#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.
Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
Italia
E ci risiamo.
Anno Nuovo, Governo Nuovo.
Mentre scrivo (sabato 15 febbraio, tardo pomeriggio), l’unica cosa che è data sapere a noi “comuni mortali” è il nome del Premier designato.
Ancora non sappiamo se ci sarà un Ministro per le Politiche Digitali e l’Innovazione (questa sarebbe la denominazione che più mi piace e meglio rappresenta il “di che cosa ci sarebbe bisogno”), o un Sottosegretario alla Presidenza, o chissà cosa d’altro.
Via SMS e sui social media girano nomi, ma è inutile soffermarsi sul gossip.
Passiamo direttamente alla sostanza.
Di cosa abbiamo bisogno? Cosa dovrà fare, questo “qualcuno” quando tutte le mattina “alzerà la Claire” (come si dice a Milano) e si metterà al lavoro?
Politiche digitali, appunto.
Dove il tema “digitalizzazione della PA e della Sanità” è uno dei tanti, e non necessariamente quello principale. Qui si è già detto e scritto quasi tutto, a questo punto non serve altro che “fare”.
A proposito: abbiamo lo Statuto! E quindi adesso Agostino Ragosa può mettersi finalmente a lavorare, recuperando i diciotto mesi di ritardo che (non per colpa sua) abbiamo accumulato.
Dare piena attuazione al CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale), partire con l’anagrafe nazionale, con la fatturazione elettronica, coi pagamenti elettronici.
Il resto, invece, è ancora quasi un “green field”: dispiegare quantità rilevanti di innovazione tecnologica nelle PMI (soprattutto, le “P”); creare le nuove competenze digitali; creare, soprattutto, una solidissima “consapevolezza del digitale”.
Aiutare i giovani affascinati dal mito dello startupper a capire che il possibile Eldorado non sta nel tentativo un po’ goffo e un po’ incosciente di inventarsi nuove Google o nuove Facebook, quanto piuttosto nell’inventare nuovi modelli di business in agricoltura, nel turismo, nel commercio di prossimità, nella logistica, eccetera.
E poi, la scuola. Dove il tema non è “quante LIM abbiamo nelle aule”, ma piuttosto “come facciamo a rendere sexy lo studio?“.
Dove, una volta tanto, avremo bisogno di qualcuno capace di dire al mondo dell’editoria scolastica cartacea due sole parole: “game over”.
E ancora, il turismo. Ma non il trito e ritrito problema del “portale nazionale del Turismo”, quanto piuttosto il come mettere a sistema le migliaia di iniziative locali e il come giocare con le “code lunghe” per creare nuovi mercati per il turismo di fascia alta. Quello che genera valore, per essere chiari.
E la terza età, per finire. Dove anche qui il tema non è “convinciamo gli anziani a navigare su Internet” (già lo fanno, se soltanto lo sapeste!), quanto piuttosto il “come le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni possono migliorare la vita degli anziani”.
Un immenso lavoro da fare, per il nuovo Ministro/Sottosegretario o cos’altro.
Lavoro che però non potrà non essere “di squadra”: abbiamo bisogno dei media, a partire dalla TV di Stato che dovrà – una buona volta – rendersi conto del ruolo che può e deve giocare nel creare i cittadini digitali. Magari “stando al gioco”, inventandosi nuovi format e arrivando persino (ma chissà se Gubitosi avrà il coraggio di farlo) a contaminare di comportamenti digitali le fiction di prima serata.
Abbiamo bisogno dell’industria IT, a partire (inutile nasconderselo o immaginare alternative utopistiche e insensate) dalle multinazionali e – udite udite – persino dagli odiatissimi Over-The-Top.
Abbiamo bisogno, last but not least, di un portafoglio.
Perché non ha senso immaginare le ennesime nozze con gli ennesimi fichi secchi. Contro il palo del “ministero senza portafoglio”, si sono schiantati in tanti.
Potremmo ancorare il budget del nuovo ministero a una percentuale del recupero sull’evasione fiscale. Perché, sia chiaro, è da qui che si partirà. Dal digitale al servizio dell’equità.
Uno Stato equo e digitale, diciamo.