La scorsa estate Legambiente ha presentato il bilancio di “Goletta Verde 2016”. Due mesi di monitoraggio scientifico dei nostri litorali che ci hanno restituito un’immagine drammatica dello stato di salute del mare: “un punto inquinato ogni 54 km di costa, ancora una volta sotto accusa la mancata depurazione. Dei 265 punti monitorati, uno ogni 28 km di costa, dal laboratorio mobile di Goletta Verde di Legambiente, il 52% è risultato inquinato o fortemente inquinato. L’88% di queste criticità è in corrispondenza di foci di fiumi, fossi, canali o scarichi presenti lungo la costa. Più della metà di questi sono in prossimità di spiagge e stabilimenti e quindi frequentati da bagnanti”.
Dal documento emerge che il 25% della popolazione non è coperta da un adeguato servizio di depurazione e un terzo degli agglomerati urbani a livello nazionale è coinvolto da provvedimenti della Commissione europea.
Proprio ieri è arrivata la notizia che la Commissione europea ha votato un nuovo deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia dell’UE per la mancata esecuzione della sentenza della Corte del 2012: “Le autorità italiane devono ancora garantire che le acque reflue urbane vengano adeguatamente raccolte e trattate in 80 agglomerati del paese, dei 109 oggetto della prima sentenza, al fine di evitare gravi rischi per la salute umana e l’ambiente”.
In base alla comunicazione ufficiale della Commissione, è stato chiesto alla Corte di giustizia europea di comminare una sanzione forfettaria di 62,7 milioni di euro. La Commissione ha proposto inoltre una sanzione giornaliera pari a 347 mila euro “qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emette la sentenza”.
Una maxi multa che pagheranno i cittadini.
Ma cosa sono le acque reflue urbane? Dalle nostre case agli uffici, passando per bar e ristoranti, scuole e caserme, dagli impianti sportivi ai teatri e ai cinema, si tratta di risorse idriche che vengono utilizzate per i servizi igienici e le cucine che poi sono convogliate nella rete fognaria (e a cui si aggiungono le acque reflue industriali, frutto degli scarichi di impianti industriali, piccole imprese, servizi commerciali e aziende di vario tipo).
Il singolo cittadino può far poco, ma è bene cominciare a capire che ogni volta che ‘andiamo in bagno’ o laviamo i piatti quell’acqua di scarico da qualche parte finisce. E se non ci sono i depuratori o non funzionano come si deve si finisce per inquinare pesantemente l’ambiente in cui si vive, le acque dei fiumi, dei laghi e del mare.
L’edizione 2016 dell’indagine di Goletta Verde ha evidenziato che oltre la metà dei punti monitorati sono risultati inquinati e che 1 su 5 soffre di ‘inquinamento cronico’, con livelli cinque volte “fuori i limiti di legge”. Di questi punti, il 94% corrisponde a foci di fiumi, torrenti, scarichi e canali. Tutte le regioni costiere hanno almeno un punto “malato cronico”, ma in alcune la situazione è particolarmente rilevante, con almeno 5 punti campionati che risultano inquinati ormai da anni (Marche, Liguria, Lazio, Campania e Calabria).
Sul nostro Paese, infine, pesano già due condanne e una terza procedura d’infrazione. Oltre i costi ambientali, infatti, ci sono quelli economici a carico della collettività: “a partire dal 2016, il nostro Paese dovrà pagare 480 milioni di euro all’anno, fino al completamento degli interventi di adeguamento”.
Secondo quanto previsto dalla direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE del Consiglio), gli Stati membri sono tenuti ad assicurarsi che gli agglomerati (città, centri urbani, insediamenti) raccolgano e trattino in modo adeguato le proprie acque reflue urbane. Le acque reflue non trattate possono essere contaminate da batteri e virus nocivi e rappresentano pertanto un rischio per la salute pubblica. Contengono, tra l’altro, nutrienti, come l’azoto e il fosforo, che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita, processo conosciuto come eutrofizzazione.