Il quadro

ilprincipenudo. Dossier Rai: l’unica Tv pubblica europea senza ufficio studi

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Il depotenziamento dell’Ufficio Studi e del Segretariato Sociale Rai sono conseguenze di una degenerazione ‘marketing oriented’ di Viale Mazzini. Intanto per la prima volta il socio di minoranza Siae si astiene sul bilancio.

ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Da alcuni anni, la Rai non dispone più di un vero e proprio “Ufficio Studi” ed una storica struttura come il “Segretariato Sociale” è stata sostanzialmente smantellata. Non dispone nemmeno di un adeguato servizio che curi la “Customer Satisfaction” o la verifica della Qualità

Incredibile, ma vero.

Peraltro, lo stesso Presidente del Partito Democratico, Matteo Orfini, qualche settimana fa, in occasione di un convegno promosso dal gruppo senatoriale del Pd, evidenziava la gravità dell’assenza di un Ufficio Studi a viale Mazzini (vedi “Convegno Pd ‘Una grande Rai’. Campo Dall’Orto non ‘risponde’ al Partito”, su “Key4biz” dell’8 luglio 2016). Il Dg Antonio Campo Dall’Orto, soprannominato Cdo (dall’acronimo del nome, bypassando il Cda) ovvero Usac (un uomo solo al comando), non ha risposto.

Questa situazione evidenzia un sistema inevitabilmente autoreferenziale e chiuso, l’assenza di processi di retroazione, ovvero il deficit di un rapporto bidirezionale col mondo esterno che vada oltre le meccaniche “banali” del meccanismo di rilevazione dell’audience consentito da Auditel (strumento che, al di là delle recenti implementazioni, resta ben lontano da quel bilancino dell’orafo che un servizio pubblico dovrebbe adottare nei confronti dei propri utenti; e si ricordi che Rai detiene ancora il 33% delle azioni di Auditel srl).

Il quadro

La situazione evidenzia il deficit di un rapporto dialogico con il mondo esterno che vada anche oltre la “dialettica” con la Commissione di Vigilanza Rai, soggetto istituzional-politico la cui inefficacia è dimostrata dal fallimento totale della sua azione rispetto al “contratto di servizio” (quello che avrebbe dovuto essere il contratto per il triennio 2013-2015): si ricordi che la Vigilanza l’ha approvato nel maggio del 2014, ma il Governo e Viale Mazzini si sono ben guardati dal perfezionare la procedura (vedi “Il mistero del contratto di servizio che Mise e Rai si rifiutano di firmare (Fico dixit)” su “Key4biz” del 9 gennaio 2015), e di fatto è ancora vigente, nell’agosto del 2016, il contratto di servizio che era stato previsto per il triennio… 2010/2012!

Rispetto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, anche soltanto teorizzare di “dialettica” con Rai è arduo esercizio intellettuale (e politico): che fine hanno fatto le “linee-guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo” per il “triennio 2013-2015” (ai sensi dell’articolo 45 comma 4 del “Testo Unico della Radiotelevisione”), approvate da Agcom il 29 novembre 2012 (delibera n. 587/12/Cons): scritte sulla sabbia?!

Forse anche sull’acqua, dato che Governo e Rai le hanno ignorate, completamente. Parole al vento, quelle del Presidente Angelo Marcello Cardani, nella relazione presentata al Presidente della Vigilanza Roberto Fico quasi un anno dopo, il 16 ottobre 2013…

Di fatto, quella che resta la maggiore industria culturale del Paese non dispone né di una struttura adeguata per le analisi di scenario (a livello nazionale ed internazionale) e per il monitoraggio della concorrenza (a livello nazionale) così come per la comparazione con gli omologhi “public service broadcaster” (almeno a livello europeo), né di una struttura preposta al dialogo attivo con il mondo esterno all’azienda (dall’insieme dei telespettatori al “terzo settore” e più in generale alla “società civile”, ai rappresentanti delle tante “diversità” del ricco sistema sociale italiano…).

