Il value gap preoccupa fortemente l‘industria discografica italiana e internazionale al punto che oltre un migliaio di artisti e popstar hanno indirizzato una lettera alla Commissione europea per gridare allo stato d’allarme.
La preoccupazione riguarda l’importante divario tra la grande e capillare diffusione della musica e i ricavi che ne derivano.
I conti non tornano.
Adesso però c’è l’opportunità di risolvere il problema del value gap.
La proposta di revisione della legislazione sul diritto d’autore della Ue, annunciata lo scorso dicembre, può modificare questa profonda distorsione del mercato, chiarendo quale sia l’appropriato utilizzo delle norme sul Safe Harbour.
Questa la ragione per la quale sono scesi in campo oltre un migliaio di artisti di calibro internazionale come gli Abba, i Coldplay, Lady Gaga e italiani come Zucchero, J Ax, Fedez, Daniele Silverstri, Gianna Nannini, NeK, Federico Zampaglione dei Tiromancino, Francesco De Gregori, Giovanni Allevi, Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Elisa…
L’obiettivo è assicurare un futuro sostenibile all’industria musicale europea.
Questa presa di posizione arriva insieme a quella di 85 eurodeputati che hanno lanciato un Appello alla Commissione Ue, osservando che se i ricavi dell’industria discografica non crescono è anche per la mancanza di chiarezza delle disposizioni sul copyright e l’eCommerce per quanto riguarda lo stato dei servizi online.
Stessa posizione della lettera sottoscritta da autori e artisti italiani che punta sempre il dito contro i servizi online che consentono agli utenti di caricare i contenuti.
“Come autori ed artisti – si legge nel documento – siamo difensori appassionati del valore della musica. La musica è una parte fondamentale della cultura europea: arricchisce la vita delle persone e contribuisce in maniera significativa alla nostra economia. Siamo di fronte ad un momento decisivo per la musica. Il consumo sta esplodendo, i fan ascoltano musica come mai prima d’ora e i consumatori hanno oggi l’opportunità di accedere alla musica che amano sempre ed ovunque”.
“Tuttavia – avvertono – il futuro è messo in pericolo da un significativo “value gap” (discriminazione remunerativa) provocata da servizi basati sul caricamento del contenuto da parte degli utenti, tipo YouTube di Google, che di fatto sottraggono valore alla comunità musicale, agli autori e agli artisti”.
Pronta la replica da YouTube.
Un portavoce della piattaforma di video-sharing che fa capo a Google, ha dichiarato: “I servizi digitali non sono il nemico. YouTube collabora con l’industria musicale per generare ancora più ricavi per gli artisti, in aggiunta ai 3 miliardi di dollari che abbiamo già pagato sino ad oggi. La stragrande maggioranza delle etichette e degli editori ha accordi di licenza in essere con YouTube e nel 95% dei casi sceglie di lasciare i video caricati dai fan sulla piattaforma e di trarre guadagni da questi video. Il nostro sistema di gestione dei diritti, Content ID, va ben oltre ciò che la legge richiede per aiutare i detentori dei diritti d’autore a gestire i propri contenuti su YouTube: i video caricati dai fan generano ad oggi il 50% delle loro revenue su YouTube. Infine siamo convinti che, offrendo maggiore trasparenza nelle remunerazioni agli artisti, possiamo affrontare molte di queste preoccupazioni.”
Per gli autori e gli artisti, oggi questa situazione è una seria minaccia alla stessa sopravvivenza dei creativi, alla diversità ed alla vitalità del loro lavoro.
“Questo “gap” di valore – avvertono – mina i diritti e i ricavi di coloro che creano, investono e vivono di musica oltre a provocare una rilevante distorsione di mercato. Questo perché, mentre da un lato il consumo di musica cresce in maniera esponenziale, i servizi di caricamento di contenuti approfittano delle esenzioni di responsabilità (safe harbour) previste dalle norme europee. Queste esenzioni furono create oltre venti anni fa come garanzie per favorire lo sviluppo delle startup digitali, ma oggi sono applicate impropriamente a corporation che distribuiscono e monetizzano il nostro lavoro”.
“Vi invitiamo pertanto – conclude la lettera inviata alla Commissione Ue – ad intervenire con urgenza per creare un ecosistema più corretto per artisti e titolari dei diritti e così facendo, assicurare lo sviluppo futuro della musica per le prossime generazioni”.
Ad aprile tre major discografiche – Universal, Sony e Warner – avevano preso posizione contro YouTube, sostenendo che il sistema Content ID non è efficace per individuare la musica caricata senza autorizzazione.
Adesso l’attenzione si sposta su un altro fronte.
Nel 2015, il fatturato mondiale della musica si è attestato a 15 miliardi di dollari (13 miliardi di euro), il 3,2% in più rispetto al 2014. Ma la vera notizia è un’altra: per la prima volta, infatti, le vendite digitali hanno superato quelle ‘fisiche’, arrivando a rappresentare il 45% del totale, contro il 39% derivato dal comparto fisico (i Cd e i classici vinili).
Insomma la musica digitale sta crescendo e adesso bisogna far crescere anche le revenue dell’industria.
Lettera al Presidente Junker con la lista degli artisti aderenti