#WebTax verso il traguardo, in vigore dal 1° gennaio 2014

di Raffaella Natale |

Il governo ha posto la fiducia sul Ddl Stabilità. Il voto è fissato per domani.

Italia


Economia digitale

Con la fiducia di oggi e il passaggio in aula domani la Web Tax “alleggerita” entrerà in vigore dal 1° gennaio 2014. A partire dal prossimo anno, l’Italia sarà tra i primi Paesi d’Europa dove le aziende che vendono pubblicità online, specie le grandi web company come Google che sull’eAdvertising hanno costruito le loro fortune versando solo le briciole all’erario, dovranno disporre di partita Iva italiana e adeguarsi al regime fiscale del nostro paese.

Una vittoria per il presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia (Pd), il padre della Web Tax, che ai suoi detrattori, in prima linea il neosegretario del Pd Matteo Renzi, Confindustria e il mondo accademico vicino alle multinazionali americane, ha replicato: “Ai tanti benpensanti per cui libertà della rete equivale a libertà di non pagare le tasse, consiglio di approfondire le cause dell’imponente emorragia finanziaria in corso in alcuni settori strategici come editoria, cinema e tutto ciò che è connesso al diritto d’autore“.

 

Fondamentale anche la parte dell’emendamento che riguarda la stabile organizzazione e tracciabilità dei profitti visto che finora le leggi consentivano agli Over-The-Top (Google, Facebook, Amazon ed Apple) di ricorrere a una serie di artifici per sottrarsi al pagamento delle tasse nei Paesi dove vendono servizi per traghettare i profitti nei paradisi fiscali.

 

Grazie a questi artifici, lo scorso anno gli OTT hanno versato all’erario italiano solo 9,157 milioni di euro (5,98 se si considerano i crediti d’imposta).

Google non ha pagato tasse (anzi ha 5.454 euro di credito d’imposta) con la Technology Infrastructure e ha versato 1,8 milioni con Google Italy srl. Cifra veramente piccola, visto che secondo le stime degli analisti il giro d’affari dell’azienda di Mountain View legato al mercato pubblicitario italiano è di 700 milioni di euro.

Facebook (che secondo le stime nel 2012 ha raccolto pubblicità per 35-40 milioni) ha dichiarato 3 milioni di giro d’affari, pagando 131.037 euro con la Italy srl. Apple ha pagato 648 mila euro con laApple Retail Italia (ma con un credito d’imposta di 3,177 milioni) e 5,529 milioni con Apple Italia.

 

Proprio su Apple il mese scorso in Italia è stata anche aperta un’indagine penale che ipotizza il reato di dichiarazione dei redditi fraudolenta.

Nei due anni contestati finora, Apple avrebbe nascosto al Fisco italiano 1 miliardo e 60 milioni di euro di quelli che in gergo tributario si chiamano gli “elementi attivi” che concorrono al formazione dell’imponibile.

 

Stando all’accusa, i profitti realizzati in Italia da Apple venivano contabilizzati dalla società di diritto irlandese Apple Sales International, seguendo lo schema del cosiddetto “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto nei paradisi fiscali.

 

Secondo la magistratura – ha spiegato oggi Boccia in un’intervista uscita oggi su La Stampa – il ramo aziendale italiano non era e non è di supporto a quello irlandese ma una struttura commerciale operativa e autosufficiente. Che vende prodotti e incassa”.

Una cosa che, con l’entrata in vigore della Web Tax non sarà più possibile. D’ora in pois, ha sottolineato Boccia, “Le imprese che fanno affari in Italia devono avere la partita Iva italiana, esattamente come farebbero gli Stati Uniti se si trovassero in un’analoga situazione. Non c’è nessuna nuova tassa che colpirebbe qui in Italia le aziende americane, ma sarebbe applicata la stessa imposta sul valore aggiunto che oggi pagano le imprese di Vercelli o di Salerno”

Sulla Web Tax si è espresso Emer Traynor, portavoce del Commissario Ue per la fiscalità Algirdas Semeta, che a Reuters ha dichiarato: “Avremmo seri dubbi sull’emendamento nella sua forma attuale, che sembra andare contro le libertà fondamentali e principi di non discriminazione sanciti dai Trattati“.

Il portavoce usa toni cauti. Il condizionale è, infatti, d’obbligo perché la Ue non ha ancora visto il testo definitivo della Legge che sarà votato domani in Aula alla Camera e, come ha ribadito oggi l’on. Boccia intervenendo a una diretta streaming sul sito del Fatto Quotidiano, in materia fiscale “non vi è alcun obbligo di notifica alla Ue“. Solo dopo l’approvazione, Bruxelles potrà esprimere il proprio giudizio.

Qanto è avvenuto in Italia, si colloca in un quadro più ampio di operazioni internazionali ed europee.

A ottobre si è tenuto un Consiglio europeo sull’economia digitale. In quell’occasione, il premier Enrico Letta aveva detto: “E’ in corso una svolta storica nel mondo che dobbiamo cogliere, affinché vinca la legalità e l’Italia possa riappropriarsi di risorse che consentiranno, già a partire dal prossimo esercizio finanziario, di far scendere il deficit e abbassare le tasse”.

 

E al mini-vertice tenutosi qualche giorno prima a Parigi, il Viceministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda aveva ribadito “Riteniamo che non sia equo che i grandi player digitali facciano profitti in Europa e paghino altrove, e pochissimo, le tasse. E’ un problema che va risolto“.

 

All’inizio di settembre, in occasione del G20 a San Pietroburgo, i leader mondiali hanno trovato l’accordo su un Piano d’azione per combattere l’evasione fiscale e prevenire che le multinazionali sfruttino scappatoie e paradisi fiscali per pagare delle tasse minime.

Nella dichiarazione finale si legge che la priorità è che tutti i contribuenti paghino le tasse, senza ricorrere a pratiche di ‘pianificazione fiscale aggressiva’ per sottrarsi alle imposte.

 

Una sfida quanto mai attuale, davanti alla crescita dell’economia digitale. In questo senso i leader del G20 hanno dato ampio sostegno al Piano presentato dall’OCSE, invitando tutti i paesi interessati a sostenerlo.

 

Per il segretario generale dell’OCSE, Angel Gurrìa, “queste strategie, benché tecnicamente legali, erodono le basi imponibili di molti paesi e minacciano la stabilità del sistema fiscale internazionale”.

La spending review ha messo a dura prova tutte le famiglie europee ed è, quindi, “opportuno che tutti i contribuenti, imprese e cittadini, paghino le tasse dovute“.

Negli Stati Uniti, scrive l’OCSE, ogni anno ‘spariscono’ 1.375 miliardi di dollari di profitti. In Europa questo mancato guadagno per l’erario ammonta a 1.000 miliardi di euro l’anno, stando alle stime della Commissione Ue.

 

Il presidente esecutivo di Google, Eric Schmidt, non s’è mai scomposto e ha sempre detto Fate le leggi e noi le rispetteremo“.

 

L’Italia ha fatto la sua legge e sicuramente su questa scia si muoveranno altri Paesi Ue, come Francia, Gran Bretagna e Germania,  già apertamente schierati contro le pratiche di ottimizzazione fiscale. 

 

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