Italia
Per bloccare la pirateria non basta solo individuare i colpevoli e mettere i sigilli ai loro siti. Bisogna colpire alle radici, alla loro primaria, a volte unica, fonte di guadagno: la pubblicità.
Ci ha pensato la Guardia di Finanza che la scorsa settimana con l’operazione Publifilm non solo ha oscurato 46 siti che distribuivano illegalmente migliaia di opere cinematografiche, ma per la prima volta è intervenuta con forza anche contro i brand che sostengono finanziariamente i siti pirata con la pubblicità, contro i quali sono in corso accertamenti (Slides).
E adesso accanto alle Fiamme Gialle, per sostenere la loro azione, è scesa in campo anche l’industria del cinema.
AGIS (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo), ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali), FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) e UNIVIDEO (Unione Italiana Editoria Audiovisiva – Media Digitali e Online) fanno ancora una volta fronte comune contro la pirateria audiovisiva e confermano il loro “sostegno e supporto all’importante lavoro posto in essere dalla Guardia di Finanza a tutela dei contenuti audiovisivi”.
Il Comandante Paolo Occhipinti del Nucleo Speciale per la Radiodiffusione e l’Editoria che ha seguito l’operazione Publifilm, insieme al Nucleo Speciali Frodi Tecnologiche (I due Nuclei fanno capo al Comando Unità Speciali), ha dichirato a Key4biz: “I siti pirata di contenuti audiovisivi non sono creati per la passione del cinema. Si reggono sul numero milionario di click che ricevono giornalmente che sono un’ottima base per fare pubblicità diretta a decine di milioni di persone”.
Ed è proprio lì che bisogna intervenire, tagliando i viveri ai pirati. “Nel momento in cui si interrompe il flusso della pubblicità – ha ribadito il Comandante – si interrompe anche il flusso di denaro”.
Spesso i grandi brand sono inconsapevoli di fare pubblicità su piattaforme illegali. Com’è possibile?
“Le campagne marketing – ha spiegato Occhipinti a Key4biz – vengono gestiste da aziende apposite. A volte accade di fare pubblicità su siti pirata perché c’è scarsa attenzione da parte di chi si occupa della comunicazione. Altre volte, invece, si sfrutta abilmente il fatto che questi siti hanno un grandissimo bacino d’utenza e, come ben sappiamo, la pubblicità è l’anima del commercio”.
Le quattro associazioni in una nota congiunta hanno, quindi, ribadito: “Bloccare le risorse economiche di quei siti che sfruttano illecitamente il lavoro di altri significa dare una risposta concreta ed efficace a questo problema”.
“L’operazione condotta – aggiungono – denota da parte della Guardia di Finanza e delle Autorità Competenti una profonda attenzione per il settore audiovisivo, quale comparto industriale cruciale per l’economia del nostro Paese, soprattutto dal punto di vista occupazionale e del gettito fiscale”.
I dati presentati da Confindustria Radio Televisioni parlano chiaro: un italiano su tre scarica contenuti illegali (film, programmi tv, software), con un danno economico per l’Italia che si aggira intorno ai 3 miliardi di euro all’anno e di 500 milioni di euro per il solo settore televisivo. Sono 20 mila i posti di lavoro a rischio nei prossimi anni nel settore televisivo a causa della pirateria online.
Cosa fare?
Oggi è possibile intervenire su vari aspetti e in varie modalità, indicano le quattro associazioni: “In considerazione del fatto che la maggior parte dei siti pirata basa il proprio guadagno tramite la pubblicità, riuscire a contrastare la presenza delle inserzioni su quei portali che mettono a disposizione illecitamente contenuti audiovisivi consentirebbe di privare i gestori dei siti della più importante fonte di profitto e al tempo stesso di tutelare gli investitori, garantendo loro di non apparire con propri spazi pubblicitari su siti divulgativi di contenuti illeciti”.