#eJournalism, Serventi Longhi: ‘Stampa in crisi, stabilizzare 4mila precari’

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Quotidiani

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Riaprire il mercato del lavoro stabilizzando almeno 3-4.000 precari. E’ l’obiettivo che, secondo Paolo Serventi Longhi – ex segretario generale della Fnsi e vicepresidente dell’Inpgi – deve porsi la Federazione della stampa, il sindacato dei giornalisti italiani, per cominciare ad  uscire dalla terribile tempesta che continua ad abbattersi sulla professione giornalistica nel nostro paese.

Insieme agli interventi dei responsabili degli enti di categoria del giornalismo italiano (Andrea Camporese, Inpgi; Daniele Cerrato, Casagit; Enzo Iacopino, Ordine;  Giovanni Rossi e Franco Siddi, Fnsi), il Rapporto di Lsdi sulla professione pubblicato (e presentato) ieri 5 novembre, ha raccolto quest’anno alcuni ulteriori punti di vista.

 

Oltre a un’ ampia intervista a Serventi Longhi, la sezione del Rapporto che si intitola “Che fare?“, presenta anche la voce del lavoro autonomo organizzato, con un intervento di Maurizio Bekar, responsabile della specifica Commissione della Fnsi.

Che lancia nuovamente l’allarme: attenzione – dice in sintesi – le condizioni del lavoro dei liberi professionisti e dei parasubordinati in Italia sono una componente deflagrante della situazione e bisogna, assolutamente, passare al più presto dalle analisi alle buone pratiche.

 

Come? Sulla base della sua lunga esperienza sindacale, Serventi Longhi è molto chiaro: “Garantire ai giovani che sono fuori o ai margini delle redazioni contratti a tempo indeterminato con le stesse condizioni (salario, progressione di carriera, tutele normative, ecc.) di coloro che vivono e lavorano con rapporti di lavoro stabili e garantiti. Non si tratta di togliere ai secondi per dare ai precari ma di trovare una soluzione contrattuale che offra prospettive serie ai nuovi giornalisti. Due, tre, quattromila stabilizzati in più, anche con strumenti più flessibili, consentirebbero di riaprire un mercato del lavoro oggi bloccato“.

 

”Il sistema contrattuale dei giornalisti non reggeva più vent’anni fa e ancor meno regge oggi”, aggiunge Serventi, che indica la ‘‘contrattazione differenziata, articolata, sia tra settori informativi diversi sia all’ interno dei singoli contratti” come la strade maestra da percorrere.

 

“E’ innegabile che le tendenze del mercato del lavoro vanno verso l’aumento del lavoro autonomo e alla contrazione di quello dipendente a tempo indeterminato – osserva da parte sua Bekar -. Senza voler rinunciare al corretto inquadramento dei rapporti di lavoro (puntando cioè al riconoscimento di posizioni da dipendente, ove ne sussistano le condizioni), è però altrettanto necessario non avere solo questo orizzonte, ma anche strategie flessibili, realiste e inclusive verso gli autonomi, al fine di “non lasciare nessuno indietro e senza tutele”.

 

E’ quindi indispensabile una battaglia per l’equo compenso degli autonomi (sia ai sensi della legge 233/2012 in materia, sia grazie ad accordi aziendali e tra le parti sociali).

 

In coerenza – precisa Bekar – con una tesi da sempre sostenuta dal movimento sindacale, e cioè che “a uguale lavoro, uguale paga“, e che pertanto il lavoro autonomo non può costare meno di quello dipendente. Anche perché un lavoro autonomo più economico porterebbe ineluttabilmente alla progressiva diminuzione di quello dipendente, e alla conseguente perdita di peso e ruolo del contratto collettivo di categoria, con tutte le sue garanzie e tutele.

 

Ma non ci sono solo i contratti. Franco Siddi è netto: le strategie contrattuali devono essere coniugate con un forte impegno per nuove norme di legge sul lavoro. Anche perché le ”sofferenze”, come le definisce, non stanno solo dalla parte del lavoro autonomo.

“Il precariato – spiega il segretario generale della Fnsi – oggi è una realtà gravemente pesante che colpisce collaboratori e garantiti che, massicciamente, finiscono in cassa integrazione, in disoccupazione o salvati temporaneamente con contratti di solidarietà.

 

Le battaglie contrattuali sono volte a ridurre il divario tra garantiti (ma sempre meno dotati di certezze assolute) e non garantiti. Le scelte contrattuali hanno la loro rilevanza – osserva Siddi -, ma la legislazione sul lavoro e le leggi di settore sono fondamentali”.

