Italia
Il mercato reagisce positivamente alla possibile uscita del presidente Franco Bernabè da Telecom Italia, che potrebbe essere formalizzata al cda il prossimo 3 ottobre. Il titolo della società telefonica, in un Fitse Mib fiaccato dai timori di una possibile crisi di governo, ha chiuso in rialzo del 5,17% a 0,61 euro.
Il titolo Telecom, ha spiegato un operatore di settore, “sale sull’attesa delle dimissioni di Bernabè”, che allontanerebbero la possibilità di un aumento di capitale, fortemente sostenuto dal presidente esecutivo.
Aumento di capitale su cui però punta ancora la banca d’affari statunitense JP Morgan secondo cui si potrebbe così rafforzare la situazione finanziaria dell’azienda senza cedere gli asset sudamericani.
Alla corsa del titolo influisce quindi positivamente anche la decisione della banca d’affari di alzare il giudizio sul titolo da underweight a neutral con target price salito da 0,46 a 0,60 euro sulle azioni ordinarie.
Il mercato, insomma, guarda già al dopo Bernabè: le prossime dimissioni del manager sembrano ormai inevitabili e già cominciano a circolare i nomi dei suoi possibili successori. Il nome che circola con più insistenza è quello dell’attuale ad di Poste Italiane, Massimo Sarmi, per il quale l’incarico segnerebbe un ritorno nell’azienda telefonica, visto che il manager è già stato direttore generale di Tim nel 1995 e, quindi, nel 1998 ha ricoperto anche la carica di direttore generale della stessa Telecom Italia.
Una nomina subordinata alla cooptazione di Sarmi nel board, che in molti danno già come certa ma che comunque non potrà avvenire in tempi rapidi, visto il conflitto di interesse legato al controllo di Poste Italiane dell’operatore Postemobile.
Il manager, la cui esperienza in incarichi operativi sembra essere molto gradita a Telefonica, dovrebbe quindi prima dimettersi da Poste Italiane e poi entrare in Telecom Italia.
In lizza per sostituire Bernabè, nel caso non si concretizzasse l’arrivo di Sarmi, ci sarebbero anche l’attuale amministratore delegato Marco Patuano e Mr Agenda digitale, Francesco Caio, persona di grande esperienza nel settore che già nel 2009 era stato incaricato dall’allora ministro delle comunicazioni Paolo Romani di stilare un dossier – rimasto lettera morta – per accelerare la diffusione della banda larga nel nostro Paese.
Ieri, intanto, sulle vicende di Telecom Italia è intervenuto anche il presidente del Consiglio Enrico Letta che ha cercato di minimizzare le preoccupazioni di chi vede ‘l’investitore straniero’ come un pericolo da evitare a ogni costo.
Innanzitutto, Telecom Italia è fortemente indebitata e quindi “ci vuole un forte investitore che metta soldi” ha detto Letta che, pur sottolineando di non fare il tifo per nessuno ha puntualizzato che “se gli stranieri sono più bravi e fanno funzionare bene l’azienda io non mi scandalizzo”. Del resto – ha aggiunto – “Enel ha comprato la sua omologa spagnola Endesa, che funziona bene, Enel è più grande e gli spagnoli non fanno le barricate”.
Non dimentichiamo che, ironia della sorte, quando i soci Telco hanno raggiunto l’accordo che porterà Telefonica al 100% della holding che controlla il 22,4% di Telecom Italia, il premier si trovava negli Usa proprio per promuovere gli investimenti stranieri nel nostro Paese.
Sulla necessità che Telecom Italia si apra ulteriormente a investitori stranieri è intervenuto anche il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta, secondo cui non servono leggi o decreti ad hoc – o meglio ‘ad aziendam’ – ma piuttosto il nuovo management dovrebbe guardare a una fusione con uno dei maggiori operatori mondiali “come AT&T o Vodafone”.
Con le giuste condizioni, ha affermato, il nostro paese potrebbe diventare “un vero hub globale delle comunicazioni, senza bisogno di cedere le società sudamericane…L’operazione – ha aggiunto – dovrebbe realizzarsi attraverso un Offerta pubblica di scambio. In questo modo tutti gli azionisti si troverebbero in mano titoli solidi, destinati ad aumentare di valore”.
Al momento, tuttavia, né AT&T né Vodafone sembrano interessati a entrare in una compagine azionaria guidata da Telefonica, tanto più che le due aziende hanno espresso interesse, secondo recenti ricostruzioni di stampa, proprio per le controllate sudamericane.