RTI e Lega Calcio contro Il Post. E’ diritto di cronaca pubblicare link a siti illegali di streaming?

di Raffaella Natale |

Il Tribunale di Roma condanna Il Post per alcuni articoli che citavano piattaforme illegali dove era possibile seguire in streaming eventi sportivi.

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Importante provvedimento quello adottato dal Tribunale di Roma nel luglio scorso, di cui si è avuta notizia solo adesso, contro la diffusione online di link a servizi che offrono contenuti illegali.

Il giudice Paolo Catallozzi ha accolto il ricorso di RTI (Gruppo Mediaset), con l’intervento della Lega Calcio Serie A, nei confronti di Luca Sofri, direttore del giornale internet ‘Il Post’.

Il Tribunale ha vietato Sofri dal “fornire, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo, espresse indicazioni sulla denominazione e la raggiungibilità dei portali telematici che, direttamente o indirettamente, consentono di accedere illegalmente ai prodotti audiovisivi delle Reti Televisive Italiane S.p.A. aventi per oggetto gli eventi calcistici disputati nell’ambito del “Campionato”, della “Champions League” e della “Europa League””.

 

Il direttore de ‘Il Post’ aveva venti giorni di tempo, dalla notifica del provvedimento del luglio scorso, per allinearsi a quanto disposto dall’ordinanza che fissa una penale non inferiore a 10 mila euro per ogni violazione o inosservanza del provvedimento, nonché 5 mila euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento.

Inoltre, il provvedimento dispone “la pubblicazione del dispositivo del presente provvedimento, a cura e spese di Sofri Luca, a caratteri doppi del normale, nella home-page del portale “Il Post” e nelle edizioni cartacee e on-line del quotidiano “Il Corriere della Sera” e “Gazzetta dello Sport” e condanna Sofri Luca alla rifusione delle spese processuali“.

 

Ma cerchiamo di ripercorrere le tappe di questa storia giudiziaria. Nell’agosto del 2010 il Post pubblicò un articolo intitolato “Guardare i Mondiali in streaming” con “…l’idea  – come spiega direttamente il giornale – di offrire indicazioni utili su come seguire le diverse partite online…”.

 

Nell’articolo in questione, spiega sempre il giornale, “…si citava l’esistenza di siti che davano informazioni sugli streaming offerti da siti internazionali (…) su cui non c’erano molte notizie: le nostre ricostruzioni ci portarono allora a concludere che in alcuni casi i siti che ospitavano gli streaming (siti non citati dal Post, che non li linkava mai direttamente: ma linkati a loro volta su alcuni indici che il Post citava) avessero i diritti di trasmissione in altri paesi e sfruttassero una zona grigia creata da internet, e in altri potessero non avere invece del tutto i diritti, cosa a cui alludevamo nell’articolo…”.

 

Il Post tornò nell’anno successivo a pubblicare articoli simili.

 

Nell’agosto del 2010 il Post pubblicò un articolo intitolato “Guardare i Mondiali in streaming“, “…vi si elencavano orari e accessi ai canali più istituzionali delle reti televisive su internet e si citava l’esistenza di siti che davano informazioni sugli streaming offerti da siti internazionali (…) siti non citati dal Post, che non li linkava mai direttamente: ma linkati a loro volta su alcuni indici che il Post citava“. Il giornale riteneva che i siti in questione “avessero i diritti di trasmissione in altri paesi e sfruttassero una zona grigia creata da internet, e in altri potessero non avere invece del tutto i diritti, cosa a cui alludevamo nell’articolo“.

 

Riscontrato un interesse dei lettori per il servizio che dava notizie su come vedere un evento sportivo online, il Post tornò nell’anno successivo a pubblicare articoli simili”.

 

Il 10 ottobre del 2012 uno dei soci del Post, la società Banzai, ricevette una lettera da parte di uno studio legale romano per conto della società RTI, con la quale si “invitava e diffidava a interrompere ogni attività informativa che contribuisca a facilitare l’accesso alla diffusione illecita dei contenuti di RTI” e “rimuovere entro 24 ore ogni informazione di contenuto identico o simile a quello da noi denunciato”.

