Quando pensiamo ai biocarburanti ci vengono in mente gli scarti agricoli, le biomasse, il legno, persino le alghe e altre materie prime sostanzialmente naturali. Niente di sbagliato, sembrerebbe, perché in fondo parliamo di grano, mais, bietola, canna da zucchero, grassi animali. Tutte risorse considerate addirittura ‘rinnovabili’, che concorrono alla generazione di energia tramite la loro trasformazione in carburanti organici.
I detrattori di tale fonte energetica, però, evidenziano criticità elevate proprio nella fase di trasformazione da materie organiche in ecocombustibili. I problemi, hanno fatto notare Legambiente e Chimica Verde già da qualche anno, si concentrano soprattutto nelle grandi quantità di fertilizzanti chimici utilizzati nelle monocolture e dal massiccio uso di energia impiegata nella lavorazione.
Se da una parte abbiamo modo di superare l’industria dannosa dei combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) e di decentrare la generazione di energia a livello territoriale, evitando anche i trasporti su lunghi percorsi (quindi altra CO2), magari creando nuovi posti di lavoro e recuperando aree dismesse (tra terreni e strutture recuperabili per gli impianti), sembra che comunque la ricerca dell’alternativa più sostenibile non sia così semplice.
Puntare forte sui biocarburanti significa anche sottrarre terreni agricoli all’alimentazione umana (a cui si associa il fenomeno del land-grabbing), aumentare ulteriormente le emissioni di gas serra a causa del trasporto ed immagazzinamento dei prodotti agricoli destinati a questo uso e fare dell’Italia, entro il 2020, il quarto produttore in Europa di gas serra legati ai biocarburanti, con una produzione di emissioni che potrà variare da 2,6 a 5,2 milioni di tonnellate di CO2 l’anno (Legambiente).
Un argomento che necessità di ulteriori approfondimenti e di cui anche il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) si è voluto occupare, lanciando il 13 dicembre una consultazione pubblica sulla bozza di decreto interministeriale per l’utilizzo del biometano e dei biocarburanti, a cui è possibile partecipare fino al 13 gennaio 2017.
Un decreto questo sui biocarburanti di massima rilevanza sociale, ambientale ed economica per l’Italia, su cui vale la pena soffermarsi. Una potenziale scelta di indirizzo economico ed energetico che ha avuto una prima condivisione tra tutti i soggetti coinvolti nei lavori del “Comitato tecnico consultivo biocarburanti” (con rappresentanti di MiSE, Ministero dell’Ambiente, Ministero delle politiche agricole, Ministero dell’Economia, Agenzia Dogane e GSE) e che nelle intenzioni dei promotori: “vuole essere uno stimolo per un nuovo sviluppo dell’uso del biogas, questa volta non per la produzione di elettricità ma per il suo impiego, come biometano, nel settore dei trasporti”.
Secondo i Ministeri sopra menzionati, i biocarburanti permetterebbero, tra gli altri vantaggi: “il raggiungimento del target al 2020 del 10% di fonti rinnovabili nel settore dei trasporti”, “lo sviluppo di una economia circolare del mondo agricolo”, la stabilizzazione del costo energetico per i consumatori.
E’ bene fare attenzione al concetto di ‘rinnovabili’. Le fonti energetiche rinnovabili si suddividono in diverse categorie e se prendiamo i biocarburanti siamo di fronte a fonti energetiche ‘esauribili’ (perchè in questo caso la ‘rinnovabilità’ dipende fortemente anche dalle tecniche di coltivazione e dal tasso di sfruttamento del suolo) e ‘non pulite’ (perchè rilasciano nell’atmosfera sostanze inquinanti e climalteranti).
Secondo altri, al contrario, tutto ciò porterà i biocarburanti a causare emissioni di CO2 comprese fra i 27 ed i 56 milioni di tonnellate all’anno in più, in Europa, rispetto ai combustibili fossili. Se poi non si regolamenterà tale settore e non si ragionerà ancora sul concetto di ‘rinnovabile’, rischiamo che i biocarburanti saranno dall’81% al 167% più inquinanti dei combustibili fossili.
Risultati tragicamente lontani dall’obiettivo di sostenibilità dei propellenti verdi imposti dalle direttive comunitarie: ridurre le emissioni di gas serra del 35% rispetto ai combustibili fossili.
Dove sta la verità? Difficile a dirsi, ma sicuramente, per iniziare, è necessario fissare e rispettare dei limiti di produzione annua e dei limiti di sfruttamento delle risorse agricole, così da ottenere un rapporto energetico positivo e lavorare a una legislazione comunitaria che assegni alle colture destinate ai biocarburanti dei valori specifici di emissioni di gas serra, che tengano anche conto delle riconversioni dei terreni.
In poche parole, spiegano diversi ricercatori, se proprio si vogliono i biocarburanti, è fondamentale imporre la “rotazione delle colture”, cioè alternare coltivazioni per uso alimentare a coltivazioni per produrre combustibili, perché in tal modo, alternando le une alle altre, si arricchisce il terreno e si evita il suo depauperamento, rispettando la priorità della produzione agroalimentare destinata alla nostra alimentazione (senza considerare l’impatto che questi temi hanno sulla fame nel mondo e l’esplodere dei conflitti sociali).