Italia
Uno degli argomenti più discussi durante l’incontro DLeaders del 18 giugno a Bruxelles è stato sicuramente quello dell’alfabetizzazione digitale. Si tratta di un tema che negli ultimi anni ha cominciato a interessare non solamente la Commissione, ma anche i politici europei, dimostratisi sensibili nei confronti di tematiche specifiche (come la salvaguardia dei minori in Rete), pur mancando ancora di un approccio sistemico. Per inquadrare correttamente la situazione europea, ed in particolare quella italiana, è utile ricorrere ad alcuni dati.
Nel 2012, l’Eurostat ha tracciato una panoramica della condizione dei singoli stati nazionali e dei cittadini europei nei confronti delle digital skill. Per certi versi i risultati non evidenziano nulla di nuovo. Se i Paesi della zona ‘core’ e nordeuropea rivelano avere un vantaggio competitivo, con Svezia, Danimarca e Lussemburgo ad avere il maggior numero di persone comprese tra i 16 e i 74 anni che abbiano usato almeno una volta un computer, il Sud e l’Est del Vecchio Continente arrancano, con percentuali che raggiungono a fatica il 60%.
In Italia in particolare, quasi il 40% della popolazione non ha mai usato un computer, e meno del 50% possiede le abilità di base nell’utilizzo degli applicativi d’ufficio. Aggiungendo a questi dati la percentuale bassissima di laureati (solo il 19% della fascia compresa tra i 25 e i 34 anni), e che di questi solo l’1,3% abbia scelto un corso di laurea in informatica, ci rendiamo conto che il più profondo divario esistente nel nostro paese non riguarda l’accesso alla Rete, e dunque il digital divide (riconoscendo in ogni caso che si tratti di un argomento di primaria importanza) quanto l’alfabetizzazione digitale in senso stretto.
Provvedere all’educazione digitale dei cittadini non soltanto dal punto di vista pratico, ma soprattutto dal punto di vista culturale e della consapevolezza deve diventare una priorità dei decisori pubblici. I nostri giovani in particolare si trovano totalmente sprovvisti degli strumenti necessari per interpretare i grandi cambiamenti generati dalle moderne tecnologie ICT.
In particolare il concetto stesso di nativo digitale, spesso enfatizzato dalla stampa e dalla letteratura comune, andrebbe profondamente rivisto: se è chiaro che coloro che sono nati dopo l’avvento delle interfacce utente abbiano una maggior familiarità con le stesse, ciò non significa che sappiano che cosa sia il cloud computing, quali siano i comportamenti più adatti da tenere su un social network, scegliendo cosa condividere o meno, conoscendone i modelli di business e i sistemi di monetizzazione, essendo consci del trade-off che molte aziende propongono tra dati personali e servizi web gratuiti, eccetera. Tutto questo è carente o totalmente assente nel dibattito pubblico e inibisce drammaticamente la capacità di confronto su tematiche che saranno centrali nei prossimi anni, se non addirittura nei prossimi mesi.
L’accordo di partnership transatlantica, in particolare, è senza dubbio una straordinaria occasione di rinforzo del legame euroatlantico e del rapporto tra i due pilastri dell’Occidente. All’interno dei complessi negoziati che si apriranno a breve, verrà inevitabilmente messa in discussione la posizione europea sulla privacy, sui dati, sul diritto all’oblio e su molte altre tematiche che toccheranno vividamente la vita di ciascun cittadino, ed in particolare dei più giovani. La mancanza di un potenziamento delle digital skill e della consapevolezza riguardo queste tematiche renderà milioni di persone incapaci di effettuare pressioni sui decisori politici nel caso i negoziati prendessero una direzione non favorevole all’interesse degli stessi cittadini europei ed italiani, sia dal punto di vista personale che da quello del business.
Risulta fondamentale intervenire al più presto, a livello continentale ed italiano, con un programma di alfabetizzazione strutturato e diretto che copra ampie fasce della popolazione, coinvolgendo gli attori e gli stakeholders già operanti sul territorio.
Mi permetto di citare l’esperienza a cui ho dedicato gli ultimi due anni: GSE – Green Geek School Education, un progetto no-profit e autofinanziato che porta la cultura dell’innovazione direttamente nelle scuole superiori italiane, attraverso interventi di 2 ore mirati a divulgare le tematiche più importanti dell’IT, dell’innovazione e della sostenibilità in maniera leggera e vivace. Si tratta di un piccolo esempio di cosa è possibile fare nell’immediato per aggredire il problema.
Concludendo, è indispensabile vedere questo deficit non come un handicap permanente ma come un’occasione per fare di meglio: solo liberando il potenziale innovativo dei cittadini europei ed italiani potremo riprendere la corsa verso un’Europa e un Bel Paese maggiormente competitivi e veloci.
Consulta il profilo Who is Who di Andrea Latino
Per maggiori approfondimenti: