No, no, noi non siamo eroi. Tuttalpiù potremmo essere dei fannulloni, da tenere a bada dentro un recinto, ben protetto da tornelli e orologi marcatempo. In una Italia in cui è sempre più difficile ottenere un posto fisso, uno stipendio sicuro tutti i mesi, noi – certo che per forza – siamo i parassiti, i privilegiati: per lo più, illicenziabili.
Eppure questo nostro privilegio ha il suo costo: quando vinsi il concorso, negli anni che ho atteso di essere chiamato in servizio, io “ci credevo” che sarei andato a servire lo Stato, con la “S” grande, per rendere i servizi migliori, le procedure più tracciabili, più veloci, più efficienti, grazie alla tecnologia informatica. Io ho studiato per questo e avevo esperienza di quanto energizzante possa essere l’informatica nelle aziende private. E ci credo anche ora, perché questa fiducia è l’impulso che mi fa andare in ufficio ogni mattina, che mi fa superare le delusioni e le disillusioni di questo mondo “pubblico”: i tradimenti dei tanti Efialte. Questa fiducia è ciò che mi consente di non vergognarmi mai di essere uno “statale”, neppure quando la stampa ci fa a pezzi con i “furbetti” i “malati immaginari” gli “assenteisti” ecc. ecc.
Il fatto è che noi non siamo eroi, ma neppure fannulloni: eppure siamo disprezzati, perché – è vero – noi non risolviamo problemi reali; noi risolviamo problemi burocratici. E spesso, per farlo, creiamo altra burocrazia, cerimonie, teologie autoconsistenti, che astraggono e allontanano il “business” per cui l’Amministrazione esiste, al punto da offuscarlo completamente, da perderne memoria. Così diventa difficile valutare le Amministrazioni per ciò che hanno prodotto in termini di incremento di bene comune. Una “buro-crazy” che, come un serpente uroboro, divora e rigenera se stessa. E l’impiegato statale perde di vista cosa fa e perché. Così, appena può, esce dalla “buro-crazy” e va a fare… il volontario – gratuitamente – per ritrovare un senso alle proprie azioni. E il “furbetto” diventa “eroe”. È un dato reale che le associazioni di volontariato sono sostenute per lo più dal lavoro gratuito di individui che, come impiego, sono dipendenti pubblici. Fa riflettere che lo stesso “fannullone ruba stipendio” diventi “volontario” a gratis. Forse è una questione di “gratificazione”.
A me piace il mio lavoro: molto. Quello che frena l’entusiasmo è, spesso, la scarsa percezione del “committment”, che sia interno o esterno. La distanza tra ciò che l’Amministrazione produce in termini di prodotti burocratici e il bene comune a cui questi prodotti contribuiscono deve essere colmata. Come? Ricette teoriche ce ne sono tante… Qui lasciatemi proporre un “trip advisor” della burocrazy, quasi per provocazione: una valutazione diretta dell’Amministrazione da parte del cittadino, mediante una serie di parametri come la soddisfazione del servizio ottenuto, la cortesia, la competenza, i tempi richiesti, un punteggio complessivo e, opzionalmente, dei commenti. È una provocazione, certo, che potrebbe anche diventare una gogna ancora più terribile di quella dei media. Oppure potrebbe invece aiutare a riavvicinare burocrazia e bene comune; impiegati pubblici e gratificazione.
Perché davvero, noi non siamo eroi, ma a volte penso che dovremmo diventarlo, per sopravvivere. Lo Stato e i servizi pubblici dipendono da noi; per questa stretta fessura, che è la nostra coscienza, passa il progresso del nostro Paese. E io ci tengo: alla mia coscienza e al mio Paese.