Con il 2015 si chiude anche il capitolo Rai per quanto riguarda la governance e il canone ma si apre quello del confronto, si prevede molto animato, per il rinnovo della concessione del servizio pubblico che scadrà il prossimo maggio.
Ieri il Senato ha approvato, con 162 voti favorevoli e 125 contrari, la Legge di Stabilità che contiene la norma sul canone. Via libera anche alla riforma della governance della tv pubblica che passa per alzata di mano e quindi senza la registrazione dei voti. Nessuno infatti ha chiesto di votare con procedimento elettronico.
La scorsa settimana tutto era saltato all’ultimo momento per la mancanza del numero legale.
I cambiamenti non hanno raccolto il consenso di tutti, come si sapeva da tempo, e non sono mancate le lamentele per le novità introdotte che non lasciano soddisfatti.
E così, mentre il Sottosegretario Giacomelli annuncia la nascita di una “vera media company”, adatta a raccogliere la sfida dell’era della convergenza, da Forza Italia Gasparri parla di “leggina che sarà stracciata dalla Corte per la sua palese illegalità” e dal M5S, il presidente della Vigilanza Fico la definisce “la peggiore legge che si potesse consegnare per il servizio pubblico”.
E anche fuori dalle aule della politica, si fa sentire forte la voce del dissenso. La Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) e l’Unione Sindacale Giornalisti Rai (Usigrai) affermano che “Il Presidente del Consiglio aveva promesso di togliere la Rai ai partiti e restituirla ai cittadini. E invece l’ha messa alle dirette dipendenze del governo”.
Ma andiamo con ordine e vediamo tutti i cambiamenti introdotti da quando lo scorso 27 marzo il Premier Renzi ha presentato la riforma.
Ecco cosa cambia
La novità più grossa è sicuramente l’introduzione della figura dell’amministratore delegato. Tutti i poteri previsti passeranno all’attuale direttore generale Antonio Campo D’Orto, nominato con la vecchia legge Gasparri insieme al Cda visto che i vertici erano già scaduti e non si voleva rischiare l’inattività dell’azienda. Il Cda diventa più snello e viene anche prevista la figura del presidente di garanzia.
L’amministratore delegato, secondo quanto previsto dall’articolo 2, è nominato dal Cda su proposta dell’assemblea dei soci, dunque del Tesoro, resta in carica per tre anni e può essere revocato dallo stesso consiglio.
Può nominare i dirigenti, ma per le nomine editoriali deve avere il parere del Cda che, nel caso dei direttori di testata, è vincolante se fornito a maggioranza dei due terzi.
Secondo un emendamento approvato in commissione alla Camera, assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico; può firmare contratti fino a 10 milioni di euro e ha massima autonomia sulla gestione economica. Prevista l’incompatibilità con cariche di Governo, l’Ad deve, inoltre, essere nominato tra coloro che non abbiano conflitti di interesse e non cumulino cariche in società concorrenti.
All’Ad spetta anche l’approvazione del piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale, con la pubblicazione degli stipendi dei dirigenti.
Il presidente di garanzia è stato introdotto con un emendamento di Forza Italia. Viene nominato dal Cda tra i suoi membri, ma deve ottenere il parere favorevole della Commissione di Vigilanza con i due terzi dei voti.
I componenti del Cda sono sette al posto degli attuali nove: quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti.
Delega al Governo per il riordino e la semplificazione dell’assetto normativo.
Il Contratto di Servizio viene prolungato dall’articolo 1 a cinque anni e si potenzia anche il ruolo del Consiglio dei Ministri che delibera gli indirizzi prima di ciascun rinnovo del contratto nazionale. Alla Camera è stata introdotta una norma con la previsione di una consultazione pubblica in vista del rinnovo della concessione che scadrà a maggio.
Il canone
Accanto a tutti questi cambiamenti che riguardano la governance, c’è anche quella introdotta dalla Legge di Stabilità sul canone che da gennaio sarà collegato alla bolletta elettrica, diluito in dieci rate, con la novità che il maggiore gettito sarà destinato alla riduzione della tasse, all’allargamento delle esenzioni e al Fondo per le tv locali.
R&S-Mediobanca fa i conti del settore radiotelevisivo, evidenziando una ripresa nel 2014.
