Satelliti da inviare oltre la nostra atmosfera dotati di celle fotovoltaiche in grado di generare energia elettrica ‘pulita’ da inviare poi sulla Terra tramite conversione in microonde e laser. È quanto diversi centri di ricerca negli Stati Uniti, in Europa, Giappone e Cina stanno cercando di realizzare da sei decenni.
È dal 1960 almeno che si pensa sia una buona soluzione, in termini di sostenibilità ambientale e di decabonizzazione della nostra economica, spostare la generazione di energia dal nostro Pianeta allo spazio, cercando di sfruttare la continua esposizione al sole 24 ore su 24 dei satelliti geosincronizzati.
A riportare l’attenzione su questa soluzione tecnologica per l’efficienza energetica d’alta quota è Avvenia, che ci ricorda che il progetto partito molti anni fa è continuato fino agli anni Ottanta del secolo scorso, grazie al lavoro della Nasa.
Oggi, si legge in una nota, “il tema torna ad essere di grande attualità e ad interessarsene sono quasi tutti i Paesi occidentali, la Cina, la Russia ed il Giappone, dove l’agenzia spaziale Jaxa, le università di Tokyo e di Kobe ed il Japan Space System hanno messo a punto un ventaglio di percorsi rigorosi”.
I primi esperimenti orbitali sono previsti per l’anno 2020 e la messa in orbita dei primi satelliti autosufficienti con capacità di inviare sulla Terra 1 gigawatt di energia elettrica è prevista per il 2030.
Una previsione che sembra oggi possibile grazie al potenziamento dell’efficientamento energetico delle cellule fotovoltaiche spaziali, “il cui rendimento è aumentato notevolmente negli ultimi anni, passando dal 5% degli Anni 50 al 32% di oggi”, mentre “un insieme di specchi correlati ulteriormente efficientati può far crescere questo rendimento al 54%”.
Come ricordano gli esperti Avvenia, rimane da affrontare il problema dei pesi, relativi soprattutto ai giganteschi specchi fotovoltaici. A suo tempo si parlava di 81 mila tonnellate di apparati tecnologici da mettere in orbita, per un costo proibitivo di 4 mila miliardi di dollari.
Della riduzione di peso dei satelliti, e quindi del costo finale, se ne sta già occupando l’Università della California, insieme alla Northrop Grumman, società legata al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che si è lanciata in un programma triennale con un budget di 17,5 milioni di dollari.
Sull’argomento si è cimentato anche il fisico ed imprenditore John Mankins, che ha annunciato un metodo alternativo e più efficace per realizzare un sistema di captazione dell’energia solare ad altissima efficienza, che potrebbe entrare in azione nel 2025.
Questo progetto si chiama “SPS-ALPHA” e si basa su “concetti relativi all’ambito della vita artificiale quali l’autoassemblaggio e lo swarming”. Il dispositivo, si legge nel comunicato, è costituito da piccolissimi moduli riflettenti “che vengono poi associati nello spazio per costituire una vasta struttura conica”. Basandosi su un sistema di codici, “ciascun modulo imita il metodo con cui agiscono gli insetti semiautosufficienti, come negli alveari o nelle colonie di formiche”. In questo progetto, “ogni elemento sa chi è l’altro elemento, come si comporta, se vuole essere riparato oppure se preferisce essere lasciato tranquillo”.