#eJournalism, la crisi della free press

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Nel 2007 in 31 paesi europei venivano diffuse ogni giorno 27 milioni di copie di quotidiani gratuiti: era il livello più alto raggiunto nella storia della free press quotidiana, cominciata nel 1995 nella capitale svedese, Stoccolma.

Poi è arrivata la crisi, la pubblicità è calata rapidamente e l’unica fonte di ricavi del settore si è presto prosciugata, tanto che nel 2012 la diffusione era scesa a 15 milioni di copie. E dai 140 quotidiani censiti nel 2007 si è passati a 75 del 2012. In quasi tutti i paesi sono sopravvissute una o due testate. La situazione di concorrenza si è trasformata in monopolio.

 

 

Un’ampia analisi di questa parabola è stata realizzata dalla rivista accademica danese Journalistica con un lavoro a cui ha  collaborato anche Piet Bakker, uno dei maggiori studiosi del settore (Infografica).

 

Ne dà notizia sul suo sito, Newspaperinnovation.com, lo stesso Bakker, spiegando di aver analizzato in particolare lo sviluppo del mercato della free press nei principali paesi dell’Europa occidentale (non l’ Italia).

Nelle quattro nazioni scandinave (la Norvegia non ha quotidiani gratuiti), spiega, una crescita impetuosa era stata registrata nel 2006-2007, seguita da un altrettanto rapido declino. I gratuiti non sono comunque spariti. In Svezia ne è rimasto uno (Metro), in Danimarca le 11 testate del 2006 si sono ridotte a una sola e in Finlandia e Islanda da due si è passati a una. Nel 2006 la diffusione in questi quattro paesi era complessivamente di 3,8 milioni di copie. Nel 2013 è scesa a 1,1 milioni, meno della terza parte (Infografica).

 

Oltre ai paesi scandinavi, l’analisi di Bakker – qui si può scaricare l’intero studio (in danese) mentre qui c’è il capitolo scritto da Bakker (in inglese) – comprende anche i paesi di lingua tedesca (Germania, Austria, Svizzera e Lussemburego), il Regno Unito, l’Irlanda e i Paesi bassi (Olanda e Belgio).

 

Nei paesi nordici – racconta lo studioso nelle conclusioni del suo saggio – la diffusione dei quotidiani gratuiti raggiungeva i 3,8 milioni di copie nel 2006 e su ogni mercato c’era una forte concorrenza. Nel 2013 la diffusione è calata a 1,1 milioni di copie e in ogni paese c’è ora una sorta di monopolio.

 

In Olanda la durissima concorrenza si è spenta nel 2012 quando il gruppo TMG ha acquisito Metro realizzando una situazione di  monopolio dei quotidiani gratuiti.

La diversificazione (consegna a domicilio, edizioni del fine settimana, giornali di qualità) è fallita.

 In Belgio la situazione di monopolio c’ era dall’ inizio.

 

In Germania il tentativo di diversificazione (sport, vita notturna, affari, diffusione su aerei e linee ferroviarie) non è riuscito. Anche in Svizzera il processo (consegne a casa, testate economico-finanziarie) è fallito, sebbene il secondo giornale della parte di lingua tedesca fosse un quotidiano del pomeriggio.

 

L’Austria ha visto la chiusura dei quotidiani locali gratuiti, ma anche la crescita di due testate gratuite nazionali. In Lussemburgo si è creata una situazione di monopolio dopo alcuni tentativi di diversificazione. Nel Regno Unito, dove c’è un regime di concorrenza a Londra e uno di monopolio in tutti gli altri mercati, la diversificazione in qualche modo ha funzionato.  In Irlanda invece c’è ora una situazione di monopolio.

 

La saturazione del mercato

 

In tutti i paesi, tranne che in Austria, si registra un forte declino nella diffusione dovuta a una saturazione del mercato con la conseguenza di una situazione di monopolio o semi-monopolio che sembra essere ormai la caratteristica dominante della scena della free press in Europa.