Quando la lettera giunse al Post, “…giudicammo che le pretese avanzate superassero l’accettabile rispetto al ruolo e diritto di informazione di una testata giornalistica, ma cercammo di capire come venire incontro ai rispettabili interessi di RTI”.

 

Passarono alcuni mesi, racconta sempre Il Post, e “…il 10 febbraio 2013, anche per indagare meglio la questione posta da RTI, a seguito di ricerche e indagini il Post pubblicò un articolo che intendeva fare maggiore chiarezza sull’argomento streaming delle partite anche presso i lettori e presso chi cercasse informazioni sui motori di ricerca. L’articolo (…) era intitolato “I siti dove vedere le partite in streaming – Quali sono, cosa dicono le leggi in Italia e in Europa“.

 

Pochi giorni dopo, il 13 febbraio 2013, l’avvocato de Il Post ricevette una diffida da un avvocato rappresentante questa volta la Lega Calcio. Vi si parlava di “pratiche illecite” condotte dal Post nel “pubblicare indicazioni e riferimenti a siti web attraverso i quali accedere illegalmente alla visione di eventi calcistici del campionato di Serie A in corso” e si chiedeva “entro 24 ore dal ricevimento della presente” di rimuovere “ogni informazione avente il contenuto e/o le finalità sopra descritte“. E anche di “interrompere ogni attività informativa che contribuisca ad agevolare l’accesso alla diffusione illecita dei contenuti audiovisivi licenziati dalla Lega Calcio”.

 

Anche questa volta, commenta il giornale, “il Post ritenne di amputare autonomamente i propri articoli, eliminando dalla settimana successiva ogni riferimento ai nomi dei siti in questione”. L’avvocato de Il Post chiese, però, chiarimenti su quale normativa o giurisprudenza potesse legittimare il provvedimento.

 

Ciò malgrado, il 12 aprile il Post ricevette la comunicazione che lo studio legale romano – in rappresentanza di RTI – aveva presentato un ricorso che chiedeva al Tribunale Civile di Roma “un provvedimento cautelare” che “inibisca alla (sic) controparte la futura pubblicazione di qualsiasi informazione che concorra ad agevolare – direttamente o indirettamente, in qualsiasi modo e forma – la lesione dei diritti trasmissivi, dei diritti autorali connessi e dei diritti di privativa industriale di RTI“. E che il Tribunale aveva fissato a questo proposito un’udienza per il 2 maggio.

Nell’occasione il giudice ha proposto alle parti di trovare un accordo, ma, spiega sempre il giornale, “l’avvocato di RTI ha insistito nel pretendere l’eliminazione dal Post di qualsiasi riferimento alla mera esistenza di altri siti che trasmettano il calcio italiano, suggerendo diverse formulazioni del testo che il direttore ha rifiutato di prendere in considerazione”.

Passato un mese “il giudice ha depositato un’ordinanza in cui accoglieva tutte le richieste di RTI e Lega Calcio ingiungendo al Post di non dare più nessuna informazione sull’esistenza online di siti che trasmettano le partite senza averne i diritti. E di non linkare mai più in nessuna altra pagina vecchia o nuova l’articolo di approfondimento del 10 febbraio che al tempo stesso l’ordinanza stessa ammette essere legittimo e correttamente informativo”.

 

Ma per il Post l’ordinanza conteneva “molte anomalie” e per questa ragione presentò un reclamo contro l’ordinanza, respinto dalla IX Sezione Civile, “Specializzata in materia d’impresa”, il 25 luglio che ha di fatto replicato tutti gli argomenti esposti precedentemente.

 

In esecuzione dell’ordinanza, “il Post ha censurato dai propri articoli ogni riferimento all’esistenza nei fatti di siti non autorizzati a trasmettere le partite di calcio, ha provveduto alla pubblicazione del dispositivo della sentenza e alla rifusione delle spese legali”.

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