Quel che è avvenuto ieri 17 novembre 2016 in AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) segna una frattura che non ha precedenti in questa consiliatura.
Dopo una infuocata riunione di Consiglio, viene infatti diramato alle 17.30 un comunicato stampa che, nel rendere di pubblico dominio i dati di “monitoraggio” relativi alle due settimane del periodo di campagna referendaria (dal 31 ottobre al 13 novembre 2016), segnala che l’Autorità ha “ordinato” alla Rai di aumentare i tempi di trasmissione dedicati alla trattazione dell’argomento e ha “invitato” a far altrettanto a Mediaset e Sky ed ha “richiamato” specificamente il Tg4 a riequilibrare entro la settimana il tempo di parola a favore del “No”… Il comunicato precisa che “…tutte le decisioni sono state assunte a maggioranza”. Inoltre, “…in relazione agli esposti riguardanti la presenza del Presidente del Consiglio alla trasmissione “Che tempo che fa”, il Consiglio ha ordinato alla Rai di far pervenire entro 24 ore la lista dei prossimi ospiti per poter valutare il rispetto delle condizioni di parità di trattamento ai sensi dell’art. 8 del Regolamento della Commissione di Vigilanza in materia di par condicio referendaria, riservandosi la facoltà di adottare misure d’urgenza”.
Si tratta di decisioni che appaiono discretamente forti, se si osserva la storia – recente o meno – dell’Agcom.
A distanza di mezz’ora (ore 18.03), lo stesso ufficio stampa dell’Agcom dirama una nota del Commissario Antonio Martusciello, che annuncia che non parteciperà più a riunioni del Consiglio in materia di “par condicio”.
Per un’istituzione che si è spesso caratterizzata per un clima – almeno verso l’esterno – per lo più moderato e tendenzialmente alla ricerca dell’unanimità, si tratta di un evento con pochi precedenti nella sua storia (almeno di questa intensità).
Un marxiano commenterebbe “contraddizioni interne del capitalismo”, e sorriderebbe sulla “fine imminente del sistema”.
In verità è molto meno. La realtà è molto più complessa (e non ci sarà nessuna “fine”!), ma alcuni segni di “sommovimenti” c’erano stati nelle ultime due settimane, e crediamo sia opportuno segnalarli.
L’atto di indirizzo sull’”hate speech” e la querelle con Travaglio
Due iniziative recenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni meritano infatti un approfondimento, perché possono essere ritenute entrambe sintomatiche di un modus operandi.
Ci riferiamo all’“atto di indirizzo” cosiddetto sull’“hate speech” ovvero sul trattamento mediatico della dignità umana (deliberato il 16 settembre 2016, ma reso noto soltanto il 2 novembre), ed alla lettera di rettifica indirizzata al direttore de “Il Fatto Quotidiano” martedì 15 novembre (a seguito della pubblicazione di un editoriale di Marco Travaglio il giorno stesso).
Se è vero che, per legge, un’“autorità garante” del mercato dovrebbe porsi come soggetto pubblico che regola e garantisce, ovvero che stimola la dialettica tra i soggetti del mercato, in primis consumatori e aziende, a volte si ha l’impressione che questa funzione rischia di dimostrarsi in più di un caso come inadeguata. A tale proposito si rimanda alla indimenticabile puntata di “Report” di Milena Gabanelli (Rai3, 14 novembre 2010), “Il debole dell’Autorità: Consob, Antitrust, Privacy, Agcom, Isvap, Aeeg”, firmata da Bernardo Iovene.
Per l’Agcom, in particolare, il compito è certamente complesso e gravoso assai, perché l’istituzione opera su due differenti – eppur interagenti – fronti, quello economico (tutela della competizione nel libero mercato e del consumatore) e quello culturale (in senso lato: tutela delle libertà e del pluralismo).
Si tratta di un’istituzione ancora giovane, istituita nel 1997 grazie alla cosiddetta “legge Maccanico”. Le origini storiche vanno cercate nella legge sull’editoria del 1981, che istituì giustappunto il “Garante dell’Attuazione della Legge sull’Editoria”, che doveva soprattutto vigilare affinché non si verificassero concentrazioni d’impresa e non emergessero soggetti in posizione dominante sul mercato. Nel 1990, la “legge Mammì” lo trasforma in “Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria”.
