La notizia, ad una prima lettura, fa sorridere. Arriva al mattino con WhatsApp, in una chat creata solo per scambiarsi futili notizie o immagini divertenti tra colleghi. Questa volta è ripresa da un quotidiano locale e riporta quanto accaduto in una cittadina della provincia di Latina, Terracina.
Sembra che in un Ufficio Postale del comune pontino i servizi digitali di Poste non siano ancora così utilizzati da tutti, in particolare da alcuni utenti – che potremmo definire no-smart – ribellatisi all’ennesima provocazione digitale messa in atto da altri utenti – che potremmo definire smart – i quali, pare, si siano presentati più volte all’ultimo momento allo sportello vantando il loro diritto alla precedenza nella fila, perché già in possesso della prenotazione effettuata tramite una app creata da Poste.
L’articolo riporta che solo l’intervento della forza pubblica ha evitato che la disputa verbale degenerasse … Noi non c’eravamo, ma possiamo immaginare, che i fatti siano andati pressappoco così:
“Mi chiamo Alfredo (nome di fantasia), ho 78 anni e questa è la mattina più bella del mese, perché si ritira la pensione alle Poste! Ho messo la sveglia alle 6: mi alzo, mi faccio la barba con cura, mi innaffio con il mio dopobarba preferito, prendo il vestito della festa. Mi sbrigo … sono sicuro che questa volta sarò il primo della fila! Mentre cammino veloce, ansimando faticosamente, non posso non pensare ad Arturo (altro nome di fantasia) che il mese scorso mi ha fregato ed è stato il primo a riscuotere. Sembrava un pavone, manco fosse Claudia Schiffer in passerella … Ecco, sono arrivato … Evviva! Sono il primo! Oggi è proprio la mia giornata fortunata e tutti dovranno guardarmi con soddisfazione. Mamma mia, che freddo … e due ore sono lunghe da passare, ma gli altri sono tutti in fila dietro di me (soddisfazione). Ecco, sta arrivando anche Arturo, questa volta è alla fine della fila ma, stranamente, è accompagnato dal nipote più grande. L’ufficio sta aprendo: è il mio turno. Ma che succede? Il nipote di Arturo ha tirato fuori il cellulare, stanno saltano la fila, mi passano avanti tutti e due (terrore)! E anche quell’altro giovanotto appena arrivato. E poi un altro ancora. Ora vado dall’impiegato e denuncio l’ingiustizia. Sapete cosa mi ha risposto? “Signore mio, è tutto regolare; gli altri si sono prenotati con la app delle Poste”. Ma app “de che”? A me non mi fregate, sono due ore che faccio la fila! Io ho visto la guerra e non saranno certo i raccomandati da questa signora App a fregarmi. Arturo mi guarda sorridendo … No, questo è troppo. Ora prendo il bastone e lo punto come una baionetta prima di saltargli addosso. Mi strattonano, urlano, oddio! Arrivano i carabinieri…”
Questo piccolo e apparentemente insignificante episodio, che abbiamo così ricostruito nella nostra fantasia, evidenzia invece il palese ritardo patologico che affligge il nostro Paese, da anni in attesa di quella che dovrebbe essere la priorità per un reale sviluppo economico e sociale: la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione centrale e locale.
Tutti conosciamo o abbiamo sentito parlare di “digital divide” o di “gap generazionale” nei confronti degli strumenti digitali. Ammettiamolo: inconsciamente ed istintivamente abbiamo tutti sorriso di fronte a episodi come quello riportato dall’articolo di quel giornale.
Ma proviamo, per una volta, ad immedesimarci nell’utente no-smart, in “Alfredo”, nell’utente che potremmo definire “culturalmente differente”, come “l’immigrato digitale” (cresciuto prima delle tecnologie digitali, adottate in un secondo tempo) o come il “tardivo digitale” (cresciuto senza tecnologia, che a tutt’oggi guarda ancora con diffidenza). Non dimentichiamo, però, che entrambe le due figure sono e restano soprattutto “cittadini” oltre che “utenti”.
Riflettiamo: queste persone sono state improvvisamente, nel giro di pochi anni, travolte dalle novità tecnologiche e dall’offerta di nuovi servizi, il più delle volte disarticolati e disomogenei tra loro che hanno stravolto la loro tranquilla quotidianità fatta di carta, moduli da compilare, biglietti elimina-code, angusti uffici pubblici, file interminabili, ma anche di contatti fisici e relazionali con gli altri utenti visitatori degli uffici pubblici o con gli operatori di sportello.
Nel giro di poco più di tre decenni infatti (dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso) si è passati, ad esempio nel campo della telefonia (con intervalli sempre minori) dal telefono “a disco” al telefono “a tastiera”, da questo al “cellulare”, quindi dal cellulare TACS a quello GSM, e ancora ad acronimi come GSM, GPRS, EDGE, UMTS, HSPA, LTE, ed in futuro 5G … in un susseguirsi vorticoso di novità tecnologiche sempre più sofisticate, che hanno richiesto anche frequenti aggiornamenti e ulteriori spese, per garantirsi un hardware compatibile con tutte le novità.
