Dal pomeriggio del 17 maggio è formalmente partita la fase “sul campo” della tanto decantata “consultazione pubblica” sulla Rai, promossa dal Ministero per lo Sviluppo Economico ovvero dal Sottosegretario delegato alla Comunicazione Antonello Giacomelli, e peraltro prevista dalla stessa norma di “mini” riforma di Viale Mazzini (la legge n. 220/2015, che ha modificato anzitutto la “governance”): la prima impressione è sconcertante, e conferma le perplessità che abbiamo rappresentato più volte su queste colonne (vedi da ultimo, “Consultazione Rai, ‘pubblica’ ma ‘a porte chiuse’. Cultura e pubblicità nel questionario?”, su “Key4biz” del 13 aprile 2016).
Segnaliamo anzitutto il sito web dedicato: http://cambierai.gov.it/
I lettori più attenti ricorderanno che oltre un mese fa, il 12 aprile, con modalità discretamente curiose (riservatezza assoluta, con stile quasi… massonico), 140 operatori del settore e rappresentanti della società civile (il cui elenco non è peraltro mai stato reso di pubblico dominio) sono stati “cooptati” all’Auditorium di Musica per Roma per una “full immersion” seminariale, ovvero per l’avvio della procedura denominata – senza grande originalità (essendo stato esattamente lo stesso titolo di un convegno promosso qualche mese fa da Area Popolare Ncd-Udc) – “#cambieRai”.
In quell’occasione, il Sottosegretario Antonello Giacomelli aveva annunciato che lo sforzo intellettuale dell’eletta schiera doveva consistere nella redazione, da parte dei 16 gruppi di lavoro convocati, di una paginetta o due di ipersintetica bozza di domande, da rielaborare e quindi sottoporre ad un successivo questionario che l’Istat avrebbe sottoposto a consultazione “a maggio”. Inizio maggio? Fine maggio?! Non era dato sapere…
Chi ha avuto il privilegio di partecipare alla convocazione in stile simil-Leopolda, a distanza di oltre un mese, si stava domandando, fino a ieri l’altro: ma Giacomelli ha …forse cambiato idea? I super esperti dell’Istat… stanno ancora elaborando?! la complessità della dinamica è metodologicamente… così faticosa anzi estenuante?! In verità, crediamo che un buon laureato in scienze della comunicazione avrebbe impiegato forse un giorno massimo due ad elaborare una bozza di questionario, sulla base degli input pervenuti. Bozza che pure una qual certa cortesia (istituzionale? relazionale?!) avrebbe potuto prevedere venisse trasmessa in anteprima ai 140 cooptati. Il che non è stato. Magari un qualche commento critico l’avrebbe potuto manifestare qualcuno dei partecipanti alla kermesse del 12 aprile, e forse avrebbe potuto suggerire qualche proposta emendativa: dell’eletta schiera, ha fatto parte – tra gli altri – uno dei massimi esperti in sociologia e mediologia d’Italia, come Mario Morcellini. Crediamo che l’accademico non avrebbe concesso un 18 (su 30) ad un suo studente che gli avesse sottoposto il questionario (elaborato da Istat) a mo’ di tesina. Ciò basti.
L’eletta schiera ha ricevuto nel pomeriggio del 17 maggio la segnalazione che il questionario era a disposizione della cittadinanza tutta.
La curiosità ci ha subito spinto a verificare, ed un elemento è subito emerso, nella sua spiazzante contraddizione: la consultazione viene annunciata come “anonima”, ma, per ricevere il questionario, è indispensabile fornire un account di posta elettronica, ricevuto il quale si deve anche rispondere ad alcuni quesiti, tra i quali l’anno di nascita e la città di residenza. Perché??? Or bene: un navigatore web con minima esperienza, se ci tiene tanto al proprio… anonimato, rinuncia! La domanda sorge spontanea: ma perché diavolo questa esigenza del Mise?! Non bastava lasciare il questionario aperto sul sito, senza questa richiesta di indirizzo di posta elettronica??? Siamo convinti che molti rinunceranno, nel timore sempre latente (e giustificato) di uno Stato orwellianamente “Grande Fratello”…
Insieme con il questionario, il Mise ha pubblicato anche le proposte emerse dai 16 “tavoli tecnici” convocati il 12 aprile scorso all’Auditorium Parco della Musica di Roma, distribuiti in 4 macro-aree: “Sistema Italia”, “Industria creativa”, “Digitale” e “Società italiana”. Oltre alle associazioni degli autori e produttori della tv, del cinema, della radio, dell’animazione e dell’informazione, ai tavoli sono stati coinvolti i rappresentanti di organizzazioni del made in Italy, del turismo, del digitale, dei beni culturali, del terzo settore, della scuola e università, dei consumatori.
