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#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione). Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
Qualche giorno fa LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione) assieme ad Andrea Bettini della Tgr Rai ha iniziato a occuparsi del binomio media sociali e politica.
In particolare l’inchiesta promossa dal portale web della Testata Giornalistica Regionale Rai e condotta da Bettini si è occupata di verificare il gradimento su Facebook e Twitter dei Presidenti di regione italiani. LSDI ha sentito il parere di un sociologo, il professor Carlo Sorrentino, pro-rettore dell’Università di Firenze e ordinario presso il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’ateneo fiorentino.
Lsdi: Come li dobbiamo considerare i ‘Like’? Che cosa sono?
Carlo Sorrentino: Secondo me definiscono l’ambito di interesse. Così come veniva fuori anche nell’articolo di Bettini. In realtà se io seguo questa persona sul web, non è detto che io stimi questa persona, ma questa persona ricopre un ruolo importante per me, per la mia vita, per la mia identità e addirittura può ricoprire un ruolo ancora più determinante se io sono in contrasto con quello che dice e fa e per questo la voglio seguire d’appresso, marcare stretto. E’ un modo per controllare il suo operato. Il valore principale dei social media sia nel marketing che più espressamente in sociologia della comunicazione si chiama “leader d’opinione”. Io seguo questa persona o questa istituzione perchè la ritengo in qualche modo interessante per orientare il mio modo di pensare. Che non signfica obbligatoriamente che la penso come lui. Può essere addirittura l’opposto o comunque io seguo la persona il cui profilo può essere rilevante per la mia vita quotidiana. Sottolinea una qualche menzione di interesse.
Altra cosa invece è quando il “like” si fa nei confronti di un’azienda o di un bene, un oggetto; allora è evidente che c’è una maggiore adesione di tipo valoriale: io seguo quell’azienda, quel prodotto perché sono interessato, perché ha a che vedere con il mio stile di vita e quindi definisce una propensione e favorisce un comportamento. Un esempio per chiarire: io posso seguire su tutti i social il brand Ferrari, ma so bene che non diventerò mai un acquirente Ferrari. E’ qualcosa di più vago di una propensione all’acquisto, è un segnale di interesse.
Lsdi: Non diventerò mai acquirente Ferrari, perchè non sarò mai abbastanza ricco, però il web e in particolare i social mi permettono di avere una maggiore prossimità con l’azienda in questione e allargando il discorso anche con l’uomo politico, l’amministratore pubblico nel caso dei governatori…
Carlo Sorrentino: Il termine è centrato: la prossimità. Io posso volere la prossimità per mille motivi. Mi interessa essere il più vicino possibile al mio sindaco o al mio governatore non necessariamente perché lo voti, ma perché amministrano i luoghi dove vivo, dove vanno a scuola i miei figli, e quindi voglio controllare il più possibile il loro operato. In questo caso la prossimità ha a che vedere, e questo la rete lo rende sempre più evidente, con una capacità di partecipazione che è anche in qualche modo controllo. Per quanto riguarda invece i prodotti questo concetto di prossimità si realizza in vari altri modi. E’ vero che difficilmente potrò comperare una Ferrari, ma è anche vero che esistono tutta una serie di gadget e prodotti diversi a marchio Ferrari. L’esistenza di un marchio Ferrari su tutta una serie di altri prodotti serve anche proprio all’azienda per dire: “Io sono comunque un soggetto fortemente seguito perché ho tutta una serie di valori che mi sono riconosciuti e io cerco di declinare questi valori non soltanto nella costruzione di automobili di lusso ma anche nella definizione di tutta una serie di oggetti che io associo a me e che quindi chi è prossimo a me tenderà ad apprezzare”.
In questo modo il marchio automobilistico diventa un vero e proprio “brand” universalmente riconosciuto e fidelizza attorno a se non solo una ristretta comunità di possibili acquirenti di automobili di lusso ma una cerchia molto più vasta di ammiratori Ferrari. Un’azione di proselitismo, che a volte può essere eccentrico, rispetto alle azioni intraprese. Pensiamo ad esempio alle relazioni che alcune aziende hanno con il mondo del no-profit. Tutto nasce come un’azione di comunicazione sociale o meglio pubblicità sociale. E invece sempre più sta diventando per le aziende un processo attraverso il quale declinare l’insieme dei propri valori e la propria coerenza rispetto agli oggetti (intesi anche come oggetti valoriali) che un determinato brand deve comunque gestire. La capacità, quindi, di ridefinire e di allargare il concetto di responsabilità sociale d’impresa che secondo me la rete favorisce. Un brand mondiale che si muove anche nel no profit seguendo una direzione coerente con la propria identità.
Lsdi: Tornando alla politica questo dialogo non mediato fra amministratori e cittadini attraverso appunto i social media quanto incide positivamente sulla trasparenza o quanto invece si traduce in mera propaganda?
Carlo Sorrentino: Io credo ci si trovi difronte a un problema dinanzi al quale si trovò il primo Obama quando dovette tradurre la comunicazione elettorale in comunicazione istituzionale. Quando dopo essere stato eletto Obama si trovò a dover dare sostanza a tutta quella enorme mole di comunicazione fatta sui social, si trovò in difficoltà. Perché dovette tradurre il linguaggio tutto sommato banale della comunicazione elettorale, teso a portare voti e nient’altro, nella comunicazione istituzionale molto più complicata perché ha a che fare con organizzazioni complesse con interessi legittimi, con la capacità di mediazione, e altro ancora. Infatti lo stesso Obama è stato a lungo criticato per la difficoltà manifestata nell’attuare questa traduzione fra comunicazione elettorale e istituzionale. Ed ancora oggi la Presidenza americana ha difficoltà nell’essere efficace dal punto di vista della propria comunicazione istituzionale sui media sociali.
Quella in cui oggi in Italia ci troviamo è la stessa difficoltà a mio avviso. Governatori, sindaci o comunque leader politici sono più o meno bravi a fare comunicazione della leadership, comunicazione del personaggio politico. E questo crea dei problemi. C’è una riflessione in corso su questo concetto presso la maggior parte delle amministrazioni pubbliche italiane: quando si parla sui social in nome e per conto dell’amministratore o dell’uomo politico, è la componente pubblica che comunica o la persona? I problemi che vengono a crearsi mi sembrano numerosi e per il momento non risolti. Nel senso che finora mi sembra che più che altro questi soggetti politici, anche quando ricoprono cariche istituzionali come si vede nell’inchiesta realizzata da Bettini per la Tgr, non hanno molto chiara la propria posizione. Per il momento loro si limitano a fare volume di comunicazione che riporti al personaggio politico. Se davvero vogliamo integrare questi mezzi, ed usare i social per dare maggiore capacità partecipativa ai cittadini, bisognerà rispondere con serietà a questo tipo i domande… (Continua su LSDI)