Un viaggio a ritroso, per ripercorrere tutte le tappe del viaggio che ArTVision ha compiuto e che, il più possibile, sappiano portarci in dote lo spirito dei paesi che abbiamo visitato: ecco qual è il nostro scopo di oggi.
L’Albania e la sua immobilità, il quiescente stato d’attesa di un paese al di là dell’immaginario, che si anima di suoni comuni seppur misteriosi.
In assonometria monometrica, ad assorbire luce e speranze, vi è il posto di blocco di Fatlum Doçi. Una bara sormontata da una lapide ad orologeria, con tanto di quadrante, di lancette. Il ticchettio è un battito cardiaco che, ad ogni sistole, ad ogni diastole, ci fa credere che sia l’ultima volta che rintoccherà per noi. E’ una visione scarna, perfettamente geometrica e bilanciata. La linea d’orizzonte è altissima nella composizione dell’immagine ed è certamente significante: il protagonista di questo racconto comatoso è la terra, il sottosuolo, il posto di blocco degli uomini, il posto di blocco che nessuno può forzare per procedere oltre… o forse sì?
In Croazia si danza con l’elettricità e se ne fa estetica. Elemento vitale e mortifero, musa ispiratrice degli artisti contemporanei proprio come lo fu il fuoco per gli antichi. Latrice di vita e di morte, l’elettricità è una sconosciuta e truffaldina benefattrice del genere umano, ancella del genio e presupposto imprescindibile della nuova industria e della nuova conoscenza. La curatrice della mostra che intraprende il suo iter figurativo dalla persona di Nikola Tesla, Nedezda Elezovič, si domanda come non si possa considerare l’elettricità come esperienza artistica primordiale, dal momento in cui, se si entra in contatto con essa, il corpo viene percorso e percosso da scariche che gli sottraggono la parola ma gli concedono, anzi gli impongono, il movimento. Si esperisce così una catarsi intraducibile e rivelatrice. L’elettricità è uno dei grandi doni che la gente di quei boschi, attraverso uno dei loro figli più dotati, ha regalato al mondo traendola dalla terra.
E il mondo ha usato quel retaggio per dividerci ancora di più, atomizzandoci negli spazi affollati delle nostre nuove abitazioni al neon e microonde. Il cosmo interiore della persone è fragile, come se fosse fatto di carta. Vlatka Vujošević, come una moderna Sammartino, vela di disperazione figure monocrome che sono specchio dell’immaginario costituzionale e societario che le genera. Tutti noi possiamo riconoscerci in quei gesti spezzati, in quei luoghi dell’anima così distanti da una parvenza di completezza. Visi che emergono dalle mura dei nostri errori per continuare a tormentarci con baci che avremmo voluto dare e ricevere.
Facciamo un salto dall’altro lato del mare, e arriviamo in Puglia passando per il sole. Un sole coi capelli mossi dal vento. Un sole bello, pugliese, un sole gratulatorio. Un sole talmente singolare da essere declinato al plurale, per anni ed anni di ricerca della perfezione. Così come dura e duratura è la ricerca di Luigi Mainolfi e di ognuno di noi, la ricerca della luce; l’abbacinante luminosità dell’eterno che prima o poi, ad ognuno, dovrà dischiudere il suo mistero. E a pochi passi di latitudine, dall’Albania al tacco del nostro stivale, la morte assume un altro significato. Un significato meno cupo ed atterrente, un messaggio di speranza e di completezza: come se questi soli solidi non potessero squagliare le ali di cera di un popolo che anela al raggiungimento di una propria e non ancora dogmatizzata religiosità.
Come accadeva in passato, come ci hanno insegnato i grandi maestri, quelli prima di Raffaello che sono nati dopo Raffaello, e in posti molto distanti da Urbino. Una eco di Dante Alighieri, figure silenti in un bosco dell’insondata memoria collettiva. Il Veneto vuole raccontarci una storia preraffaelitica che quindi non può che avvenire in un luogo utopico, nel senso più pregnante ed etimologico del termine. Un non-luogo della storia e dei sentimenti dove persino incedere della morte può essere sovvertito, e dal turgore della sofferenza può sbocciare in un sorriso. Un luogo in cui persino un suicida può contemplare la bellezza della sua condizione e risvegliarsi, una volta e per sempre.
Dalla straziante attesa di una morte imminentemente contemporanea che ci giunge dall’Est ad un risveglio di cui abbiamo conoscenza dall’esperienza del passato. L’arte, in fondo, è questo: il tutto ed il contrario di tutto.