 217 deputati contro 213, la controversa riforma della sanita’ promossa dalla leadership repubblicana e dalla Casa Bianca come alternativa all’Affordable Care Act (“Obamacare”), varato dalla precedente amministrazione presidenziale. La prima approvazione parlamentare del provvedimento, nonostante le resistenze di alcuni “dissidenti” della maggioranza, e’ stata salutata dai Repubblicani come una grande vittoria: da anni, infatti, il partito prometteva la revoca della riforma di Obama, onerosissima per le casse dello Stato e dimostratasi negli ultimi anni di fatto insostenibile. In realta’, sottolinea la “Washington Post”, la riforma studiata e promossa dal presidente della Camera Paul Ryan, e sostenuta dal presidente Usa Donald Trump, e’ un compromesso che non revoca interamente l’impianto della “vecchia” riforma, non mantiene la promessa di Trump di garantire la copertura assicurativa a tutti coloro di cui gia’ ne godono – alcuni studi denunciano anzi che milioni di cittadini potrebbero esserne privati – e al contempo non soddisfa i conservatori, secondo cui il nuovo sistema resta comunque finanziariamente insostenibile. Settimane di intensi sforzi negoziali da parte del presidente Trump hanno prodotto un precario equilibrio tra le istanze dell’ala conservatrice repubblicana e di quella centrista alla Camera, ma il Senato – chiamato ora a votare il provvedimento, e controllato a sua volta dai Repubblicani – ha gia’ chiarito di volerlo stravolgere. Lamar Alexander del Tennessee, repubblicano a capo della commissione Salute del Senato, e Roy Blunt – uno dei leader della maggioranza alla Camera alta – hanno messo in chiaro di voler riscrivere interamente il disegno di legge. Trump, che vede cosi’ rimandate ulteriormente le prospettive di un provvedimento del Congresso che abroghi l'”Obamacare”, ieri ha fatto comunque buon viso a cattivo gioco, celebrando la sua temporanea vittoria assieme ai leader della Camera. “Questo voto ha davvero ricompattato il Partito repubblicano”, ha detto il presidente. I Repubblicani al Senato si sono premurati di smentirlo praticamente in tempo reale: la senatrice Lisa Murkowsi, dell’Alaska, e’ arrivata ad auspicare che il Senato comincia a lavorare alla riforma della sanita’ “partendo da un foglio bianco”. Il presidente del Senato, Mitch McConnel, si trova in una posizione difficilissima: la maggioranza Repubblicana conta su appena 52 voti contro 48, e al momento appare profondamente divisa tra i conservatori, che chiedono tagli alla spesa piu’ consistenti, e i moderati – inclusi molti dei senatori che dovranno ottenere la rielezione alle elezioni di medio termine del prossimo anno – che invece chiedono di espandere le coperture. Nel frattempo, il dibattito sulla riforma tiene banco sulle principali pagine dei quotidiani: sulla “Washington Post” la deputata repubblicana Cathy McMorris Rodgers, madre di un figlio affetto da una malattia rara, spiega le ragioni del suo sostegno a una riforma della sanita’ che non la convince del tutto, ma che quantomeno “restituisce fondi e autonomia ai singoli Stati” e non vincola “un sesto dell’economia ” a un singolo programma federale di 2 mila pagine. Sullo stesso quotidiano, l’opinionista Paul Waldman stigmatizza il massiccio calo della copertura assicurativa previsto da diversi studi, e definisce la riforma votata dalla camera “un abominio”.
