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Brexit e tech company, il 46% dell’export è verso i Paesi Ue

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Il Governo britannico ha scelto la strada dell’hard Brexit: fuori dall’Unione dunque, ma trattative difficili. Critica la Confindustria locale: le tech company subiranno forte contraccolpo, metà del loro export è verso l’Europa.

Due giorni fa il premier britannico Theresa May ha dichiarato senza mezzi termini l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Si dà dunque seguito al referendum di giugno sulla Brexit, ma certo la negoziazione si presenta lunga e complessa.

Usciamo dall’Unione Europea, non dall’Europa, rimarremo amici e alleati della Ue. È l’inizio di una nuova partnership, anche commerciale. Usciamo dal mercato unico, che non ci rappresenta più”, recita un passo del discorso del Primo Ministro May alla Lancaster House di Londra.

Dunque sarà una “hard Brexit”, anche se manca ancora il voto di ratifica del Parlamento, ma i vertici della Confindustria locale, TechUK, chiedono di prestare massima attenzione alle trattative. per l’estrema rilevanza che ha acquisito il settore delle tecnologie digitali.

La digitalizzazione della Gran Bretagna è fortemente legata a quella dell’Unione europea – ha spiegato in una nota diffusa martedì il deputy Ceo di TechUK, Antony Walkeri rapporti che negli anni abbiamo stretto con fornitori e clienti sono strettissimi, crediamo che l’uscita dall’Unione determinerà un impatto negativo molto forte sul comparto digitale, più che in altri settore economici”.

Due anni di trattative possono essere troppi e fatali per l’industria del digitale, meglio un’uscita ordinata e concordata che non lasci dietro di sé nessuno e soprattutto non alimenti polemiche e tensioni”. Consapevole delle criticità, la May aveva promesso a dicembre investimenti in ricerca e sviluppo per il digitale di oltre 2 miliardi di sterline, proprio a sostegno del settore per il dopo Brexit.

Una misura probabilmente presa per far fronte ad un eventuale periodo difficile per le tech company britanniche. Un’industria che vale più di 118 miliardi di sterline l’anno, il 7,3% del PIL, e che dà lavoro a 1,4 milioni di persone, il 4,4% del totale degli occupati.

Un settore, infine, dove le esportazioni (prodotti e servizi digitali) valgono 43 miliardi di sterline e per il 46% sono dirette proprio verso i Paesi dell’Ue.

In poche parole, quello che gli industriali chiedono al Governo di Londra è un’uscita il più possibile “morbida”, per quanto possibile, vista la definizione “hard Brexit”: “Ciò che serve non è un muro, ma un ponte solido. Se dobbiamo uscire dal mercato unico è bene che si cominci da subito a mettere le basi per un accordo di libero scambio”.

Pensiamo che nell’immediato il mercato britannico delle tecnologie digitali subirà un contraccolpo piuttosto significativo, per questo chiediamo al Governo di sostenerci per ridare nuovo slancio alle aziende e trovare la strada per migliori accordi con le controparti continentali”, ha precisato Walker.

Stamattina sul sito di TechUK è stata annunciata la nascita di un organo consultivo dedicato alla Brexit, costituito da esperti, tra imprenditori, accademici, ricercatori e rappresentanti della politica, per seguire da vicino le trattative dei prossimi due anni.

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