Nello stesso anno, altra legge istituì l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), nell’economia della legge italiana a tutela appunto della concorrenza e del mercato (un ritardo che rispetto agli Stati Uniti è stato semplicemente di un… secolo). Nel 2012, il Consiglio di Stato ha assegnato ad Agcom una competenza esclusiva in materia di tutela dei consumatori nell’ambito specifico dei servizi di comunicazione elettronica, a scapito del ruolo analogamente esercitato dall’Agcm, l’Autorità Antitrust.
L’Agcom ha assunto due mesi fa una delibera che ha (avrebbe) come obiettivo la stimolazione di un livello di maggiore sensibilità da parte dei media rispetto al trattamento mediatico ovvero in relazione alla “dignità umana” delle “minoranze” e delle “diversità”, con particolare attenzione ai migranti, nel contesto complessivo della lotta al sempre più diffuso “hate speech”; martedì scorso ha diramato un comunicato stampa a mo’ di rettifica di un editoriale del Direttore de “Il Fatto Quotidiano”, ironicamente intitolato “Agcomiche”, pubblicato lo stesso giorno.
Si tratta di due iniziative che non hanno, ad una prima lettura, una relazione, ma in verità il nesso c’è, eccome.
La prima iniziativa è un “atto di indirizzo” assunto il 16 settembre (ed incomprensibilmente reso noto soltanto il 2 novembre), che pure non ha registrato alcuna ricaduta nelle rassegne stampa dei quotidiani, e già questa constatazione dovrebbe stimolare alcune riflessioni.
La seconda iniziativa ovviamente non ha avuto nessuna ricaduta mediale, se non sulle colonne dello stesso quotidiano (come è prassi consolidata in casi di questo tipo, le altre testate tendono ad ignorare notizie che potrebbero indirettamente promuovere i concorrenti). Ma quel che è accaduto giovedì in Consiglio è stato certamente condeterminato, o comunque influenzato, anche dall’editoriale di Travaglio, così come dall’esposto che il Presidente della Commissione di Vigilanza Roberto Fico ha presentato all’Agcom sulla vicenda di Renzi a “Che tempo che fa” e dalle non meno feroci critiche che aveva manifestato mercoledì in un’interrogazione parlamentare il Presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta.
L’osservazione critica che intendiamo porre è di sostanza e al contempo di forma.
Che senso ha assumere una delibera come quella sull’“hate speech”, pur animata dalle migliori intenzioni, nella coscienza che l’Italia è un Paese caratterizzato da un’infinita vischiosità, da un lassismo pervasivo, che determina una sostanziale inefficacia di qualsiasi decisione che non sia assunta con forza, vigore, intensità, e, nel caso in ispecie, caratterizzata da un apparato sanzionatorio?!
Nella sua delibera settembrina, nel suo cortese “invito”, il Consiglio di Agcom ricorda che, nella diffusione di notizie, i programmi dovranno uniformarsi a criteri di “verità, continenza ed essenzialità, correttezza del linguaggio e del comportamento”, evitando il ricorso a opinioni fondate sull’odio o sulla discriminazione, che incitino alla violenza fisica o verbale, offendendo la dignità umana e la sensibilità degli utenti, contribuendo a creare un clima informativo culturale e sociale motivato da pregiudizi o interferendo con l’armonico sviluppo psichico e morale dei minori.
Agcom pone particolare attenzione riguardo i flussi migratori che stanno investendo il nostro Paese, richiamando i programmi a rivolgere particolare attenzione alle modalità di diffusione di notizie e di immagini, avendo cura di procedere ad un’oggettiva rappresentazione delle problematiche, mirando a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno dell’“hate speech”, contrastando il razzismo e la discriminazione, e in ogni caso l’affermarsi di stereotipi. Si legge: “…l’Autorità invita quindi i fornitori di servizi media audiovisivi e radiofonici ad adottare ogni più opportuna cautela, in particolare nel corso delle trasmissioni diffuse in diretta, nonché a valutare i possibili rischi di incorrere nel mancato rispetto dei principi richiamati, impegnando i direttori, i registi, i conduttori e i giornalisti a porre in essere ogni azione intesa ad evitare situazioni suscettibili di degenerazione”.
