Siamo diventati esperti nel prenotare le nostre vacanze online (e a recensire hotel, ristoranti e affini in tempo reale). Ci siamo abituati a fare i regali di Natale sui siti di e-commerce. E maneggiamo con consumata disinvoltura la moneta elettronica. Eppure, continuiamo a metterci in coda agli sportelli degli uffici pubblici per chiedere un certificato (cartaceo, ça va sans dire), paghiamo il ticket sanitario con banconote che ci assicuriamo di consegnare personalmente all’impiegato di turno e, se ci chiedessero di indicare il nostro domicilio digitale per ricevere comunicazioni dall’istituto scolastico dei nostri figli, rischieremmo di avere una crisi di panico. Dove stiamo sbagliando? Meglio, siamo sicuri che l’errore sia soltanto nostro? Da dieci anni a questa parte ci interroghiamo, discutiamo e, se possibile, proponiamo soluzioni alle distorsioni del digitale in occasione del DIG.Eat, il convegno nazionale dedicato alle tematiche dell’ICT organizzato dalle associazioni Anorc, Anorc Professioni e Aifag, con la collaborazione scientifica e organizzativa di Digital & Law Department. Da dieci anni crediamo fermamente che la rivoluzione digitale, che già impregna le relazioni sociali, debba realizzarsi anche nel rapporto tra singoli e amministrazioni pubbliche, benché, con amarezza, continuiamo a constatare che lo stato di attuazione delle mirabolanti politiche digitali promesse dai Governi di ogni colore, assomigli ancora a una desolante natura morta.
Siamo sognatori? Forse sì. Ma il nostro, è un sogno lucido. Soprattutto, non è lo stesso sogno raccontato, confezionato e venduto dagli esponenti dalle istituzioni, sempre più ambizioso, sempre più futurista e sempre più, pericolosamente, centralizzato. Oltre alle tante parole (e denari) spesi e all’ammiccante storytelling istituzionale (non tanto lontano, spesso, dalla propaganda politica), la situazione reale delle pubbliche amministrazioni italiane ha molto poco di digitale. E, in questa splendida fissità, i cittadini restano irretiti dalla promessa di un dorato futuro digitale, beatamente ignari dei “nuovi” diritti che si moltiplicano e si perdono nella fumosa produzione normativa. Questo è quanto emerso dall’analisi condotta nel corso delle quattro tavole rotonde alternatesi per tutta la durata dell’evento, dedicate rispettivamente a Digital first ed eGovernment, Finance e ICT, eHeatlh e privacy, eProcurement: per rendere possibile la rivoluzione digitale, occorre smettere di barricarsi nelle rassicuranti abitudini analogiche e assumere un atteggiamento nuovo e consapevole dei diritti digitali di cui già godiamo. È ora di uscire dal sogno, e di vivere nel “Mondo Reale”. Non è facile, tuttavia, acquisire coscienza delle opportunità riconosciute dalla normativa, se il legislatore cambia continuamente le carte in tavola per portare avanti la crociata della digitalizzazione, ogni volta (ri)partendo da un approccio puramente tecnologico e non, anzitutto, giuridico e sistematico, alimentando l’ipertrofia normativa che ha caratterizzato il primo ventennio di questo nuovo millennio. Stando così le cose, sarebbe opportuno lasciare sedimentare la normativa vigente e concentrarsi sulle regole tecniche, sugli standard, sulle best practices e sulle competenze per le professionalità dedicate alla digitalizzazione e alla privacy. Invece di affastellare regole, architettare programmi, compilare Agende, costituire Team, le istituzioni dovrebbero investire seriamente e metodicamente sul digitale, distribuendo le risorse sul territorio e dismettendo la deriva statalista malcelata nelle pieghe delle leggi. Fino a quando la rotta della digitalizzazione continuerà a sgretolarsi in direzioni contorte e inconsistenti, non solo i singoli, ma le stesse pubbliche amministrazioni rimarranno disorientate, mentre i pochi casi di eccellenza ad oggi esistenti, rischieranno di essere fagocitati dall’intricata trama normativa e dall’ottusa propensione dei poteri centrali al progresso a costo zero.
“Il sogno di una reale digitalizzazione quindi non solo c’è, ma è anche espresso in diritti. Quello che serve è un accordo tra le istituzioni perché la digitalizzazione serve a tutti. Erroneamente, invece, si pensa ancora che il digitale possa portare un risparmio nell’immediato. Niente di più sbagliato: per promuovere lo sviluppo è necessario investire in infrastrutture e in competenze che siano nuove e multidisciplinari – ha affermato Andrea Lisi, presidente di ANORC Professioni – occorre ribadire, in maniera forte e chiara, che non interessa quale sarà la forza politica che governerà in futuro, ma quali forze siamo disposti a impegnare, fin da oggi, per costruire il futuro stesso. Il fardello della crescita digitale deve gravare sulle spalle di tutti, per supportare una strategia a lungo termine. C’è un intero sistema Paese da ricostruire in termini digitali.”
Intervista a Andrea Lisi, presidente Anorc Professioni
Il DIG.Eat si è rivelato, come ogni anno, un appuntamento in grado di promuovere il dibattito e il confronto su temi concreti e su criticità reali, facendo chiarezza sullo stato della rivoluzione digitale del nostro Paese per individuarne possibili nuclei di sviluppo. Sempre con spirito libero da tentazioni miracolistiche e con critico ottimismo nel futuro che verrà.