Rai non dispone peraltro nemmeno di una struttura di Relazioni Interne, e ci si domanda quanti lavoratori Rai abbiano effettivamente partecipato alla consultazione Mise “CambieRai”, se è vero che son sì giunti 9.156 questionari compilati (vedi “Consultazione Rai: perché i quesiti sono stati malposti?” su “Key4biz” del 27 luglio 2016), ma a fronte di 11.825 dipendenti di viale Mazzini (dimensione della forza-lavoro al 31 dicembre 2015).

Su queste stesse colonne, Michele Mezza si è giustamente domandato: “Cosa significa quando una consultazione su un servizio pubblico rilevante coinvolge un numero di cittadini di poco superiore ai dipendenti dell’azienda titolare di quel servizio?” (vedi la sua rubrica “BreakingDigital” nell’edizione dell’8 luglio 2016, “Rai al bivio: la certezza Pippo Baudo o il rischio della sorpresa?”). Mezza si riferisce alle dichiarazioni del Sottosegretario Antonello Giacomelli, che si vanta di 11.188 persone che si son registrate per rispondere al questionario, ma soltanto 9.156 l’hanno compilato effettivamente (ovvero, più precisamente, sono pervenute risposte da 9.156 “account” di posta elettronica). Ad esser precisi, 9.156 risposte pervenute, a fronte di 11.825 dipendenti Rai.

Strutture sulla carta

In verità, l’Ufficio Studi Rai, sulla carta, esiste ancora (ne è Responsabile Fedora Affinito), ma è un una piccola struttura che dipende, dal 2004, dalla Direzione Marketing, e già questa allocazione è sintomatica. La sua esistenza non è peraltro nemmeno citata nelle oltre 300 pagine dell’ultimo Bilancio di Esercizio 2015 della Rai (approvato il 21 giugno 2016), e ciò basti.

Il Segretariato Sociale, a sua volta, è da alcuni anni alle dipendenze della Direzione Comunicazione (ovvero, più precisamente Comunicazione, Relazioni Esterne, Istituzionali e Internazionali), ed anche quest’allocazione è sintomatica.

Le ragioni di questa incredibile deriva (l’Ufficio Studi… verso il Marketing, il Segretariato Sociale… verso la Comunicazione) sono molteplici e complesse, ma una riflessione sulla fenomenologia appare importante ed opportuna, anche nell’economia della gestazione della novella “convenzione” che dovrà regolare tra qualche mese il rapporto tra Stato e Viale Mazzini.

Si ricorda infatti che la legge n. 220 del 28 dicembre 2015, di “Riforma della Rai e del Servizio Pubblico Radiotelevisivo”, ha previsto che il rinnovo del contratto nazionale di servizio tra il Ministero dello Sviluppo Economico e Rai venga stipulato, con cadenza quinquennale e non più triennale, nel quadro della concessione che riconosce a Rai il ruolo di gestore del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale. Si ricordi anche che il 19 aprile 2016 è entrato in vigore il nuovo “Codice dei contratti pubblici” (il Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016), che ha prorogato la concessione in essere, dall’originario termine del 6 maggio 2016 al 31 ottobre 2016, anche per consentire il miglior sviluppo della consultazione pubblica prevista dalla legge di riforma della “governance” Rai.

Nell’ambito della consultazione “CambieRai”, nessuno si è però sognato di porre quesiti sulla necessità di una maggiore interazione tra la Rai ed i suoi “stakeholder”, che – Governo e Parlamento a parte – sono in fondo i telespettatori, soprattutto gli “abbonati” ovvero i cittadini “in regola” con il canone.

I risultati di CambieRai

Ci si augura comunque che Governo e Rai riflettano sui deprimenti risultati emersi dalla procedura “CambieRai”: ricordiamo che il 72% di coloro che hanno partecipato alla consultazione hanno dichiarato che Viale Mazzini non rispetta il principio di “indipendenza” del servizio pubblico; per il 56%, non rispetta la propria missione in materia di “qualità”; per il 57%, la Rai rispetta poco o per niente le “diversità”; per il 65%, il giudizio è negativo in materia di “trasparenza”, e, infine, giudizio negativo per il 77% dei rispondenti in materia di “innovazione”…

