Foxconn: torna l’incubo dei suicidi nella fabbrica dell’iPhone

di Alessandra Talarico |

Due nuovi casi riaccendono i riflettori sull’azienda che produce smartphone e tablet per conto delle principali aziende hi-tech occidentali.

Cina


Gli operai della Foxconn a lavoro

Torna lo spettro dei suicidi alla Foxconn, l’azienda che produce la maggior parte dei gadget tecnologici di maggior successo, tra cui l’iPhone.

La taiwanese Hon Hai – che opera col marchio commerciale Foxconn – ha confermato in una mail al Wall Street Journal la morte di due dipendenti: una donna di 27 anni lo scorso 27 aprile e un uomo il 14 maggio a Zhengzhou, in Cina. Un altro caso avrebbe riguardato un ragazzo di 24 anni che però aveva solo fatto domanda di lavoro, non era effettivamente dipendente.

I suicidi, ha precisato l’azienda, sono avvenuti al di fuori delle proprietà del gruppo, ma lo stesso riaccende i riflettori sulle condizioni di lavoro nell’azienda che riempie i negozi occidentali di smartphone e tablet.

 

Gli operai cinesi che realizzano i dispositivi Apple, secondo i rilievi effettuati nel 2012 dalla China Labor Watch, effettuano da 100 a 130 ore supplementari al mese (che possono arrivare anche a 180 ore in concomitanza col lancio di nuovi prodotti) contro le 36 ore massime previste dalla legge cinese, lavorano 11 ore al giorno, ogni giorno – inclusi feste e weekend – e, se normalmente hanno diritto a un giorno libero al mese, nei periodi di picco produttivo possono lavorare per mesi senza risposo. Straordinari cui i lavoratori si sottopongono per portare a casa qualche soldo in più rispetto alla misera paga base.

 

Per placare le polemiche innescate dai diversi suicidi e dall’attenzione mondiale sulla società dopo le proteste dei lavoratori (Leggi articolo Key4biz), Hon Hai aveva allora deciso di ridurre le ore di lavoro e di concedere ai dipendenti un aumento dello stipendio del 70% – la paga è aumentata da 1.200 yuan a circa 2.000 (245 euro) – e migliori condizioni di vita.

 

Hon Hai ha anche deciso di aprire le porte delle sue fabbriche alle ispezioni della Fair Labor Association (FLA), organizzazione nata nel 1999 con l’obiettivo di monitorare i luoghi di lavoro a livello globale constatandone la qualità e il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e del lavoratore e di cui fanno parte diverse multinazionali tra cui anche Apple, Nike, Adidas.

 

La scorsa settimana, FLA – che in realtà è stata accusata di ‘collusione’ con le aziende occidentali – ha pubblicato l’ultimo report sulle condizioni di lavoro alla Foxconn, da cui emerge che l’azienda rispetterebbe il 98,3% delle 360 richieste convenute con Apple in seguito all’avvio delle ispezioni, che includono maggiori garanzie per la sicurezza dei lavoratori (protezione dal calore eccessivo, più uscite di sicurezza), ma anche più toilet.

 

Apple, ma anche molte altre aziende che affidano la produzione dei loro prodotti alla Foxconn, si sono più volte impegnate pubblicamente a fare del loro meglio per migliorare la situazione, ma diverse inchieste hanno dimostrato che alle belle parole non sono poi seguiti i fatti. Assicurare condizioni di lavoro dignitoso a queste persone potrebbe infatti voler dire aumentare ulteriormente il prezzo già esorbitante di molti di questi gadget, senza che però tutto il margine entri direttamente nei conti (esteri e ‘tax free’) delle aziende.

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