Come era stato ampiamente anticipato, Vivendi ha fatto richiesta di integrazione dell’ordine del giorno dell’Assemblea degli azionisti ordinari di Telecom Italia, convocata per il giorno 15 dicembre prossimo. Quello che forse non tutti si aspettavano è che il gruppo di Vincent Bollorè chiedesse 4 rappresentanti in cda. E si tratta di nomi di ‘peso’: il suo amministratore delegato Arnaud Roy de Puyfontaine, il direttore operativo Stephane Roussel, il CFO Hervé Philippe e Felicité Herzog, figlia della ‘leggenda’ francese Maurice Herzog, scrittrice nonchè associata della società di consulenza Ondra Partners e con un curriculum che spazia da Lazard a JP Morgan (quest’ultima nel frattempo ha portato la sua quota al 5,1% dal 4,6% di luglio, diventando terzo azionista).
Ma cosa cambierà con l’ingresso di questi pezzi da 90, tutti francesi? E, soprattutto, cambierà qualcosa? Di certo l’ad Marco Patuano e il presidente Giuseppe Recchi, pur nella certezza di restare al loro posto fino a fine mandato, si sentiranno quanto meno un po’ ‘osservati speciali’.
Del resto, non era neanche pensabile continuare a lungo a mantenere il cda cristallizzato all’era Telco: alla holding capitanata da Telefonica e che vedeva tra gli azionisti Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Generali fanno infatti capo 8 consiglieri. Era ovvio che il primo azionista chiedesse quindi quantomeno un’integrazione del board per includere suoi rappresentanti, soprattutto se si guarda a quanto fatto in precedenza da Bollorè, manager estremamente accentratore, nelle altre sue controllate – in Canal +, ad esempio, ha rimosso dal suo incarico il direttore generale Rodolphe Belmer (sostituito da Maxime Saada) e il Ceo, Bertrand Méheut. Il tutto, dice chi lo conosce bene, per circondarsi di ‘fedelissimi’ più che nell’ambito di un piano di riorganizzazione. Tanto più che a questo ‘blocco francese’ in seno a Telecom (un commissariamento?) si aggiunge anche l’uomo d’affari tunisino Tarak Ben Ammar, alleato storico di Bolloré e membro del Consiglio di sorveglianza di Vivendi.
I 4 nuovi Amministratori della società proposti da Vivendi porteranno a 17 il totale dei consiglieri e, secondo la proposta di deliberazione, resteranno in carica sino alla scadenza del mandato dell’attuale Consiglio di Amministrazione, e dunque fino all’Assemblea convocata per l’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2016.
Tra le altre richieste avanzate da Vivendi, anche “l’aumento del compenso complessivo annuo del Consiglio di Amministrazione deliberato dall’Assemblea del 16 aprile 2014…in misura proporzionale al numero di Amministratori nominati”, informa Telecom Italia in una nota.
La richiesta arriva nel momento in cui la società italiana si appresta ad approvare la conversione delle azioni risparmio (sarà discussa proprio all’assemblea straordinaria del 15 dicembre) che avrà come conseguenza – oltre alla semplificazione della struttura azionaria – anche la diluizione della quota di Vivendi dal 20,03% al 14% circa. Integrando il Cda con i suoi rappresentanti, dicono gli analisti di Equita Sim, Bollorè avrà pertanto la possibilità di preservare le scelte strategiche di Telecom Italia da eventuali influenze di nuovi azionisti (Vedi Xavier Niel).
Allo stesso modo, osservano ancora da Equita Sim, è plausibile che la mossa di Vivendi non porti a pericolosi stravolgimenti nelle scelte strategiche e finanziarie di Telecom Italia, che finora si sono dimostrate valide e hanno avuto effetti benefici sull’andamento del titolo, che nell’ultimo anno si è apprezzato di oltre il 30%.
“Nel complesso la mossa non dovrebbe diminuire l’appeal fondamentale e neppure quello speculativo, specie se Vivendi risultera’ essere un traghettatore verso altri azionisti nell’ambito del consolidamento europeo”, sottolineano gli analisti.
C’è però anche chi è pronto a scommettere che il rafforzamento dell’influenza di Bollorè in consiglio accelererà l’uscita dal mercato brasiliano – dove Tim Brasil è corteggiata dal fondo russo Letter One – nell’ambito del porgetto di razionalizzazione del sud europa avviato da Vivendi.
De Puyfontaine, tra l’altro, ha avuto oggi un incontro alla Consob nell’ambito delle attività di monitoraggio dell’autorità sui movimenti attorno al titolo Telecom Italia, avviata dopo l’annuncio della conversione delle azioni risparmio.
Uscendo dalla sede dell’autorità, il manager transalpino si è limitato a precisare che “…la nostra posizione è sempre la stessa, non è cambiata, non ho nulla da aggiungere”.
JP Morgan al 5,1%
Venerdì, intanto, si è appreso che JP Morgan è diventata il terzo azionista di Telecom Italia, con una quota del 5,133% (l’1,426% è senza diritto di voto), subito dietro a Xavier Niel, che possiede una quota potenziale del 15%, prima di Norges Bank al 2,775% e People’s Bank of China al 2,081%.
Ricordiamo che proprio gi analisiti di JP Morgan hanno tagliato le stime sull’utile per azione di Telecom Italia per il biennio 2015/2016, in seguito a una possibile riduzione della redditività del gruppo in Brasile e che la quota in mano alla banca americana, che a luglio era di circa il 7% per poi essere riportata a luglio al 4,6%, è legata alla partecipazione residua di Telefonica in Telecom: la società spagnola ha siglato con JP Morgan un contratto di ‘total return equity swap’ che le permetterà di rientrare in possesso, il 19 luglio 2017, di una quota di Telecom compresa tra il 5,395% e il 6,474% così da disporre delle azioni per rimborsare il prestito convertendo, in scadenza cinque giorni dopo.