Si tratta di dati sconfortanti, che pure non ci sembra coincidano con quelli, più positivi, dell’ultima indagine sulla “Corporate Reputation” (2° semestre 2015, resi noti nel gennaio 2016), che Rai ha affidato a Mediatica spa, e forse ci si dovrebbero porre dubbi metodologici sul senso ed efficacia di quel che Viale Mazzini spende per queste ricerche, ed altre, come il “Qualitel” (anch’esso affidato a Mediatica), che producono risultati di nessuna concreta utilità strategica ed operativa. Eppure assorbono bei danari pubblici, se è vero che l’ultima tranche di appalto – assegnato a fine giugno 2016 – per i “servizi di  monitoraggio  della  qualità dell’offerta radiotelevisiva e della corporate corporation della  Rai” prevede un budget di 169.440 euro per 2 mesi di attività (il che si tradurrebbe in oltre 1 milioncino 1 di euro se proiettato su base annua)…

 

La mission

Con l’avvento di Antonio Campo Dall’Orto come Direttore Generale dal 6 agosto 2015 (e con il nuovo Consiglio di Amministrazione dal 5 agosto 2015), si è registrata una focalizzazione della “mission” del Gruppo Rai ancora una volta – e forse più di prima – di tipo “marketing oriented”.

Il che, in sé, non è grave, ma grave diviene se questo approccio è esclusivo e monodimensionale.

La “scuola” è quella di Mtv, ovviamente, ovvero la multinazionale dell’entertainment da cui Campo Dall’Orto proviene. Il “servizio pubblico” radiotelevisivo è però – e deve essere – altro.

Ad un anno ormai dall’insediamento, si può trarre questa conclusione: laddove il marketing prevale, il servizio pubblico s’indebolisce. Abbiamo ragione di ritenere che la questione sia emersa nelle discussioni del Consiglio, ma ben poco è uscito da quelle segrete stanze. Né sembra che il Cda abbia pensato di dotarsi di un “think tank” ben strutturato, che possa fornirgli le elaborazioni strategiche di cui certamente ha necessità. Anche l’esperienza del “Sestante”, stimolante newsletter interna, destinata soprattutto al Cda, elaborata qualche anno fa Paolo Sabbatucci, è stata abbandonata.

Il nuovo Cda ed il nuovo Dg non sembra abbiano infatti finora cercato di correggere gli errori delle precedenti gestioni: il “marketing” è senza dubbio uno strumento prezioso di conoscenza e guida della complessa macchina Rai, ma un “public service broadcaster” (o “public media service” come s’usa dire sempre più frequentemente) deve sviluppare un proprio “senso identitario” che vada oltre le logiche del “mercato”. Servono strumenti di riflessione adeguati e processi di interazione di tipo “bottom-up”: attenti alla società, aperti alla società. Serve una strumentazione sensibile e plurale. Non basta una rassegna stampa, non basta il monitoraggio dei “social network”. La logica che domina la Rai è invece ancora prevalentemente di tipo “top-down”, con un management inesorabilmente autoreferenziale.

Insomma, il marketing è prezioso, ma non può essere l’unico strumento di elaborazione strategica del ruolo del servizio pubblico.

Ufficio studi depotenziato

Il depotenziamento dell’Ufficio Studi e del Segretariato Sociale Rai, ed il loro “allontanamento” dal Consiglio di Amministrazione, sono conseguenze di una degenerazione sempre più “marketing oriented” di Viale Mazzini. Così facendo, Rai ha progressivamente finito per abdicare al ruolo di “servizio pubblico”, sintonizzandosi con le logiche del mercato degli ascolti e della pubblicità, ed andando inevitabilmente ad omologarsi rispetto ai broadcaster commerciali. Rai ha perso buona parte della propria distintività. È sempre più un ircocervo surreale, un Pulcinella servo di due padroni (la politica ed il mercato).