 

Il Sindacato dei giornalisti deve sviluppare coerentemente, nulla tralasciando, la sua attività di definizione e aggiornamento di tutte le convenzioni di lavoro, che non può fare da solo ma sulle quali deve trovare equilibrate e efficaci intese con la parte datoriale.

 

Mentre allo Stato chiede riforme di libertà e di tutela del lavoro, anche nella promozione di un welfare attivo per l’ingresso di nuove generazioni di giornalisti, favorendo la trasformazione in impresa di ogni realtà  del sistema informativo che abbia le potenzialità per farlo.

 

Il giornalismo professionale in Italia non potrà avere un futuro – osserva Andrea Camporese – senza “un nuovo equilibrio, senza offrire ai più giovani quelle tutele e quei diritti che rappresentano l’elemento fondativo dell’autonomia della professione”.

 

Occorre ad esempio prevedere una contrattazione adeguata – aggiunge il presidente Inpgi – e dare corpo alle iniziative assunte in sede europea per il sostegno all’attività dei giovani professionisti.

 

Per questo – precisa – è necessario che gli organismi dei giornalisti, la Federazione della Stampa, insieme all’Inpgi e agli altri organismi della categoria, pongano al sistema delle imprese del mondo dell’ informazione, ma anche alle istituzioni della Repubblica, la necessità di costruire strumenti e regole, anche innovativi, per dare prospettive certe ad una informazione veramente libera.

 

Daniele Cerrato, dal particolare osservatorio dell’istituto che presiede, segnala che alle forti criticità del sistema si accoppia sempre più diffusamente ‘‘la creatività mal impegnata da parte di taluni editori”.

Come quelli specializzati in un “utilizzo disinvolto di ogni spiraglio di risparmio offerto dal Contratto” o quelli che ”omettono per mesi di versare il dovuto e si presentano solo quando le azioni legali bussano all’uscio del fallimento”.  D’altra parte – ricorda il presidente Casagit – “non è una novità il fatto che l’editoria italiana sia affollata da mestieranti di varia estrazione, per questo non sempre possiamo attenderci galantuomini o anche solo persone dotate di una professionalità definita”.

 

Un duro attacco contro gli editori viene anche dal presidente dell’Ordine. Gli editori – osserva Enzo Iacopino – “continuano a passare come una schiacciasassi sopra alla vita di decine di migliaia di giovani i quali, per di più, debbono periodicamente subire lezioni sul loro stesso diritto di dirsi, essere o sperare di diventare giornalisti”.

 

“E’ necessaria una riforma dell’Ordine, non c’è dubbio – aggiunge -, ma denunciarne la mancanza- che è dovere del Parlamento – come la concausa della situazione serve soprattutto per tentare di sfuggire alle responsabilità che, tutti, abbiamo”.

 

Quanto alle polemiche sul numero eccessivo di iscritti all’Ordine, Iacopino segnala come fra gli iscritti ci siano 21.698 persone che fanno capo all’elenco speciale o a quello degli stranieri oppure sono pensionati (13.638). Iacopino respinge poi l’ipotesi che uno dei requisiti per diventare giornalista possa essere la contribuzione all’Inpgi.

”Se fosse quello il requisito – osserva -, la gran parte dei “programmisti registi” o “assistenti ai programmi” senza i quali la Rai non potrebbe trasmettere i maggiori programmi di informazione dovrebbero essere cancellati dall’Ordine, perché i loro contributi vanno all’Enpals. E i tanti, tanti, tanti che collaborano nelle forme più disparate e si vedono negate contribuzioni Inpgi 2 dovrebbe essere “graziati” solo perché, se possono o superano la soglia minima, mettono mani al portafogli e pagano in proprio il versamento minimo”.

 

Invece, secondo Giovanni Rossi, il punto principale di una riforma seria dovrebbe essere proprio questo: ”Si può essere giornalisti ‘certificati’, cioè iscritti all’Ordine dei Giornalisti solo se si ha una posizione ‘attiva’ (cioè non ‘silente’, vale a dire alimentata da un’attività professionale reale) in una delle due gestioni dell’ Inpgi”.

 

L’unica deroga accettabile a tale regola può essere costituita dal caso di quei colleghi addetti stampa dipendenti da aziende private o enti pubblici i quali, pur svolgendo attività indubbiamente giornalistiche, vengono iscritti dai loro datori di datori ad altro istituto di previdenza, diverso dall’Inpgi.

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