Sicuramente molti di noi, negli ultimi anni del secolo scorso, erano soliti regalare per Natale i primi dispositivi tecnologici al nonno, che già faticava a comprendere il significato di “telefono cellulare”. Il cosiddetto “telefonino” da allora ebbe vita sempre più corta, perché in pochi anni denominazioni e modelli di telefono furono sostituiti da altri con denominazioni diverse e per di più sempre più difficili da pronunciare (“smartphone”, “tablet”, “phablet”) e di non immediata comprensione, senza più tasti da pigiare, ma solo un piccolo schermo da toccare in una piccola area disposta ordinatamente, ma di dimensioni ridotte … Che rivoluzione!
Alcuni servizi hanno subìto nel corso degli anni una evoluzione verso il digitale come, ad esempio, le fatture delle utenze di servizi. Fino a qualche anno fa, le “bollette” si ricevevano esclusivamente a domicilio e dovevano necessariamente essere pagate all’Ufficio Postale in contanti. Nel corso degli ultimi anni questo “processo analogico” (insieme a pochi altri, purtroppo …) è stato quasi totalmente affiancato da una sua versione (parzialmente) digitale: notifica della emissione della fattura via SMS, consegna della copia digitale della fattura nella propria mailbox e possibilità di pagamento e consultazione online.
In ambito pubblico, purtroppo, i processi ancora ricalcano pedissequamente il processo mentale analogico, senza che questo sia realmente ripensato e reingegnerizzato nell’ottica dell’utente finale, eliminando, di fatto, alcuni passaggi inutili e ridondanti quali, ad esempio, l’inserimento continuo e ripetuto dei dati anagrafici e di residenza ogniqualvolta si renda necessario, attingendo, invece, dall’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), realtà ancora in divenire e non sufficientemente considerata essenziale per poter muovere i primi reali passi verso una centralizzazione delle informazioni.
Nonostante queste buone intenzioni, il gap digitale persiste nella cittadinanza più restia al cambiamento e senza un intervento deciso e al tempo stesso “educativo” dello Stato, gli episodi come quelli sopra narrati potrebbero continuare ancora per anni.
No, non stiamo facendo semplice apologia del luddismo (da Google: “movimento operaio britannico dei primi decenni del sec. XIX, caratterizzato da reazioni violente contro l’introduzione delle macchine e la conseguente disoccupazione”); stiamo solo evidenziando come l’inarrestabile processo di digitalizzazione non può essere scisso da un altrettanto necessario processo pedagogico che supporti quanti, per ragioni economiche o culturali, sono rimasti indietro e ne “decodifichi” i messaggi ponendo l’accento sugli aspetti positivi e di semplificazione che questi offrono, piuttosto che su quelli negativi indotti dall’utilizzo di servizi e strumenti informatici.
La scuola e l’università (per una prima alfabetizzazione ed un approfondimento direttamente proporzionale al percorso scolastico e universitario dello studente), i network televisivi pubblici e privati (per una divulgazione a tappeto sul territorio nazionale dei concetti base a favore di tutta la cittadinanza), le strutture sociali (per una divulgazione frontale sussidiaria sul territorio locale nei centri anziani, negli oratori, nei circoli culturali, ecc.) dovranno essere gli strumenti delegati ad offrire queste opportunità a quanti più cittadini possibili.
E lo Stato dovrà fare naturalmente la sua parte: estensione della copertura wi-fi a quante più zone possibili urbane ed extra-urbane, unita ad un’offerta gratuita dell’accesso ad Internet finanziata con fondi pubblici.
La digitalizzazione è una rivoluzione paragonabile solo a quella industriale.
L’utilizzo dell’aratro al posto del bue venne osteggiata e quindi accettata, perché i risultati superarono di gran lunga quelli avuti grazie all’utilizzo dei vecchi strumenti; l’utilizzo della macchina a vapore al posto del cavallo generava timori, perché ancora non si conoscevano le conseguenze della velocità rispetto a quella che un cavallo opportunamente domato e gestito poteva offrire.
Non possiamo che chiederci allora cosa ci riservi il futuro e quale sarà la rivoluzione tecnologica a cui un giorno, anche noi, faticheremo ad adeguarci…perché ahimè il progresso tecnologico è un processo che non si arresta e da cui non si può scappare. Per questo deve essere proposto e diffuso con la consapevolezza del cambiamento, vissuto non come ostacolo ma come opportunità.
La digitalizzazione saprà essere vero strumento sociale, efficace, equo ed eticamente giusto, quando tutti i cittadini, giovani e anziani, facoltosi e meno abbienti, istruiti ed ignoranti potranno e sapranno accedere ai relativi strumenti e servizi con la convinzione di vivere un’esperienza di progresso civile e non di esercizio coatto nella privazione dei propri diritti di cittadini analogici.