A luglio, Istat analizzerà i risultati, che saranno raccolti in un documento di sintesi della consultazione pubblica che accompagnerà la nuova bozza di Convenzione tra lo Stato e la Rai, che dovrà essere approvata entro ottobre.
Una questione di metodo ed un chiarimento politico: non corrisponde a verità che “per la prima volta il Ministero dello Sviluppo Economico ha organizzato una consultazione aperta a tutti i cittadini”. Questo entusiasmo autoreferenziale appare francamente eccessivo, anche perché in verità esiste almeno un precedente, importante e significativo, di cui RadioRadicale reca testimonianza inequivocabile (anche se – ahinoi – le quasi quattro ore di dibattito non sono disponibili online, perché la registrazione non è stata ancora digitalizzata): il 21 giugno dell’Anno Domini 2000 (Governo Amato II), il Ministero delle Comunicazioni promosse presso la sede dell’allora dicastero, a Viale America, un pubblico dibattito, intitolato “Televisione di servizio. Prima la qualità?”.
L’iniziativa fu fortemente voluta dall’allora Sottosegretario Vincenzo Vita, ed il microfono era a disposizione di chiunque volesse intervenire. Chi redige queste noterelle può confermare che il dibattito era aperto, anche perché chiese la parola ed intervenne liberamente. Intervennero, così come classificati da Radio Radicale: Salvatore Cardinale (allora Ministro), Vincenzo Vita (allora Sottosegretario), Mario Landolfi (per Alleanza Nazionale), Piero Angela (giornalista), Roberto Zaccaria (Rai), Maretta Scoca (Udeur), Stefano Semenzato (Verdi), Giampiero Gamaleri (Rai), Alberto Contri (Rai), Giovanni Anversa (giornalista), Giuseppe Giulietti (Ds), Roberto Natale (giornalista), Pippo Baudo (presentatore), Sergio Bellucci (Rifondazione Comunista), Athos De Luca (Verdi), Gianluca Nicoletti (giornalista), Federico Scianò (giornalista), Michele Santoro (giornalista), Citto Maselli (regista), Adriano Ariè (produttore), Pierluigi Celli (Rai), Renato Parascandalo (Rai), Giovanna Melandri (Ministro), Gianni Minà (giornalista), Angelo Zaccone Teodosi (giornalista). Si ricorda che Vincenzo Vita fu convinto sostenitore che il “contratto di servizio” tra Rai e Stato dovesse essere oggetto di ampio dibattito. Questa precisazione appare necessaria per un’onesta ricostruzione storica (e politica).
Ciò premesso, ci piacerebbe interloquire con chi ha impostato (in Istat, piuttosto che al Mise ovvero in Rai) il questionario, perché ci sembra proprio che non interpreti al meglio il lavorio dei 16 “tavoli”, dato che alcune tematiche sono state oggetto di approfondimenti (ovvero son stati tradotti in domande) che invece, incomprensibilmente, non son stati dedicati ad altre questioni…
Ed anche qui, ri-casca l’asino! Ma chi ha curato l’impostazione – contenutistica e grafica – del sito e del questionario… non ha pensato che, forse, per farsi “un’idea”, il lettore potesse avere necessità di leggere le paginette di sintesi dei 16 “tavoli”, avendo a disposizione un file in formato .pdf… unico?! Da non crederci: questo documento non è disponibile sul sito del Ministero, ed il navigatore volenteroso deve aprire i 16 file… 1 per uno!