La data storica di avvio di questo percorso degenerativo può essere identificata nell’anno 2004, allorquando, nel riassetto organizzativo aziendale, ad aprile viene creata la nuova Direzione Palinsesto Tv e Marketing, affidata a Carlo Nardello (proveniente non a caso dalla Lego, entrato in Rai nel maggio dell’anno 2000 come Vice Direttore Marketing Strategico), che riportava al Direttore Generale della Rai (Flavio Cattaneo, in carica dal marzo 2003 all’agosto 2005). Ed è proprio nel 2004 che la storica collana della Rai, la gloriosa “Vqpt” acronimo che stava per “Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi”, viene riallocata presso l’Ufficio Studi della Direzione Marketing.

Si ricordi che la legge n. 49 del 1975 (intitolata “Riforma del servizio pubblico radiotelevisivo”) aveva previsto la creazione, all’interno della società concessionaria del servizio pubblico, di un gruppo di ricerca sulla qualità dei programmi trasmessi. Le ricerche dovevano essere volte alla raccolta ed “interpretazione dei dati di analisi di contenuto dei programmi televisivi”, soffermandosi in particolare sul rispetto del pluralismo nell’informazione.

Nel 1976, la Rai, in ottemperanza della disposizione legislativa, creò appunto la struttura denominata “Verifica Programmi Trasmessi”, affidata a Giancarlo Mencucci e Nicola De Blasi. La struttura faceva capo, come naturale, alla Segreteria del Consiglio di Amministrazione. Nel periodo 1976-1984, la Vpt elaborò 60 studi. Le prime monografie ebbero come oggetto la comunicazione politica (il primo titolo fu “Il ruolo dell’informazione in una situazione di emergenza: 16 marzo 1978, il rapimento di Aldo Moro”, di Mario Morcellini) e la copertura televisiva delle campagne elettorali; seguirono alcuni studi di impronta sociologica e semiotica. Negli Anni Ottanta, il campo delle ricerche si allargò a temi di rilevanza sociale: le analisi delle campagne elettorali furono affiancate da studi sulle relazioni tra i media e la mafia, il terrorismo, la cultura di massa e l’identità femminile. Le ricerche uscite fino al 1984, elaborate in forma dattiloscritta su carta formato A4, avevano avuto una circolazione limitata (per lo più, i componenti della Commissione di Vigilanza e gli esperti del settore).

Nel 1984, la Rai concluse un accordo con la Nuova Eri, che consentì la pubblicazione delle ricerche e la loro diffusione anche al grande pubblico: nacque così la collana “Rai Vpt” (“Verifica Programmi Trasmessi”), che divenne, a partire dal 1988, “Rai Vqpt” (“Verifica Qualitativa Programmi Trasmessi”). Negli Anni Novanta, la responsabilità della collana passò dalla Segreteria del Consiglio di Amministrazione alla Direzione Analisi, Studi e Ricerche di Mercato.

Nel 1999, la collana confluì all’interno della struttura Studi e Ricerche di Mercato della Direzione Marketing Strategico, Offerta e Palinsesti. Dopo altri passaggi, nel 2004 fu inclusa – come abbiamo segnalato – nell’Ufficio Studi della Direzione Marketing, retta da Deborah Bergamini (che ha lasciato la Rai nel 2008, divenendo poi parlamentare della Repubblica ed è dal novembre 2013 Portavoce di Forza Italia). Dal 1978 al 2005, la collana Vpt/Vqpt ha pubblicato ben 200 volumi, parte dei quali fondamentali per lo studio della televisione e dei media in Italia.

Nel 2005, vede anche la luce il primo volume della collana “Zone” (che eredita in qualche modo l’esperienza della “Vqpt”), dedicato al “psb” britannico (“Il grande viaggio della Bbc. Storia del servizio pubblico britannico dagli anni Venti all’era digitale”, di Matthew Hibberd).

Si sono avvicendati alla direzione della collana Loredana Cornero, Bruno Somalvico, Giovanna Gatteschi. L’ultimo volume della collana “Zone” (il 16° della serie) è stato pubblicato nel 2010, dedicato alle tendenze dell’intrattenimento televisivo (“Tv Next Entertainment”, di Domenico Fucigna). Da allora, silenzio tombale… Come dire?! Basta “studi”, soltanto “ricerche di mercato”.