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Venezuela, la sfida “rosa” a Maduro e il dolore del direttore d’orchestra
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – La prossima manifestazione contro il governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro sara’ di sole donne. La convocazione, per conto della piattaforma delle opposizioni Mud (Mesa de la Unidad democratica), parte da Lilian Tintori, nome di punta delle iniziative contro il “figlio di Chavez”. L’idea e’ quella di sfilare con un vestito bianco e solo un fiore in mano. “Spareranno alle donne?”, e’ la sfida che Tintori lancia al ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez nelle ore in cui si diffonde il bilancio – non ufficiale – delle vittime degli scontri tra opposizioni e forze di sicurezza: almeno 35 morti nell’ultimo mese. Tintori e’ la moglie di Leopoldo Lopez, consegnatosi tre anni fa alla giustizia che lo accusava di insurrezione. Nelle ultime ore, e al termine di un mese in cui non ha potuto ricevere la visita settimanale dei familiari, si era diffusa la voce di un peggioramento delle condizioni di salute di Lopez. Il governo aveva risposto mostrando un video in cui il carcerato dava prova della sua vita ma Tintori mantiene intatto il suo scetticismo: “se sta bene, perche’ non me lo lasciano vedere?”. Il governo, nel frattempo, ha invitato ufficialmente la Mud a un incontro nel palazzo presidenziale, per lunedi’. La proposta e’ quella di partecipare al processo per la stesura di una nuova Carta ma l’invito andra’ probabilmente a vuoto, dal momento che l’opposizione continua a reclamare elezioni e il “ripristino della democrazia” nel paese. E la crisi politica che attraversa il paese ha da ieri un nuovo protagonista, Gustavo Dudamel. Direttore d’orchestra di fama internazionale, Dudamel ha pianto la morte del 17enne Armando Canizales, giovane violinista cresciuto nella sua stessa scuola musicale. Considerato a lungo testimonial della causa neosocialista del governo venezuelano, Dudamel ha invitato ieri i politici a trovare una soluzione pacifica alla crisi prima di lanciare un appello “al presidente della Repubblica e al governo” perche’ cambi l’atteggiamento e “ascolti la voce del popolo venezuelano”.
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Francia, verso un record negativo di affluenza al ballottaggio presidenziale?
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – I francesi domenica prossima 7 maggio diserteranno le urne del ballottaggio delle elezioni presidenziali? Se lo chiede il quotidiano economico “Les Echos” sulla base dei risultati dell’ultimo sondaggio realizzato dalla societa’ Odoxa e pubblicato oggi venerdi’ 5. La rilevazione prevede un’affluenza del 75 per cento dell’elettorato e questo sarebbe un record negativo quasi storico: bisognerebbe risalire al 1969 per trovare una partecipazione al voto inferiore (allora fu del 69 per cento). Tradizionalmente l’affluenza e’ maggiore al ballottaggio che al primo turno delle presidenziali ed il 23 aprile scorso e’ stata del 77,77 per cento; ma in questo 2017 la campagna presidenziale non ha fatto che riservare sorprese e sembra voler continuare a smentire tutta la tradizione politica: basti pensare che dal secondo turno sono stati esclusi i due principali partiti che hanno dominato la scena politica degli ultimi 50 anni, il Partito socialista (Ps) e la destra “classica” (I repubblicani, ex Ump); e che invece si sono qualificati la leader del Front national (Fn) di estrema destra, Marine Le Pen, ed il candidato indipendente di centrosinistra Emmanuel Macron, che non e’ mai stato eletto neppure in un consiglio studentesco. Secondo l’istituto Odoxa, ad astenersi dovrebbero essere soprattutto gli elettori dell’estrema sinistra: quelli che con quasi il 20 per cento, per un pelo non hanno fatto superare il primo turno al candidato della “France insoumise” (“Francia non-sottomessa”, ndr) Jean-Luc Me’lenchon; secondo il sondaggio, il 34 per cento di loro non andra’ neppure a votare (senza contare eventuali schede bianche o nulle). Molto indecisi se partecipare sarebbero anche gli elettori della destra “classica”: secondo il sondaggio, il 28 per cento di chi ha votato al primo turno per Francois Fillon potrebbe non recarsi alle urne. Il risultato del ballottaggio, secondo tutti gli analisti, si giochera’ proprio sull’affluenza e sulle scelte di “riporto” degli elettori delle formazioni sconfitte.