 

Il fatto che i gratuiti siano diffusi soprattutto negli snodi del trasporto pubblico (stazioni ferroviarie, aeroporti, bus) dimostra, secondo Bakker, che il monopolio sia la condizione ”naturale” della free press visto che il target a cui le varie testate si rivolgono è lo stesso e quindi gli esperimenti di diversificazione non possono riuscire.

 

Bakker cita uno studio sulla situazione in Svezia di due ricercatori – Callius e Lithner (2007) – secondo cui il lancio di una nuova testata gratuita porta immediatamente a un calo nella diffusione delle altre testate.

 

Altri sistemi di diffusione potrebbero raccogliere fasce di lettori diversi, ma questo comporterebbe un aumento dei costi. L’ambiente del trasporto pubblico ha una serie di vantaggi che sarebbe assurdo non sfruttare. Offre un grande pubblico urbano (relativamente giovane, professionale) in un piccolo segmento della giornata che ha il tempo di sfogliare un giornale.  Gli altri modi di diffusione sono meno attraenti.

 

Nel 2007 in Danimarca MetroX (con distribuzione nel sistema dei trasporti) aveva 2,4 lettori per copia, mentre la testata concorrente, il Nyhedsavisen  (che veniva diffuso in parte anche con consegne a domicilio) aveva solo 0,6 lettori a esemplare.

 

Quello di monopolio ”naturale” – osserva lo studioso – non è solo un concetto teorico, basato sul fatto che c’è più di una azienda che punta esattamente allo stesso pubblico e deve costruire una costosa rete di infrastrutture. I giornali gratuiti possono mettere a punto proprie reti di distribuzione e la maggior parte di loro lo hanno fatto.

 

La somiglianza con i classici monopoli naturali sta nell’incapacità di differenziare i prodotti per diversi tipi di pubblico. Gli utenti del trasporto pubblico sono gli  stessi per tutti gli editori. E poiché la free press ha una sola fonte di reddito, la pubblicità, il pubblico di massa è la scelta più ovvia.

La concorrenza porta inevitabilmente a tariffe più basse.

 

I mercati di nicchia sono problematici perché sono più piccoli. Siccome i giornali gratuiti sono perfettamente intercambiabili i prezzi degli spazi pubblicitari calano, specialmente in periodi di crisi economica.

 

All’inizio c’era tanta concorrenza perché tutti gli editori seguivano l’istinto del ”ci sono anche io”. In vari paesi i gruppi editoriali creavano testate gratuite per difendere il proprio mercato pubblicitario oppure per occupare spazi di mercato da non lasciare a disposizione dei concorrenti. E questo ha creato una situazione per cui il mercato pubblicitario non poteva sostenere tutti i titoli.

 

Nel 1997 Picard aveva calcolato che una new entry nel mercato dei giornali a pagamento doveva prevedere almeno dieci anni di perdite. I giornali a pagamento hanno un modello economico molto più costoso di quelli gratuiti, ma ci sarebbe voluto un raddoppio o una moltiplicazione per 3 del mercato pubblicitario per sostenere i nuovi arrivati, visto che il declino dei ricavi e il calo delle tariffe determinato dalla forte concorrenza sarebbe stato letale.

 

La diversificazione non ha avuto grandi risultati. In Germania, Lussemburgo, Svezia, Danimarca, Finlandia, Olanda tutti i tentativi sono falliti. In Austria e in Belgio non sono stati nemmeno fatti. Nel Regno Unito e in Svizzera sono sopravvissuti alcuni quotidiani della sera. In Islanda, c’è ancora qualche testata che fa la consegna a domicilio e una edizione per il week-end con la carta di risulta. L’unico quotidiano economico gratuito rimasto viene pubblicato nel centro finanziario del mondo : Londra.

La teoria economica non ”prevede” un regime di monopolio naturale per la free press. Ma il fallimento della diversificazione – sia nei contenuti che nella distribuzione – conduce in quella direzione , anche se c’ è qualche eccezione.

 

Comunque un po’ di spazio per questo modello editoriale c’è ancora,  anche se probabilmente non sarà il modello dominante e avrà una dimensione relativamente ristretta.

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