Nuovo assetto

Nel 2011, il Consiglio di Amministrazione Rai approva un nuovo assetto della Direzione Comunicazione e Relazioni Esterne, e tre aree di attività che rientravano allora nelle sue competenze, vengono allocate altrove: si tratta del Segretariato Sociale, del Prix Italia e dell’attività Editoria Periodica alias Rai Eri. In particolare, il Segretariato Sociale diviene funzione di staff della Direzione Generale.

Il Prix Italia (che vanta ben 68 anni di vita) era stato allocato fino al 2003 presso la Segreteria del Cda, poi nella Direzione Comunicazione e Relazioni Esterne, e dal 2011 è stato riallocato presso la Segreteria del Cda.

Fino al febbraio 2011, l’Editoria Periodica Rai Eri era allocata presso la Direzione Comunicazione e Relazioni Esterne, da allora nell’ambito della Direzione Commerciale. Nello stesso periodo, viene “internalizzata” la controllata Rai Trade, che, nata nel 1997 dalla incorporazione di Sacis ed Eri e Fonit Cetra, è vissuta fino al 2011. Dal giugno 2014, Rai Eri è rientrata nel novero delle attività di Rai Com (società interamente controllata da Rai), cui è stata affidata la gestione di tutti i diritti di proprietà intellettuale della Rai nonché di diritti di terzi, con lo scopo di reperire risorse economiche diverse dal canone e dalla pubblicità, operando su più mercati, in diverse aree di business.

Di fatto, Rai ha nuovamente “esternalizzato” le proprie attività commerciali (si segnala che nel 2015, Rai Com ha prodotto ricavi per 52 milioni di euro, a fronte dei 679 milioni di euro di Rai Pubblicità, 348 milioni di Rai Cinema, 213 milioni di Rai Way). Si ricordi che a fine maggio 2016, Luigi De Siervo si è dimesso da Amministratore Delegato di Rai Com per assumere lo stesso ruolo in Infront Italy.

Nell’ottobre del 2012, viene chiamata dal Dg Luigi Gubitosi alla Direzione Comunicazione della Rai Costanza Esclapon (già sua collaboratrice di fiducia quando era Ad di Wind), e le vengono affidate quattro aree di attività: Promozione e Immagine, Pubbliche Relazioni, Relazioni con i Media, e Sostenibilità e Segretariato Sociale. Il Segretariato Sociale viene quindi “spostato”, in ottica “aziendalistica”, dalla Segreteria del Cda alla Direzione Comunicazione (vedi anche “Chi l’ha visto? Che fine ha fatto il Segretariato Sociale Rai?”, su “Millecanali” dell’11 dicembre 2012). Il Direttore del Segretariato Sociale, l’appassionato Carlo Romeo (che l’aveva guidato dall’anno 2000), a fine 2011 viene nominato – promoveatur ut amoveatur? –  Direttore Generale della semi-clandestina televisione di Stato di San Marino ovvero San Marino Rtv (di cui Rai è socia al 50%).

 

Bilancio sociale

In particolare, l’area “Sostenibilità e Segretariato Sociale” (affidata ad Adriano Coni) inizia a lavorare al primo inedito “Bilancio Sociale” della Rai, che però vede la luce, come “numero zero” sperimentale, soltanto nel luglio del 2015, quasi a mo’ di “ultimo atto” del corso Luigi Gubitosi Anna Maria Tarantola (vedi “Il numero zero del bilancio sociale Rai: più ombre che luci” su “Key4biz” del 29 luglio 2015). Si attende il “Bilancio Sociale” Rai dell’anno 2015. Nel bilancio approvato dall’assemblea il 21 giugno 2016, si legge “per una completa ed efficace rappresentazione del costante impegno della Rai in tema di responsabilità sociale, è stato avviato nel 2014 un complesso progetto di analisi, confronto interno e raccolta dati che non è ancora terminato, ma che ha consentito nel 2015 di redigere il ’numero zero‘ del Bilancio Sociale”. Si prende atto, ma … no news, in relazione “Bilancio Sociale” dell’esercizio 2015: è forse tematica che non stimola granché il Dg Antonio Campo Dall’Orto e la Presidentessa Monica Maggioni?! Ed il Cda non è interessato a leggere questo documento??