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Francia, divorzio a sinistra tra gli “Insoumis” ed il Partito comunista
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Dopo l’eccezionale risultato ottenuto al primo turno delle elezioni presidenziali di domenica 23 aprile, con quasi il 20 per cento di voti raccolti da Jean-Luc Me’lenchon, il candidato della coalizione della “France insoumise” (“Francia non-sottomessa”, ndr) sostenuta anche dal Partito comunista (Pcf), l’estrema sinistra francese come da tradizione torna a dividersi: lo constata il quotidiano di sinistra “Libe’ration”. Tra gli “Insoumis” ed il Pcf non si contano piu’ i colpi bassi: corrono parole grosse e gli scambi polemici che i leader si scambiano attraverso lettere che dovrebbero essere riservate appaiono invece regolarmente su internet. Se l’incomprensione e’ ormai sia totale tra le varie anime dell’estrema sinistra francese, la materia del contendere si comprende invece facilmente: le elezioni parlamentari che si terranno l’11 ed il 18 giugno, poco piu’ di un mese dopo il ballottaggio presidenziale di domenica prossima 7 maggio. All’indomani del primo turno presidenziale il Pcf ha pensato bene di sfruttare il successo di Me’lenchon annunciando un “rassemblement” per il voto parlamentare ma senza rinunciare al proprio simbolo; e soprattutto senza neppure consultare prima gli alleati “Insoumis”. I quali hanno reagito prima con freddezza e poi con stizza, ribadendo che se mai dovesse esserci una nuova coalizione, non potrebbe che essere sotto il simbolo unico ed esclusivo della “France insoumise”. Gli incontri tra Me’lenchon ed il segretario generale del Pcf Pierre Laurent aldila’ dei sorrisi forzati a favore di telecamere non hanno portato a niente; e cosi’ si sono trovati costretti a ripiegare sul”piano B”: un accordo per reciproche desistenze. Ma neppure su questo l’estrema sinistra francese sembra capace di mettersi d’accordo: e lo scontro e’ arrivato al punto che gli “Insoumis” hanno formalmente “diffidato” il Pcf di utilizzare l’immagine di Me’lenchon per la propria propaganda elettorale. La conseguenze, conclude amaramente “Libe’ration”, e’ che con ogni probabilita’ nella maggior parte delle circoscrizioni sulle schede gli elettori troveranno entrambi i simboli.
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Regno Unito, l’approccio di May e’ “forte, stabile e vago”
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, osserva il settimanale britannico “The Economist”, ha iniziato la campagna elettorale con un discorso che e’ sembrato una dichiarazione di guerra, in cui ha affermato che “minacce sono state lanciate da politici e funzionari europei” e che “queste azioni sono state deliberatamente programmate per influenzare il risultato delle elezioni politiche”. C’e’ da dubitarne, ma se la guerra di parole avra’ un’influenza, sara’ a suo vantaggio, col suo Partito conservatore gia’ favorito sul debole Labour. L’episodio e’ “preoccupante” secondo il periodico, perche’ paradigmatico dell’approccio della prima ministra alla campagna elettorale: invece di spiegare nei dettagli che cosa vuole riguardo alla Brexit, chiede semplicemente agli elettori di fidarsi di lei affinche’ ottenga il miglior accordo possibile. Lo stesso atteggiamento vale per le questioni interne. Con un vantaggio di quasi venti punti percentuali, la leader conservatrice potrebbe aver calcolato che ha piu’ da perdere che da guadagnare impegnandosi in politiche dettagliate; ha perfino rifiutato di partecipare a dibattiti televisivi. La sua campagna e’ incentrata sullo slogan “una leadership forte e stabile”; ogni tema, dall’uscita dall’Unione Europea alla sanita’, sembra ridursi all’argomento che May ha una leadership migliore da offrire, anche se, in realta’, una parte essenziale dell’essere un leader consiste nello spiegare che cosa si intende fare del proprio potere. Una maggioranza piu’ ampia rafforzerebbe la sua posizione negoziale, permettendole soprattutto di ignorare l’ala antieuropeista piu’ intransigente, all’interno del suo partito, pronta a uscire senza un accordo. In vista della probabile facile vittoria dei Tory, la rubrica “Bagehot”, dedicata agli affari interni, osserva che le stesse forze che stanno abbattendo i partiti tradizionali nel mondo sembrano rendere piu’ forte il Partito conservatore britannico, che avanza in Galles, dove era irrilevante, e in Scozia, dove dovrebbe superare il Labour; cresce tra le minoranze etniche, sempre meno fedeli al Partito laborista; punta ai ceti deboli, in discontinuita’ con la precedente gestione di David Cameron, “ossessionato” dalla classe media. Certamente e’ aiutato dalla crisi del Labour, ma ha un talento speciale nel cavarsela, nel “tirare a lucido il proprio marchio” e nell’adeguarsi ai cambiamenti della societa’. C’e’ da considerare, infine, l’aspetto demografico: il divario generazionale non e’ mai stato cosi’ ampio; sette pensionati su dieci voteranno Tory.
