Mercato alle corde, crollo investimenti: urge una nuova visione e un nuovo ruolo dell’AgCom

di di Raffaele Barberio |

AgCom dovrà riposizionare il proprio compito, con il ruolo terzo e ‘tecnico’ che le compete e che la legge le assegna, ma con l’arguzia di approcci politici.

Italia


Raffaele Barberio

Questa mattina nella Sala della Lupa di Montecitorio, l’AgCom ha presentato il Rapporto annuale delle attività, facendo il punto sull’intero sistema italiano delle comunicazioni.

Un compito forse ingrato per il nuovo Consiglio presieduto da Angelo Cardani, che in quest’occasione ha avuto il battesimo del primo resoconto annuale.

Pochi sorrisi, poco senso dell’evento, un’atmosfera quasi da atto dovuto. Il quadro nazionale che ne è venuto fuori è infatti deludente e in qualche caso rappresenta fenomeni di déb’cle tali da imporre alcune considerazioni sul ruolo degli attori istituzionali coinvolti.

Nel 2012 il settore delle comunicazioni ha registrato ricavi per 61 miliardi di euro, con una perdita di quasi 4 miliardi e mezzo (-6,6%) rispetto all’anno precedente. Un calo che si riflette in tutti i settori, ma che registra nelle telecomunicazioni (che coprono 62% del mercato) le perdite maggiori, rispetto a TV, editoria e radio.

Siamo il Paese al quarto posto nella classifica del numero di persone che non ha mai avuto accesso a internet, quindi con una fetta cospicua di popolazione ai margini della rete.

Cala il contributo al PIL dei servizi di Tlc (dal 3,2% del 2006 al 2,4 del 2012), cala la spesa delle famiglie per servizi di comunicazione sul totale dei consumi (dal 2,41% all’1,94% nello stesso periodo).

Il quadro che ne viene fuori è drammatico.

Come salvare il mercato?

Come rilanciare l’economia digitale?

Quali misure adottare?

Quale vision delineare?

Quali ruoli i ruoli da spendere in modo nuovo, usando, come dice lo stesso Cardani, le “lenti del futuro”?

E’ evidente che occorre discontinuità. Se ne sente il bisogno.

Anche rispetto agli ultimi dodici mesi.

Impensabile che l’AgCom orienti il suo operato solo alla salvaguardia delle convenienze per il consumatore.

E’ sicuramente un obiettivo importante, ma non sufficiente, se non accompagnato da pari attenzione per la tutela delle dinamiche di mercato e un generale orientamento verso la crescita e lo sviluppo dell’economia digitale e delle sue imprese, che insieme creano posti di lavoro con competenze avanzate, economia del futuro, nuovi scenari di cooperazione internazionale e rapporti virtuosi tra persone, territori, imprese e università.

Altrimenti avremo regole (e non è detto che siano le migliori) in un quadro in cui non ci saranno più i contendenti di mercato.

Il mercato delle telecomunicazioni italiane è allo stremo.

Tutte le imprese di settore sono impegnate in una strenua resistenza contro le difficoltà del momento, un momento che dura ormai da troppi anni.

Sono quasi dodici anni che non si registrano misure di politica industriale destinate al settore delle telecomunicazioni, avendo avuto, in tutto questo periodo quattro ministri che si sono occupati prevalentemente di televisione e di televisioni.

Altro che reti di nuova generazione.

Qui l’AgCom può avere una responsabilità inequivocabile ed immensa per il futuro.

E deve gestirla per il meglio, come tutti si aspettano che avvenga.

Dovrà riposizionare il proprio compito, con il ruolo terzo e “tecnico” che le compete e che la legge le assegna, ma con l’arguzia della preferenza di approcci “politici” che connotino le sue scelte: un approccio “politico” del settore, la scelta di regole che devono sostengano sviluppo e rilancio, l’individuazione di che richiamino nuovi consumi sollecitando una nuova domanda, compresa quella sin qui inespressa.

Se non ci sarà una discontinuità, un cambio di passo, difficilmente si creeranno quelle condizioni che tutti, imprese e consumatori, attendono.

In caso contrario, diventeremo terra di conquista, perdendo ogni prerogativa di esercizio del nostro libero arbitrio, anche in questo settore.

 

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