Italia
La recente proposta di emendamento relativa al Bitcoin presentata da un parlamentare di SEL, l’on. Sergio Boccadutri, pur probabilmente destinata a non avere immediato seguito, merita tuttavia due rapidi commenti, il primo di carattere generale e il secondo nello specifico di questa nuova tecnologia.
La prima osservazione, inevitabilmente stimolata dall’attivismo del parlamentare dell’opposizione, è che anche in questo caso la nostra classe politica si distingue per bulimia legislativa e regolatoria. Nella fattispecie del Bitcoin, poi, l’emendamento proposto sembra più che altro interessato a estendere a questo pseudo-conio le norme restrittive sulla circolazione del contante. Sempre che Bitcoin possa considerarsi (solo) una moneta, prima di pensare al quadro normativo, forse sarebbe bene chiedersi quale sia la sua effettiva rilevanza in Italia: la community che gli ruota intorno si compone al massimo di qualche centinaio di giovani entusiasti (a Roma si riuniscono in poche unità in un bar del Quartiere Balduina), mentre gli esercizi che accettano Bitcoin per i loro servizi sono poche unità (sempre a Roma, un piccolo Hotel nel Quartiere Trieste). Fine delle trasmissioni.
È dunque preoccupante che in Parlamento, prima di preoccuparsi di conoscere bene un fenomeno nuovo di difficile classificazione, ci sia già chi inizia a chiedersi come “normarlo“. Siamo alle solite, ma non ci dobbiamo stancare di ripeterlo: uno dei problemi del Paese è l’eccesso di normativa, non la sua carenza.
È troppo chiedere ai nostri rappresentanti se, per fare ripartire l’economia, si può cercare dove deforestare da norme inutili e dannose senza, nel frattempo, crearne di nuove?
Ma veniamo allo specifico. Prima di essere qualsiasi altra cosa, Bitcoin è un protocollo di strato applicativo che si appoggia su una intuizione geniale, detta “blockchain“, che consiste nel concatenare in modo certificato e cronologico attraverso un libro mastro digitale unico una sequenza completa di “transazioni” (cosiddette, secondo il linguaggio Bitcoin che è reminiscente della terminologia bancaria). Le “transazioni” acquistano, se lo acquistano, un significato monetario in senso classico solo se agganciate ad una o più valute con corso legale. Ma se, in aggiunta o in alternativa, le si aggancia ad altro esse hanno – necessariamente – altra connotazione: sta qui l’elemento al contempo affascinante e sfuggente del Bitcoin.
Questa tecnologia che si appoggia su internet è oggetto di numerosi preconcetti: uno di questi è l’anonimato. Bitcoin non è anonimo perché il blockchain è pubblico, completo, sempre e dovunque disponibile, totalmente in chiaro (ossia non crittato).
Dubbiosi? Ecco qui una transazione di circa 60 bitcoin del 20 luglio 2012.
La tecnologia del blockchain consente la creazione di un ecosistema di innovazioni che non è ancora noto e che ancora non può essere neppure ragionevolmente previsto. Sullo strato protocollare Bitcoin già si stanno costruendo nuove applicazioni che, uscendo dal semplice ambito monetario, consentono molte altre funzionalità. Due esempi per capire. Una proposta, neppure troppo nuova, chiamata CommitCoin, ha lo scopo di agganciare nel blockchain rivendicazioni di priorità (ho scritto un articolo un dato giorno e l’idea è mia). Una start-up, nata l’estate scorsa, si chiama Color Coin e con un protocollo opportuno mira a caratterizzare i bitcoin in funzione dei possibili utilizzi. La disponibilità di un libro mastro digitale mondiale certificato e inalterabile consentirà presto anche di eseguire, senza mediazione, scambi di beni e servizi di qualsiasi natura in tempi rapidissimi e senza frontiere. Bitcoin è molto più di una moneta: meglio sarebbe lasciare ricercatori e innovatori al lavoro.
Nota: né l’autore né la sua famiglia possiedono alla data odierna alcun bitcoin.