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Cittadini tedeschi prigionieri in Turchia
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Dopo il colpo di Stato fallito dello scorso anno in Turchia, quattro turco-tedeschi e due tedeschi sono stati arrestati e sono attualmente detenuti in quel paese: una situazione difficile per il governo tedesco, che si trova in imbarazzo circa quali procedure legali adottare nei confronti di un paese che sta scivolando verso l’autocrazia, ma che e’ anche un fondamentale alleato militare nel contesto della Nato. I funzionari tedeschi possono visitare i compatrioti incarcerati e comunicare con loro, ma non con quelli di doppia cittadinanza. In questo caso l’assistenza consolare e’ possibile solo in misura limitata e dipende dalla buona volonta’ delle autorita’ turche. E’ il caso del giornalista turco-tedesco Deniz Yuecel, detenuto da settimane e accusato di terrorismo dalle autorita’ di Ankara. Anche gli altri tedeschi arrestati sono accusati di essere fiancheggiatori del predicatore Fethullah Guelen, nemico di Recep Tayyip Erdogan accusato di essere il mandante del fallito colpo di Stato: un’accusa che non convince le autorita’ tedesche. La carcerazione preventiva in Turchia puo’ protrarsi anche fino a 5 anni. Parlamentari tedeschi della Cdu, dell’Spd e dei Verdi sono impegnati per la liberazione dei connazionali. Si e’ attivato in tal senso anche il ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel (Spd). Thomas Rachel (Cdu) ha dichiarato: “Vogliamo sapere come sia possibile che i nostri connazionali siano prigionieri da nove mesi”.
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Germania, lo spionaggio fiscale svizzero ai danni di Nrv
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Le accuse di spionaggio contro la Svizzera hanno provocato incertezza sia a Berlino che a Berna. Molti politici hanno rifiutato le richieste di interviste e non hanno voluto commentare il caso. Le dichiarazioni piu’ esplicite sono state quelle del ministro delle Finanze del Nord Reno-Vestfalia, Norbert Walter-Borjans (Spd): “E’ difficile immaginare che un tale thriller di spionaggio non sia su tutti gli schermi, ma noi non lo pubblicizziamo”, ha detto all'”Handelsblatt”. Secondo le indiscrezioni pubblicate dalla “Sueddeutsche Zeitung”, i servizi segreti svizzeri Ndb avrebbero posto un loro informatore all’interno delle autorita’ finanziarie del Nord Reno-Vestfalia. L’uomo, Daniel M., e’ stato arrestato dalla procura di Francoforte, con l’accusa d’aver sorvegliato alcuni funzionari del fisco a seguito dell’acquisto di cd con i nomi di evasori fiscali tedeschi che avevano esportato capitali in Svizzera. L’Ambasciatore svizzero ha chiesto un incontro con le autorita’ tedesche per discutere la vicenda: la stessa Svizzera, infatti, ritiene l’acquisizione dei cd contenenti le informazioni personali di correntisti delle banche svizzere un atto di spionaggio economico e violazione del segreto bancario. Il capo dei Servizi svizzeri, Markus Seiler, martedi’ ha detto che “il controspionaggio rientra a pieno titolo nel nostro mandato”. Il Nord Reno-Vestfalia in particolare avrebbe acquistato 11 cd riguardanti cittadini tedeschi che avrebbero eluso da 6 a 7 miliardi di euro di tasse dal 2010. I rapporti tra Svizzera e Germania sono complicati sin dal 2009, quando l’allora ministro federale delle Finanze, Peer Steinbrueck (Spd) defini’ il dibattito sulla lotta contro il segreto bancario svizzero come “una carica di cavalleria nel selvaggio West”.