Sui ricavi aggregati della Rai pesa però l’evasione del canone che segna un -9,5% lo scorso anno.
Il canone Rai è il più basso nel panorama europeo, ma il tasso di evasione, con il 30,5% che equivale a circa 600 milioni di mancati introiti, è da primato e si confronta con il 5% di Uk e l’1% di Germania e Francia.
Se il tasso di evasione si allineasse al 5% della Francia, i ricavi complessivi della Rai salirebbero a 2,9 miliardi, facendo del gruppo il leader italiano (davanti a Mediaset, se si esclude la Spagna). Dalla contabilità separata della Rai emerge nel 2014 un deficit netto di 167 milioni, quale sbilancio tra introiti da canone e costi del servizio pubblico: 2,5 miliardi di deficit cumulato in dieci anni. Come audience, però, Rai con 39,3% in prima serata è davanti al 31,5% di Bbc e France Télévisions e al 27,6% delle tv pubbliche tedesche.
In Italia, dunque, quasi una famiglia su tre non paga il canone, con un tasso di mancata adesione molto differenziato, che passa dal 26% al Nord, con il minimo in Alto Adige e in Friuli, al 29% nelle Regioni del Centro, al 37% al Sud e 40% nelle Isole. Le province più virtuose del 2014 sono Ferrara (17%), Rovigo (18%) e Bolzano (25%), quelle che segnano il più alto tasso di evasione Crotone (56%), Napoli (55%) e Catania (53%). Roma è a un tasso di evasione del 38%, mentre Milano sale al 42%.
La protesta di Fnsi e Usigrai
Tornando alla riforma della governance, immediata la protesta di Finsi e Usigrai che con una nota congiunta hanno dichiarato: “Con un doppio colpo, Palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i 2 pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza dei Servizi Pubblici: fonti di nomina e finanziamenti. Da oggi la Rai sarà guidata da un amministratore delegato, quindi da un capo azienda con molti più poteri, scelto direttamente dal governo. Allo stesso tempo, con la Legge di Stabilità, il governo si prende il controllo anno per anno anche dei finanziamenti del Servizio Pubblico, uno degli strumenti più forti per condizionare la gestione e le scelte editoriali della Rai”.
Le reazioni della politica
Appena la riforma è stata approvata in via definitiva, sono arrivate subito le reazioni politiche. Al centro della discussione lo stretto legame che si viene ad instaurare tra il Governo e la Rai con le nomine dell’Ad e di due consiglieri d’amministrazione.
Per Maurizio Gasparri (FI), la legge che porta il suo nome “resta in vigore. Si modifica, in termini incostituzionali, la nomina dei vertici Rai. Comanda tutto un Amministratore Delegato scelto dal Governo, negando quattro sentenze della Corte Costituzionale. Una leggina che sarà stracciata per la sua palese illegalità. Un atto di protervia che sarà la Corte ad abolire”.
Il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico (M5s), su Facebook scrive che “Renzi vuole una Rai legata a doppio filo al potere esecutivo. In qualunque democrazia sarebbe impensabile. Una Rai fortemente lottizzata dai partiti che avranno ancora voce in capitolo nella scelta dei vertici e continueranno a spartirsi incarichi e poltrone”.
Soddisfatto, invece, il presidente dei deputati di Area popolare (Ncd-Udc) Maurizio Lupi: “La Rai è finalmente un’azienda in cui la possibilità di decidere non è più parcellizzata in modo tale da portare spesso all’immobilismo, ora il nuovo amministratore delegato usi questi effettivi poteri dimostrando grande responsabilità”.
Giacomelli: ‘Più forte il legame con le istituzioni, non con i partiti’
Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, plaude al lavoro fatto, convinto che con questa “riforma la Rai diventa un’azienda di servizio pubblico più moderna, più efficiente e trasparente, con un vero amministratore delegato e un Cda non scelto dalla Vigilanza, ma da Camera e Senato con candidature pubbliche. Si rafforza il legame con le istituzioni e con il sistema-paese, non con i partiti. La riforma del canone in Legge di Stabilità e il rinnovo della convenzione, che definirà la mission per i prossimi dieci anni, completeranno il disegno di trasformazione della televisione pubblica in una vera media company nell’era della convergenza”.
Adesso il prossimo appuntamento sarà il lancio della consultazione pubblica per il rinnovo della concessione del servizio pubblico.