Italia
La Web Tax continua ad animare il dibattito nazionale, ma bisognerà attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto, che dovrebbe avvenire in settimana, per sapere se venerdì il premier Matteo Renzi ha abrogato solo la parte riguardante l’obbligo di partita Iva italiana per gli acquisti di pubblicità su internet o anche la norma che introduce la tracciabilità dei pagamenti destinati alle aziende che vendono beni e servizi online, in vigore dal 1° gennaio di quest’anno.
Il governo al momento non ha fornito chiarimenti ed è rimasta senza risposta anche la domanda del padre della Web Tax, l’on. Francesco Boccia (Pd), presidente della Commissione Bilancio a Montecitorio, al premier con cui chiedeva appunto se la rimozione, annunciata venerdì con un tweet dal presidente del Consiglio, riguardasse solo l’obbligo di partita Iva italiana o anche il ruling.
Renzi non ha risposto. Le sue ultime parole sono quelle scritte su Twitter: “Avevamo detto no #webtax Siamo stati di parola“.
La disposizione ormai nota come Web Tax comprende, infatti, due norme, quella appunto sulla tracciabilità dei pagamenti, passata con la Legge di Stabilità e in vigore dal 1° gennaio di quest’anno, e quella riguardante la partita Iva, prorogata al 1° luglio 2014. Slittamento che era decaduto mercoledì insieme al Decreto Salva Roma e che quindi implicava l’immediata entra in forza della norma dal 1° marzo ma prima che ciò accadesse, è stata rimossa da Renzi venerdì in Consiglio dei Ministri.
Il nodo resta. E se Renzi non chiarisce, bisognerà attendere la pubblicazione del Decreto per conoscerne i dettagli.
Si apprende intanto che la Web Tax è compresa anche nella delega fiscale, approvata definitivamente giovedì dalla Camera.
All’articolo 9 del testo licenziato giovedì dal Parlamento, dedicato al rafforzamento dei sistemi di controllo in chiave antievasione e antielusione, il provvedimento afferma che uno dei decreti legislativi dovrà “prevedere l’introduzione, in linea con le raccomandazioni degli organismi internazionali e con le eventuali decisioni in sede europea, tenendo anche conto delle esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle attività transnazionali, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”.
Si tratta appunto di quello che in gergo tecnico si chiama apportionment, che consiste che far pagare alle multinazionali con sede fiscale all’estero, le tasse in Italia per la parte di ricavi che si stima sia stata prodotta nel nostro Paese.
La parola ora passa il governo che, in teoria, dovrebbe esercitare la delega entro 12 mesi, emanando un decreto legislativo che contiene appunto la Web Tax.
Ma vista la ferma opposizione di Renzi alla Web Tax, si lascerà sicuramente cadere la cosa in attesa che sia la Ue a dettare le guidelines e mentre le multinazionali di internet continueranno indisturbate a fare profitti d’oro grazie al profit-shifting e ai paradisi fiscali.