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Spagna, sorpresa nel Psoe: l’ex segretario puo’ sperare in una rivincita
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Il conteggio delle firme presentate dai candidati ufficiali alla segreteria del partito socialista spagnolo svela una sorpresa: c’e’ partita. Susana Diaz, governatrice dell’Andalusia e grande favorita alla vittoria delle primarie di fine mese, ha raccolto poco piu’ di 63mila firme. L’ex segretario Pedro Sanchez ne ha sommate 57 mila e trecento. Un margine di vantaggio che sorprende per la sua esiguita’, scrive “El Mundo”, considerando la base di riferimento di cui godono gli sfidanti. Con Diaz, appoggiata da Jose’ Luis Rodriguez Zapatero ed esponente dell’ala piu’ istituzionale del Psoe, si sono schierati “sei governatori, 36 segretari provinciali di partito oltre a centinaia di sindaci e segretari locali”. Sanchez ha dalla sua solo quattro segretari provinciali. L’ex segretario – che qualcuno in Italia ricorda per una foto in jeans e camicia bianca scattata al fianco di Matteo Renzi a un festival dell’Unita’ di Bologna -, aveva lasciato l’incarico in polemica per le concessioni fatte dal partito alla nascita del governo guidato dal partito popolare di Mariano Rajoy. La conta delle firme “e’ la dimostrazione che vinceremo e con una notevole differenza”, spiga lo staff di Sanchez, convinto di poter sfruttare la scia dell’insofferenza alla politica “istituzionale” che sta dando tanto successo al movimento anti sistema di Podemos. Il quotidiano conservatore “Abc” si concentra sulla portata della “divisione”, anche geografica, del partito. Diaz ha ottenuto il 42 per cento delle sue firme in Andalusia, terra di solide tradizioni socialiste e fortemente empatica con “Susana”, e in generale sembra prevalere nelle regioni del Sud. Sanchez fa meglio a Barcellona, Valencia e nel nord. Il quotidiano “El Pais”, piu’ attento alle posizioni di Diaz, sottolinea la grande partecipazione dei militanti, dato non irrilevante considerata la scarsa popolarita’ di cui godono oggi i partiti storici e la continua emorragia di consensi che soffre il Psoe. Eppure, sottolinea la testata, la raccolta firme ha coinvolto il 70 per cento degli iscritti aventi diritto.
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Regno Unito, un elettore su cinque abbandonera’ il Labour
05 mag 11:15 – (Agenzia Nova) – Un quinto degli elettori del Regno Unito che ha votato Labour alle politiche del 2015 abbandonera’ il partito alle prossime elezioni, in programma l’8 giugno. E’ quanto emerge da un’analisi dei sondaggi di “Financial Times”, Icm Research ed Electoral Calculus. L’Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, dovrebbe perdere il 40 per cento dei suoi sostenitori di due anni fa, molti dei quali passeranno al Partito conservatore. Solo l’otto per cento di chi ha votato Tory la volta scorsa cambiera’ idea; i liberaldemocratici intercetteranno una piccola parte dei transfughi. L’analisi conferma la crisi del Labour, principale partito di opposizione, insieme ai risultati negativi delle elezioni amministrative di ieri, con la perdita di centinaia di seggi, soprattutto in Galles e Scozia, a cinque settimane dal voto politico. Il conteggio non e’ ancora completo, ma le aspettative sono basse; un portavoce, riferisce il quotidiano “The Guardian”, ha parlato di “una serie di sfide impegnative in circostanze uniche” e ha assicurato che il Labour ha fatto la sua battaglia “per i molti” e non “per i pochi” e continuera’ a farlo a livello nazionale, fiducioso di far arrivare il suo messaggio man mano che la data si avvicina. Una speranza per i laboristi e’ riposta nell’aumento delle iscrizioni degli studenti nei registri elettorali: secondo una ricerca dell’Higher Education Policy Institute (Hepi) e di YouthSigh, nove su dieci sono iscritti e la maggior parte e’ intenzionata a votare l’8 giugno. La leadership di Jeremy Corbyn ha contribuito a far salire il sostegno studentesco al Labour al 55 per cento, dal 23 per cento del 2005, ma non necessariamente cio’ si tradurra’ in consensi perche’ la preoccupazione per la Brexit potrebbe indurre a un voto tattico. La premier e leader Tory, Theresa May, e’ invece meno popolare del suo predecessore, David Cameron, tra gli studenti: 18 per cento. I liberaldemocratici, un tempo favoriti, hanno perso popolarita’: 12 per cento. I verdi sono al sei, il Partito nazionale scozzese (Snp) al tre e l’Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, al due. Per questo segmento dell’elettorato giovanile le questioni prioritarie sono l’Unione Europea e la sanita’ (66 per cento); l’istruzione (30), il lavoro (24), l’economia (22), il terrorismo (17), gli alloggi (16), l’immigrazione (14) e l’ambiente (13).
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