Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, di fronte alle grandi sfide sociali, economiche e politiche che si prospettavano, si suggeriva di “Pensare globale e agire locale”. Molti dei problemi che affliggono l’umanità sono gli stessi per qualsiasi comunità, in ogni nazione: lavoro, casa, inquinamento, diritti civili, istruzione, qualità della vita, giustizia, lotta alla povertà, inclusione sociale, sanità, redistribuzione delle ricchezze, ottimizzazione delle risorse naturali, lotta agli sprechi, efficienza energetica (e sono solo gli argomenti più conosciuti dal grande pubblico).
Se i problemi sono globali e relativi soprattutto alle città (in via di ulteriore espansione), riguardano cioè tutti, è a livello locale che si deve trovare la soluzione ‘migliore’, la più efficiente, date le caratteristiche (sociali, economiche, culturali, ambientali) del luogo.
La stessa cosa per quanto riguarda i cambiamenti climatici e le minacce che questi potrebbero creare per le nostre città e i sistemi economici nel loro complesso. Il Massachusetts Institute of Technology (MIT), università e centro di ricerca tra più prestigiosi al mondo, con sede a Cambridge nel Massachussetts, ha pubblicato una guida nazionale per promuovere, tra le comunità urbane più esposte ai fenomeni naturali estremi, buone pratiche di resilienza e di gestione delle emergenze.
Lo studio, “Managing climate risks in coastal communities”, condotto da Lawrence Susskind, professore di Urbanistica avanzata al MIT e responsabile del progetto “New England Climate Adaptation Project”, da cui è tratto il documento, nasce da una sperimentazione pluriennale (2012-2015) condotta anche tramite role-playing games e relativa a 4 città americane: Wells (nel Maine), Dover (New Hampshire), Barnstable (Massachusetts), Cranston (nella foto, durante una delle tante inondazioni che hanno colpito l’area di Rhode Island).
Dallo studio emerge che la gran parte degli amministratori pubblici sottovaluta i rischi che le città corrono di fronte alla minaccia dei cambiamenti climatici, mentre il 60% della popolazione urbana è consapevole che qualcosa bisogna cominciare a fare da subito per rendere le città pronte ad ogni evenienza.
Le quattro città, diverse per grandezza e proprietà urbanistiche, ma tutte situate sulla costa e quindi potenzialmente soggette a inondazioni o, nella peggiore delle ipotesi, a finire direttamente sott’acqua per l’innalzamento dei livelli delle acque oceaniche (fino a 8 metri entro la fine del secolo, nelle proiezioni più catastrofiche), hanno fatto da contesto per riportare dati, esperienze, idee, soluzioni, best pratice e suggerimenti provenienti direttamente dai cittadini, le smart community sul territorio, che i ricercatori hanno coinvolto nel progetto.
Il MIT, inoltre, ha lanciato a fine ottobre un nuovo piano d’azione per fronteggiare le sfide del clima, “A Plan for Action on Climate Change”, con l’obiettivo di coinvolgere centri di ricerca, istituzioni locali e centrali, esperti e innovatori, nonché i privati, per dare vita ad una community nazionale vasta e partecipata, che sappia produrre nuove idee e soluzioni al problema.
Se dall’alto non arrivano indicazioni o politiche d’indirizzo sul come far fronte alle conseguenze del fenomeno climate change, che ormai riguarda tutto il mondo, non certo solo l’America, è dal basso che può sorgere un moto d’iniziativa che sappia coinvolgere direttamente i propri amministratori, fino al Governo centrale, con l’obiettivo di orientare le scelte dei decisori in termini di nuovi progetti smart city, che tengano conto dei rischi dovuti all’effetto serra e alle conseguenze che questo ha sul clima, quindi di iniziative dedicate a sostenibilità, efficienza energetica, lotta alle emissioni inquinanti, investimenti in infrastrutture innovative e in una nuova edilizia intelligente (smart bnuildings), nascita di comunità intelligenti che partecipino direttamente alla governance del territorio.