Sempre più tesi i rapporti tra Mediaset e Vivendi. Difficile prevedere che i due gruppi possano accordarsi e, stando così le cose, neanche l’imminente asta della Champions League sembra possa sortire un avvicinamento come qualcuno aveva ipotizzato.
Il presidente di Vivendi, Vincent Bolloré, ha deciso stoppare il progetto della media company paneuropea partito con tanta enfasi e da giorni si vocifera di un possibile ruolo di Sky che potrebbe rientrare nella partita di Premium mentre si sta lentamente avvicinando al mercato francese del video streaming.
In tutto questo il finanziere bretone ha pronto un nuovo piano.
La ricetta Bolloré
Per far ripartire Vivendi, Bolloré punta sulla pay tv Canal+ da troppo tempo all’impasse.
Per il ‘condottiero’ d’oltralpe, dovrebbe produrre più serie tv, film e contenuti originali se intende ancora sfidare Netflix.
Senza tralasciare, indica La Tribune, l’importanza di stringere accordi con gli operatori tlc e sfruttare pure le sinergie con la controllata Dailymotion.
Questa è la ricetta semplice, semplice, che Bolloré vuole utilizzare per far risalire la china a Canal+ e rilanciare Vivendi.
Il finanziere pensa che questa possa essere la formula magica per frenare le pesanti perdite di abbonati e l’emorragia di denaro.
Con 400 milioni di perdite nel 2016, non si può certo andare per il sottile.
Questa operazione non è vista di buon occhio da tanti.
L’intervento di epurazione di Bolloré nella pay tv ha fatto tanto discutere.
In molti, commenta La Tribune, lo vedono come un ‘becchino’ che ha levato alla pay tv il caratteristico e tradizionale senso dell’humor.
“Bolloré è diventato nel giro di pochi mesi il punching-ball preferito dai media e dall’opinione pubblica”, scrive il quotidiano francese.
Ma a lui poco importa e si nasconde dietro il proprio progetto industriale di voler creare un gigante tale da competere con Netflix e Amazon.
Anche se ormai anche qui procede al ralenti.
Bisogna però dire che questi campioni americani del video streaming possono rispettivamente contare su 75 milioni e 46 milioni di abbonati in tutto il mondo.
E Canal+?
15,8 milioni di abbonati su scala globale di cui 8,2 milioni in Francia.
La dieta imposta in Francia è quindi un imperativo per Bolloré, necessaria per aumentare la produzione di contenuti che siano più spendibili anche all’estero.
Disporre di contenuti è una cosa ma per raggiungere i clienti bisogna disporre di potenti canali di distribuzione. Ecco quindi spiegato l’avvicinamento alle telco.
E’ questo il motivo per cui Vivendi ha preso il controllo di Telecom Italia (24,7%) e mantiene una piccola quota in Telefonica (0,95%).
Ha messo in campo Dailymotion, rilevata lo scorso anno da Orange.
E per il futuro?
Bolloré ha parlato di accordi con operatori francesi.
In molti hanno subito pensato a Orange che, secondo Challenges, starebbe pensando di prendere il 20% di Canal+ in cambio di una quota di Telecom Italia.
Duello in punta di fioretto
Mediaset è, intanto, partita all’attacco sta valutando la richiesta di procedura d’urgenza per il contenzioso con Vivendi. A scriverlo è Il Sole 24 Ore, secondo il quale l’obiettivo del Biscione è quello di ottenere una prima udienza in autunno, rispetto alla data del 17 febbraio 2017, già assegnata in via ordinaria e arrivare a sentenza di primo grado nel giro di 6 mesi.
Il gruppo italiano poi questa settimana ha anche presentato un esposto all’Autorité des marchés financiers (trasmesso per conoscenza anche alla Consob) affinché Vivendi “corregga” le affermazioni contenute nella sua relazione semestrale a riguardo del controverso accordo siglato ad aprile che non intende più rispettare.
Secondo quanto riferisce Reuters, però, un portavoce dell’Autorità di Borsa ha sottolineato che l’Amf “non ha il potere di dirimere una disputa commerciale tra due società”.
Ma andiamo con ordine.
La ricostruzione di Vivendi
Nella lettera all’Autorità francese di Borsa si fa riferimento ai passaggi della relazione semestrale di Vivendi, datata 25 agosto, dove si legge che l’accordo firmato l’8 aprile era subordinato “alla due diligence condotta da Deloitte, come concordato contrattualmente”. Era emerso chiaramente dall’audit e dalle analisi di Vivendi, prosegue la relazione degli amministratori, che le cifre fornite da Mediaset prima della firma del contratto non erano “realistiche” ed erano invece fondate su una base “artificialmente” inflazionata.
Questo, spiega Vivendi, aveva condotto le due parti a rinegoziare in giugno i termini dell’accordo. E, mentre proseguivano le discussioni, improvvisamente Mediaset e Fininvest procedevano invece a lanciare “un attacco mediatico, a danno degli interessi e dell’immagine di Vivendi”.
Nella relazione si indica anche che Vivendi aveva pre-notificato alla Ue l’operazione ma per l’ok è necessario che vengano apportate al contratto tutte le modifiche richieste dalla parte francese.
Dunque, sottolinea la relazione, “è possibile che il nulla osta della Commissione non possa essere ottenuto prima del 30 settembre 2016, data alla quale il contratto perderebbe di validità”.
La ricostruzione di Mediaset
Mediaset ha denunciato quindi all’Amf alcuni passaggi di questa ricostruzione, sostenendo in particolare che è “incorretto, fuorvianti e non fair” e che “interferisce sul closing” dell’operazione Premium l’affermazione, riportata nella semestrale di Vivendi, secondo la quale l’accordo era subordinato all’esito della due diligence. Al contrario, nell’esposto firmato dal Direttore finanziario Marco Giordani, si riporta testualmente la clausola contrattuale che dimostrerebbe come Vivendi non avrebbe potuto sottrarsi all’adempimento di quanto concordato, salvo “dolo o colpa grave”, in dipendenza dall’esito della due diligence che, stranamente, non era stata effettuata prima della firma.
Allo stesso modo Mediaset denuncia che la due diligence di Deloitte non era stata “concordata contrattualmente” come affermato dalla controparte francese, ma, secondo la sezione 3.3 dell’accordo, Deloitte era stata invece indicata come “esperto” esclusivamente per calcolare l’Arpu (ricavi per abbonato) di Premium a fine 2015, sulla base di uno specifico diritto a ritirarsi dall’operazione previsto dal paragrafo 3.2 del contratto. Numeri la cui realtà è stata “confermata da Deloitte nei tempi stabiliti dal suo mandato”. Di conseguenza, conclude l’azienda che fa capo alla famiglia Berlusconi, “Vivendi non ha nessun diritto di ritirarsi dall’operazione sulla base del risultato della due diligence”. E all’autorità di Borsa francese si chiede perciò di “ripristinare una corretta informazione al mercato”.
Che ruolo potrebbe avere l’Autorità di Borsa francese?
Come riferiscono fonti d’oltralpe non è tenuta ad aprire un’indagine sulla base di una semplice segnalazione, tanto più nei casi in cui sia già in corso un contenzioso miliardario.
La tensione resta così alta in vista del 30 settembre. Da quel momento in poi si entrerà nella fase calda dello scontro e vedremo scintille.