A parte il non entusiasmante stile di scrittura del testo, la domanda: cosa accade se “i fornitori di servizi media audiovisivi e radiofonici” non accolgono il cortese “invito”?!
Nulla. Questo è il vero problema: deficit di metodiche e deficit di strumentazioni.
Abbiamo già spiegato il “vulnus” dell’atto “di indirizzo”, su queste colonne (vedi “Key4biz” dell’8 novembre 2016, “Immigrati sui media, immagine distorta in Italia”). L’atto assunto dall’Agcom corre il rischio di rappresentare il metaforico buco nell’acqua (se fosse un atto di legge, lo si classificherebbe come “norma imperfetta”, perché non munita di sanzione): proclama altisonante nelle intenzioni di chi lo pronuncia, ma totalmente inascoltato dal destinatario, che, magari, dopo averlo letto, produce pure uno stentoreo (questo sì) spernacchio à la Totò. Siamo appunto nell’ambito della “commedia all’italiana”.
La fotografia e la manutenzione dell’esistente, Martusciello ed il “discostamento” dalla prassi
Il sistema mediale italiano si caratterizza – da sempre – per una estrema discrezionalità, autoreferenziale ed autoregolatoria, in assenza di un adeguato sistema di pesi e contrappesi. Si ricordi che la stessa “legge Mammì”, prima citata, fu bollata da molti avversari come una norma destinata a (ri)produrre una “fotografia dell’esistente”.
A distanza di decenni, forse gli avversari di Mammì avevano allora ragione, se guardiamo “l’esistente” attuale e lo confrontiamo con quello di allora: se cambiamenti ci son stati, e ci sono certamente stati (dal digitale al web…), essi son stati determinati dalla variabile tecnologica, non certo dalla variabile istituzional-politica.
In Italia, anche quando lo Stato emana leggi valide e lungimiranti, la loro efficacia crolla spesso nella fase di attuazione (e regolamentazione), anche a causa della sostanziale assenza di un sistema efficace di controllo e di verifica.
Referendum o non referendum, il caso della “par condicio” è la cartina di tornasole di questa dinamica vischiosa, debole, fragile.
L’Agcom non si è purtroppo mai dotata di un apparato tecnico adeguato ovvero della strumentazione indispensabile per una corretta misurazione quali-quantitativa del pluralismo (informativo e politico), e quindi non è in grado di rispondere in modo puntuale ai rilievi che le vengono posti da qualsivoglia “parte”.
In effetti, al di là delle carenze nelle metodiche (quali “tempi” – di “notizia”, di “parola”, di “antenna”… – misurare e come?!), il sistema attuale di monitoraggio del pluralismo (che Agcom subappalta a caro prezzo a Geca Italia srl, mentre la Rai all’Osservatorio di Pavia, anche qui con costi non esattamente modici anche se inferiori) fa acqua da tutte le parti: questo è il parere unanime di tutti gli esperti indipendenti.
E quindi l’Autorità, anche ipotizzando una sua auspicabile volontà di intervento forte e vigoroso, non dispone purtroppo della “autorevolezza tecnica” per corroborare il proprio operato. E scoppiano le contraddizioni interne.
Cosa scrive infatti, con tono duro, Martusciello: “Ho espresso il mio voto contrario in quanto le scelte adottate dall’Organo Collegiale mi trovano in dissenso in quanto non rispecchiano, a mio parere, la prassi seguita nelle passate campagne referendarie ed elettorali, sia dalle precedenti che da questa consiliatura. L’applicazione della normativa sulla par condicio da parte dell’Autorità è stata sempre improntata, fino ad oggi, a far rispettare rigorosamente alle emittenti radiotelevisive, durante tutto il periodo elettorale e referendario, i principi di pluralismo, imparzialità, completezza, obiettività e parità di trattamento dell’informazione. Precedentemente l’Autorità non ha mai mancato di adottare provvedimenti nei casi in cui ha rilevato la sovraesposizione del Presidente del Consiglio, di membri del Governo e di esponenti politici nelle trasmissioni di informazione e nei notiziari, soprattutto in caso di sovrapposizione di ruoli istituzionali e partitici. Analogamente sono stati oggetto di provvedimenti di richiamo, ordine e sanzione gli squilibri tra le forze politiche o tra le posizioni favorevoli e contrarie a quesiti referendari, potenzialmente in grado di alterare la parità di trattamento nella fruizione degli spazi di informazione”.