Organigramma

Un’analisi, pur veloce, dell’organigramma/funzionigramma della Rai stimola ulteriori riflessioni.

Abbiamo avuto chance di studiare l’evoluzione diacronica del funzionigramma di Viale Mazzini, ed abbiamo maturato il convincimento che essa risponda a logiche ascensionali e discensionali determinata prevalentemente dalla politica, e non risponda esattamente ad una precisa strategia aziendale.

I tasselli del mosaico Rai vengono mossi e riposizionati sulla base di logiche prevalentemente relazionali (e politiche).

Se si analizza l’organigramma Rai più recente (aggiornato al 30 giugno 2016), non si scorge traccia né dell’Ufficio Studi né del Segretariato Sociale, ma sopravvive in bella evidenza il Prix Italia (diretto da Vittorio Argento, che subentra dopo i due anni di direzione di Paolo Morawski ed i cinque di Giovanna Milella), che dipende dallo Staff del Presidente (diretto ad interim da Nicola Claudio), ed impiega ben 16 dipendenti.

La Segreteria del Cda (diretta da Nicola Claudio), che dipende ovviamente direttamente dal Cda, impiega 24 risorse, la stessa quantità che lavora per il Direttore Generale (ma vi sono compresi 18 corrispondenti dall’estero), che dispone però anche di 28 dipendenti, al servizio dello Staff del Direttore Generale (diretto da Guido Rossi). La Segreteria del Dg dispone di 3 persone. Dal Dg, dipendono anche le strutture Rai Quirinale (7 dipendenti) e Rai Vaticano (7 dipendenti). Ben 30 gli addetti all’Internal Auditing, alle dipendenze del Presidente (ma in parte anche del Dg).

La Direzione Marketing (affidata a Cinzia Squadrone) dispone di 29 risorse ed affianca la Direzione Palinsesto (affidata a Marcello Ciannamea) che ha ben 95 addetti: entrambi rispondono al Coordinamento Editoriale Palinsesti Televisivi, diretto da Giancarlo Leone (che ha soltanto 5 addetti).

Si osserva che presso la Direzione Editoriale per l’Offerta Informativa (affidata a Carlo Verdelli), che dispone di 9 dipendenti, c’è una funzione denominata “Studi, ricerche e monitoraggio”, ma è evidentemente limitata però giustappunto alle news soltanto.

La Direzione Marketing è strutturata in tre aree: Marketing Strategico, Marketing Intelligence, Marketing Editoriale. Sembra mancare l’area… “Psb Intelligence”!

Nell’organigramma Rai al 30 giugno 2016, risulta ancora attiva la Direzione Sviluppo Strategico (affidata a Carlo Nardello, che ha lasciato la Rai a metà luglio 2016), con soli 4 dipendenti, dipendente dalla Direzione Finanza e Controllo.

La Direzione Comunicazione Relazioni Esterne Istituzionali e Internazionali (diretta da Giovanni Parapini) dispone di ben 154 dipendenti, ma l’organigramma aziendale curiosamente non fornisce alcun dettaglio: del Segretariato Sociale, comunque, nessuna traccia visibile.

La Direzione di Parapini ha assorbito sia la Direzione che era affidata alla Esclapon, sia la precedentemente autonoma Direzione Relazioni Istituzionali ed Internazionali (diretta da Alessandro Piccardi), che disponevano rispettivamente (a fine settembre 2015) di 131 e 26 dipendenti.

Conclusioni

In conclusione, il quesito si rinnova: come è possibile che la Rai non disponga di una struttura che produca analisi, ricerche, indagini, studi che vadano oltre il “marketing” strategico e tattico, ma che riguardino il posizionamento attuale e possibile nel complessivo sistema sociale, che valutino il pluralismo informativo, politico, espressivo e magari aiutino a comprendere l’evoluzione della società stessa?!

E, ancora: come è possibile che la Rai non dedichi attenzione centrale e risorse adeguate ad una struttura che curi i rapporti con il mondo esterno, dalla massa dei propri abbonati alla società civile, dal terzo settore al mondo universitario, dalle associazioni dei consumatori a quelle che difendono i diritti dei diversamente abili o delle comunità immigrate?