“Key4biz” lo mette a disposizione, a favore dei propri lettori e della comunità professionale: clicca qui per consultare in un file unico (di una sessantina di pagine) i documenti prodotti dai 16 “tavoli” del 12 aprile 2016.
Da questo documento, si può anche finalmente conoscere l’identità dei 16 “coordinatori”, finora ignota ai più (agli stessi “coordinatori”, rispetto agli altri tavoli) delle 4 “macro-aree” (Sistema Italia, Industria Creativa, Digitale, Società Italiana).
Alcune domande sembrano quasi una… provocazione. La 3, per esempio, propone: “Se l’inserimento del canone nella bolletta garantisse stabilmente più risorse economiche alla Rai rispetto al passato grazie al recupero dell’evasione, quale dovrebbe essere, secondo Lei, il principale utilizzo di queste risorse?”. Si tratta forse di un… lapsus freudiano del Mise? Non si ha forse la certezza che l’inserimento del canone in bolletta garantisca maggiori risorse?! Da non crederci…
E che dire della totale assenza, nel questionario, di riferimenti al pluralismo politico-informativo?!
Nemmeno una parola, poi, sulle questioni di “gender”, a partire dal (mal)trattamento dell’immagine della donna sulla Rai, battaglia condotta dalla pugnace Gabriella Cims, e fatta propria anche da “Key4biz”…
E mancano domande semplici quanto essenziali, fondamentali e strategiche: per esempio, “Lei preferirebbe una Rai senza pubblicità?” oppure “Crede che i canali Rai siano troppi?”.
Altra annotazione metodologica: le domande son ben 36, e, per compilare il questionario con un minimo di attenzione, non è necessaria esattamente una manciata di minuti, ma almeno una mezz’ora… Questa esigenza andrebbe pre-annunciata al rispondente (ad inizio questionario), così come dovrebbe essere consentito di iniziare la compilazione e poi sospenderla per semmai riprenderla più tardi, il che – nel caso in ispecie – non è possibile. Un qualsiasi sociologo sa che il fattore lunghezza alias tempo è peraltro demotivante: i questionari efficaci debbono essere brevi, per non rubare tempo al rispondente, e non annoiarlo.
Ma come si può pensare e sperare che un… “italiano medio” possa rispondere alla domanda 6, per esempio: “Il Servizio Pubblico dovrebbe basarsi sui principi di Universalità, Qualità/Eccellenza, Diversitá, Trasparenza/Responsabilitá, Indipendenza e Innovazione (*). Potrebbe indicare quanto l’attuale servizio pubblico Rai rispetta secondo lei ciascun principio?”. Di grazia, manca la traduzione in… italiano corrente. Battute a parte, diverte osservare che l’estensore del questionario, evidentemente per pudore, in questo caso ha ritenuto di precisare (vedi nota a piè di domanda, ove rimanda l’asterisco) che la “fonte” è l’European Broadcasting Union (EBU), ovvero l’associazione dei “public service broadcaster” (ovvero “public service media” ormai) europei.
Complessivamente e conclusivamente: la montagna ha partorito il classico topolino.
Sarà peraltro interessante verificare come verrà “promossa” l’iniziativa, immaginiamo da Rai stessa magari con uno spot ad hoc? Quanti risponderanno? Mille cittadini, diecimila, centomila?!
E, soprattutto, ci piacerà leggere con attenzione il report che dovrà redigere chi riceverà le risposte. Attendiamo con grande curiosità, confidando che l’elaborazione venga affidata ad un qualche sociologo e statistico con adeguata esperienza…
Clicca qui, per leggere il testo del questionario Mise “#cambieRai”, nella bozza antecedente alla sua pubblicazione sul sito web, avvenuta il 17 maggio 2016
Clicca qui, per leggere in un file unico i contributi elaborati dai 16 “tavoli tecnici” in occasione della sessione del 12 aprile 2016 della procedura Mise “#cambieRai”
Clicca qui, per partecipare alla consultazione e compilare il questionario elaborato da Istat per Mise, “#cambieRai”