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SPID, il Tar del Lazio annulla il Decreto: sull’Identity Provider tutto da rifare

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Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di Assintel e Assoprovider contro il Decreto del Governo sullo SPID. L’Avvocato Fulvio Sarzana: ‘Il requisito dei 5 milioni di euro avrebbe favorito l’ingresso sul mercato per società che si contano sulle dita di una mano’

La prima sezione del  TAR del Lazio,  presieduta dai Giudici  Luigi Tosti, giudici a latere Correale e Perna, ha accolto oggi  il ricorso delle associazioni Assintel e Assoprovider (Confcommercio), e  ha annullato in sede di merito, il Decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri, del 24.10.2014, pubblicato sulla G.U. n. 285 del 9 dicembre 2014, relativo al Sistema di identificazione pubblica SPID. Lo rende noto l’avvocato Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito, tra i curatori del ricorso.

“Le associazioni non hanno agito per bloccare o impedire l’entrata in vigore dello SPID, ma solo per rilevare la mancata concorrenza a beneficio delle PMI nel progetto SPID – ha commentato Fulvio Sarzana – In particolare, il requisito di 5 milioni di euro di capitale sociale previsto dal decreto per poter esercitare l’attività di Identity Provider, e mutuato dal settore bancario, avrebbe favorito l’ingresso nel mercato per società che si contano sulle dita di una mano”.

A questo punto, il Governo potrebbe decidere di lasciare all’AGID il compito di stabilire quali saranno le società con i requisiti giusti per svolgere l’attività di Identity Provider. Venuto meno il vincolo dei 5 milioni, il marcato potrebbe giovarne, con diversi e società locali e di piccole dimensioni che potrebbero proporsi e ottenere commesse legate allo SPID. Ad oggi, gli Identity Provider abilitati sono Telecom Italia, Poste Italiane e Infocert che hanno gestito la fase pilota del progetto.

Sull’argomento è intervenuto anche Sergio Boccadutri, coordinatore Area Innovazione e deputato del Partito Democratico: “La sentenza del Tar del Lazio che annulla un parte del Dpcm sul Sistema di identificazione pubblica (Spid) relativa ai criteri di determinazione degli identity providers non va letta come un macigno sull’innovativo sistema proposto dal Governo“.

Si tratterà adesso soltanto di capire, a fronte della sentenza – ha spiegato il deputato – in che modo ripristinare i criteri selettivi di accreditamento, garantendo sia la sicurezza complessiva del sistema che le regole della concorrenza. Insomma il processo di innovazione della pubblica amministrazione va avanti, e lo si vedrà presto con i decreti di attuazione della Delega PA appena approvata alla Camera“.

Nella nota inviata dall’avvocato Sarzana, si legge che Il Tribunale Amministrativo Regionale “ha annullato in particolare le prescrizioni contenute nell’articolo 10 del Decreto della Presidenza del Consiglio, relativamente ai requisiti necessari per esercitare le attività degli Identity Provider, per violazione dei principi di concorrenza e per eccesso di potere, parità di trattamento e non discriminazione.

Nel testo della sentenza peraltro si evidenziano anche profili in grado di mettere in crisi l’intero impianto del Decreto, quantomeno in relazione alle attività delle Pubbliche Amministrazioni coinvolte nel processo di Identificazione associato allo sviluppo dello SPID”.

Il TAR afferma infatti:

”il prescritto requisito di capitale sociale pone un limite che non persegue nemmeno una finalità logica, considerato che l’articolo 4 del decreto impugnato, ai commi 2, 3 e 4, prevede che l’Agenzia adotti regolamenti per definire le regole tecniche e le modalità attuative per la realizzazione dello SPID, le modalità di accreditamento dei soggetti SPID, nonché le procedure necessarie a consentire ai gestori dell’identità digitale, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello SPID, il rilascio dell’identità digitale: e tali norme integrative già prevedono dei requisiti molto stringenti per l’esercizio dell’attività di identificatore, senza che aggiuntivamente si palesi la necessità di subordinare lo svolgimento della ripetuta attività al raggiungimento di una soglia così elevata di capitale sociale”.

“2.3 Il requisito si appalesa dunque sproporzionato rispetto al fine che la norma intende perseguire e, laddove è inoperante per i soggetti pubblici, dà luogo anche ad una indebita discriminazione in favore di questi ultimi, in contraddizione col principio comunitario che impone l’adozione di regole finalizzate a non trattare in modo diverso situazioni analoghe (Tar Piemonte, sez. I, 4 settembre 2009, n. 2260), a meno che non ricorrano situazioni oggettive che giustifichino siffatta diversità, che nella specie restano indimostrate”.

“Per completezza di analisi si soggiunge che l’applicazione della nuova disciplina provocherebbe, necessariamente, effetti distorsivi del mercato, cagionando una rarefazione della concorrenza nel settore de quo che avvantaggerebbe direttamente i soggetti pubblici, esclusi dal rispetto del requisito in esame, e sottrarrebbe ampie e innovative aree di attività economiche all’iniziativa economica imprenditoriale privata, in contrasto con la finalità di massima apertura del mercato che costituisce essenza dell’ordinamento comunitario”. 

 

“Il decreto dunque, secondo il TAR è viziato da eccesso di potere per le ragioni sopra indicate, e risulta in contrasto con i principi comunitari di tutela della concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione, che si pongono quali diretti parametri di legittimità dell’atto nazionale e sono idonei a fondare il conclusivo giudizio di invalidità del medesimo”, prosegue la nota.

Conclude il TAR ”Il ricorso è dunque fondato e, assorbita ogni altra censura o deduzione, va accolto, con conseguente annullamento in parte qua dell’atto impugnato”.

“La Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata condannata altresì al pagamento delle spese processuali”, chiude la nota.

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