Si terrà questo giovedì la Conferenza Stato Regioni che, si spera, porterà al raggiungimento di un accordo per dare attuazione alla delibera Cipe di agosto 2015, attraverso la quale il Governo intende completare la copertura delle aree bianche a fallimento di mercato, dopo il rinvio della decisione la scorsa settimana.
Il piano per la ripartizione di una cifra intorno a 3,3 miliardi (tra le risorse sbloccate dal Cipe, Fondo Sviluppo e coesione, PON e fondi Fesr e Feasr della vecchia programmazione), ormai è noto, ha subito lo stop di alcune Regioni, che non vedono di buon occhio il modello scelto dal Governo, il quale mira a uniformare il livello di infrastrutturazione su base nazionale distribuendo le risorse in base alle esigenze dei diversi territori.
In questo modo, a parere di alcuni, si andrà di fatto a penalizzare le Regioni virtuose, che hanno realizzato infrastrutture con fondi propri e potranno così beneficiare di minori risorse pubbliche rispetto a quelle aree che invece sono rimaste al palo.
Una contrapposizione di vedute, quella tra Governo e Regioni che ha di fatto portato al rinvio a questo giovedì della decisione finale sulla ripartizione delle risorse.
Un rinvio, ci ha spiegato l’Assessore alle autonomie locali e coordinamento delle riforme della Regione Friuli Venezia Giulia, Paolo Panontin, “dovuto alla necessità di ricercare un punto di equilibrio tra la necessità di salvaguardare l’interesse nazionale, seguendo un criterio di soddisfacimento dei fabbisogni territoriali, e la valorizzazione degli investimenti passati e presenti delle singole regioni sui fondi di sviluppo e coesione”.
Dalle Regioni, insomma, la richiesta “che nella ripartizione concreta dei fondi il taglio ‘perequativo’ della proposta ministeriale tenga conto anche del criterio di equità nel rapporto tra le diverse ‘storie’ regionali”.
Se ne riparlerà comunque questo giovedì nella nuova convocazione della conferenza Stato-Regioni ma a questo punto sembra difficile che quest’anno si riescano a spendere i 300 milioni messi sul piatto dal Governo per il 2016.
I primi bandi, in ogni caso, non potranno infatti partire prima della primavera inoltrata, sempre ammesso che si riesca a trovare un modello ‘che gira’ da notificare a Bruxelles.
Le aree interessate sono circa 7.300 comuni per una popolazione di circa 19 milioni di persone, in cui gli operatori non hanno intenzione di investire per mancanza di un ritorno economico. Ecco quindi che questi ultimi sono in una fase attendista perché anche in aree poco attraenti economicamente meglio una rete pubblica da accendere in seguito a una gara (o magari a seguito di un qualche incentivo economico sempre pubblico atto a ‘non lasciare indietro’ nessuno) che una rete di un concorrente.
Il Governo, dal canto suo, sembra alla strenua ricerca di una soluzione che permetta di sbloccare l’impasse. L’impressione è che si sia cercato in tutti i modi di ‘scegliere’ o quanto meno ‘orientare’ le strategie di mercato verso un interesse il più possibile comune, senza tuttavia per ora cavarne un ragno dal buco, anzi. Da qui l’idea di prendere in mano le redini e puntare sul modello diretto.
La situazione, tuttavia, sembra sempre più ingarbugliata e la quadra per una soluzione il più possibile equa che non aiuti né penalizzi nessuno, non si trova.
Neanche il ritorno di Enel sulla scena delle tlc, salutato da molti come ‘salvifico’, sembra aver portato i frutti sperati: è ormai quasi un anno che il gruppo di Francesco Starace ha annunciato il suo interesse per la partita della banda larga, ma tra rumors di alleanze e puntuali rinvii, ancora nulla si sa dei piani concreti della società elettrica, se non che intende sfruttare il piano di rinnovo dei contatori per portare la fibra nelle case.
Dal punto di vista delle aziende, è anche vero, l’incertezza normativa rende difficile qualsiasi decisione. “La nostra ambizione è costruire una rete dove possiamo farla noi a prezzi competitivi. Dove la faranno altri avremo noi l’accesso a usarla. L’importante è avere certezza delle regole perché senza un quadro certo è difficile fare un’analisi degli investimenti”, ha detto il presidente Telecom Giuseppe Recchi anticipando comunque che i nuovi obiettivi sull’ultrabroadband al 2018 che la società presenterà il 16 febbraio a Londra con il nuovo piano industriale triennale “saranno in aumento”.
E lo stesso vale per Enel che in attesa di conoscere il modello del Governo per le aree a fallimento di mercato pare stia per annunciare un test di cablaggio in una città in collocata in uno dei cluster ‘remunerativi’ per i quali non si prevede intervento pubblico. Il test coinvolgerà probabilmente tutti gli operator tlc, in una sorta di prova generale di cablatura via contatore elettrico, anche se – secondo indiscrezioni non confermate – è con Wind e Vodafone che la società sta predisponendo un primo piano di posa della fibra ottica in 250 città delle aree A e B, ossia quelle più redditizie dove si prevede concorrenza tra più operatori e nessun aiuto pubblico.
Tutto sembra prendere forma dunque: Telecom con Metroweb, Enel con Wind e Vodafone…Il piano vero e proprio, però, ancora una volta non si conosce: ci vorrà, pare, tra la fine di questo mese e l’inizio di marzo. Così come non si sa se, effettivamente, Telecom ballerà con Metroweb oppure sola.
Per le aree scarsamente attrattive si attende di sapere: come verranno ripartiti i fondi Cipe (e si deciderà probabilmente giovedì se le regioni supereranno le loro divergenze); come verranno ripartite le aree dei Cluster C e D, dove anche volendo partecipare alle gare per ‘accendere’ la fibra, affittarla alle telco e gestire la rete c’è bisogno di capire se i numeri renderanno l’opportunità appetibile. Possibile anche che nessun operatore si faccia avanti per affittare la rete in aree in cui non c’è domanda. C’è, poi, chi pensa sia possibile riunire l’insieme dei cluster C e D in poche macroregioni – 3 o 4 – per rendere più appetibile le gare e tante altre le opzioni allo studio…ma, come ci rimproverano anche dalla Ue, siamo, appunto, al livello delle ipotesi e mentre gli altri accelerano, la partita dell’ultrabroadband italiano sembra sempre uno di quei brutti sogni ansiogeni in cui abbiamo l’impressione di correre ma invece restiamo sempre fermi nello stesso punto.