Secondo Martusciello, quindi, finora, tutto è andato bene, con la presidenza Cardani, così come nelle precedenti consiliature, di Enzo Cheli dal 1998 al 2005 e di Corrado Calabrò dal 2005 al 2012.
Precisa il Commissario: “La campagna sul referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre è stata caratterizzata fin dall’inizio dalla stretta correlazione tra le tematiche referendarie e quelle politiche, il che ha portato l’Autorità a decidere nel proprio regolamento di esaminare sia il tempo relativo al referendum sia quello complessivamente dedicato alla politica, al fine di monitorare l’effettivo rispetto da parte delle emittenti dei principi di legge posti a presidio del pluralismo dell’informazione. Il Collegio, a mio avviso non ha dato però seguito a questa impostazione con idonei provvedimenti. Per tale ragione, e per il discostamento dalla prassi che ha caratterizzato l’applicazione della legge nelle precedenti campagne, ho deciso di non partecipare più alle riunioni del Consiglio relative alla par condicio sino allo svolgimento del referendum”.
La questione sembra essere di natura squisitamente metodologica: il Commissario dissidente sostiene che, finora, tutto avrebbe funzionato al meglio, mentre la riunione di giovedì evidenzierebbe un “discostamento” dalla prassi.
Ci permettiamo di osservare che forse il “discostamento” dovrebbe provocare invece una sana riflessione autocritica sulla “prassi” storica. La questione è infatti complessa metodologicamente, ma determina conseguenze politiche non indifferenti. Se le metodiche e le tecnicalità con cui si misura il pluralismo sono fragili, debole diviene qualsiasi determinazione che si assume su quelle misurazioni. Il che avveniva prima ed avviene oggi.
E se l’istituzione è fragile nell’attività forse più delicata ai ruoli istituzionali dell’autorità (trattare di pluralismo significa “giocare” con la democrazia), che senso ha promuovere un “atto di indirizzo” (sul trattamento mediatico della dignità umana) che lascia esattamente il tempo che trova?!
Belle parole, buoni auspici, poi tutto resta esattamente come prima?
La velocità e la politica, e la nomina del nuovo Commissario Agcom
Si apre però ora, al di là del referendum, un’altra partita importante per il futuro dell’Agcom: la sostituzione del compianto Commissario Antonio Preto.
Non si ritiene che democraticamente, su 5 commissari, almeno 1 debba “rappresentare” o comunque fare riferimento ed essere espresso da quella vasta area “non governativa”, pur in minoranza in Parlamento (ma non si sa quanto nel Paese attuale), che va dai dissidenti del Partito Democratico a Sinistra Italiana al Movimento Cinque Stelle?
L’elezione di un Commissario Agcom esponente di quell’area eterogenea, magari una personalità indipendente con un curriculum qualificato su queste tematiche, è una sfida che il Parlamento dovrà presto affrontare. Rispetto ai tempi prevedibili, si ricorda che il Commissario Maurizio Décina si dimise (per ragioni personali) il 4 settembre 2013, e il suo successore Antonio Nicita è stato eletto il 14 novembre 2013.
Quel che è veramente incerto è prevedere oggi che maggioranza si andrà a determinare in Parlamento, anche su questa vicenda, dopo il 4 dicembre prossimo…
- Clicca qui, per leggere l’editoriale de “il Fatto Quotidiano”, a firma Marco Travaglio, intitolato “Agicomiche”, 15 novembre 2016
- Clicca qui, per leggere il comunicato stampa Agcom sull’articolo di Travaglio, 15 novembre 2016
- Clicca qui, per leggere la replica di Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 16 novembre 2016
- Clicca qui, per leggere il comunicato stampa Agcom del 2 novembre, sull’“Atto di indirizzo” cosiddetto “hate speech”
- Clicca qui, per leggere l’“Atto di indirizzo sul rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, di approfondimento informativo e di intrattenimento”, delibera n. 426/16/Cons del 16 settembre 2016
- Clicca qui, per leggere il comunicato stampa diramato dall’Agcom a conclusione del Consiglio del 17 novembre 2016