Rai si è mai posta seriamente la delicata questione del pluralismo religioso, in un Paese che ha almeno 1,7 milioni di credenti musulmani, su una popolazione straniera di oltre di 5 milioni di persone?! Il concetto di “pluralismo” va evidentemente oltre la ben dotata struttura Rai Vaticano o le eccellenti quanto emarginate rubriche dedicate alla cultura protestante ed ebraica (“Protestantesimo” e “Sorgente di vita”).

E che dire del deficitario pluralismo di gender e del trattamento ancora stereotipato ed ignobile dell’immagine femminile (vedi, in argomento, il contributo di Gabriella Cims, “Un progetto detonatore su merito, donne e giovani”, su “Key4biz” del 12 aprile 2016).

E ancora: perché le attività editoriali (librarie) della Rai debbono essere sviluppate dal “braccio commerciale” di Viale Mazzini, ovvero Rai Com?! Non dovrebbero anch’esse rientrare, almeno in parte, tra le attività di una struttura che curi i rapporti con la società civile, la scuola e l’accademia?!

L’assenza di un “sistema informativo” organico – ovvero di un… ufficio studi – produce errori, approssimazioni e distorsioni, discretamente gravi, come questa: si legge a pagina 32 del già citato “Bilancio di esercizio 2015” della Rai, che “a livello europeo, rispetto agli altri principali editori del Servizio Pubblico, Rai è il soggetto che percepisce il canone di minore importo unitario (euro 113,5 vs Francia, euro 136,0; Regno Unito, euro 198,5; Germania, euro 215,7) a fronte del primato degli indici di ascolto (37,2% vs France Tèlèvisions, 29,2%; Bbc, 32,9%; Ard, 30,0%; Zdf 17,9%; Rtve 16,7%)”. Una noterella a piè di pagina onestamente precisa che “i dati di ascolto degli operatori stranieri Bbc, Ard e Zdf (sic, nota nostra) si riferiscono al 2014” e sono di “fonte Ebu”. La domanda è: ma non appare discretamente scorretto, metodologicamente, all’anonimo redattore di questo testo, “comparare” il dato Rai dell’anno 2015 con i dati degli altri “psb” relativi all’anno… 2014?! Eppure, l’European Broadcasting Union certamente dispone, al giugno 2016, anche del dato 2015.

Ed al disattento redattore sfugge forse che il canone tedesco finanzia 2 “psb” (Ard e Zdf appunto) e non 1 soltanto come in Italia, e quindi il dato di ascolto della Rai andrebbe comparato semmai con la somma del dato di Zdf (30,0 %) ed Ard (17,9 %), che porta lo share cumulato della tv pubblica tedesca a quota 47,9%, ben 10 punti percentuali oltre quello della Rai?! Da non crederci, ma questo Rai scrive “a bilancio”. E… con 100 persone che lavorano al Marketing e 60 nelle segreterie del Cda e del Dg! Potrebbe commentare beffardo Renato Brunetta, polemico fustigatore degli sprechi Rai.

A proposito di bilancio Rai: nessuno – a livello mediale almeno – ha notato che, per la prima volta nella storia, il bilancio di esercizio 2015 della Rai (il progetto di bilancio è stato dapprima approvato dal Cda ad inizio maggio 2016 e quindi proposto all’assemblea dei soci) non è stato approvato all’unanimità dai due soci di Viale Mazzini: se è vero che il capitale è detenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per la quasi totalità delle azioni (per l’esattezza il 99,5583%), va segnalato che l’altro socio, ovvero la Siae Società Italiana Autori Editori (che detiene soltanto 0,4417%), rappresentata dal Dg Gaetano Blandini, in occasione dell’Assemblea del 21 giugno 2016 si è astenuto…

Nel lanciare questa chicca, preannunciamo che torneremo presto sulla questione, che si prospetta intrigante.

Clicca qui, per leggere l’organigramma Rai dettagliato, aggiornato al 30 giugno 2016.

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