Siamo abituati a pensare ai mercati postali e, in particolare, alla loro azienda-leader (Poste Italiane) come a un residuo della “old economy” in declino difficilmente reversibile.
Dovremo invece rapidamente modificare il nostro punto di vista per almeno tre buone ragioni.
La prima è che la rete postale, con i suoi uffici (quasi 14.000 distribuiti sul territorio) e la sua rete di recapito, è la più grande rete fisica di distribuzione di servizi sul territorio. Simmetricamente, Poste Italiane è una delle poche “Aziende-Paese” che abbiamo a disposizione, ovvero un’azienda in grado di “abilitare” e innescare processi di sviluppo nonché di essere utilizzata da un decisore intelligente come strumento di politica industriale.
La seconda è legata al fatto che è senza dubbio vero che il mercato tradizionale postale è stato pesantemente colpito dalla e-substitution, ponendo un problema di “accompagnamento ” verso il declino del recapito tradizionale. Tuttavia, tale processo è bilanciato da segmenti ad alto potenziale: il recapito legato all’e-commerce e il recapito a “valore aggiunto“.
La terza, infine, è che l’operatore postale è impegnato da lungo tempo in un processo di trasformazione e di innovazione culturale senza precedenti per massa critica e ambizioni di sviluppo.
Una funzione importante è stata, senza dubbio, svolta dal management che si è nel tempo avvicendato alla guida di Poste italiane.
La gestione di Corrado Passera ha potenziato il mercato bancario/assicurativo apportando competenze e strumenti che hanno mutato nel tempo lo stesso DNA dell’azienda che oggi produce circa il 70% dei suoi ricavi in ambito finanziario.
La gestione di Massimo Sarmi ha dotato l’azienda di una potente infrastruttura tecnologica, nonché di esperienze di successo quali, ad esempio, Poste Mobile, primo operatore mobile virtuale del paese.
Il management insediato più recentemente con Francesco Caio si trova tuttavia ad affrontare una sfida forse più complessa, focalizzata su almeno cinque punti cruciali:
- Accelerare il ritmo dell’innovazione, al fine di migliorare i risultati dell’azienda e in particolare valorizzare il potenziale (reti fisiche ancora “vuote” di servizi) ancora parzialmente inespresso;
- Gestire in modo equilibrato la crisi del recapito tradizionale, ovvero minimizzare il danno sociale derivante dalla perdita possibile di occupazione;
- Rispondere al timing serrato imposto dalla prospettiva della quotazione in Borsa dalla quale il governo intende ricavare un tesoretto da spendere, speriamo, nel piatto dello sviluppo;
- Restituite all’azienda un ruolo significativo nell’Agenda digitale, in particolare per i suoi incroci possibili con la digitalizzazione della pubblica amministrazione;
- Stabilire un rapporto efficace con la rappresentanza sindacale. Le reti postali sono labour intensive (140.000 dipendenti fortemente sindacalizzati), difficile pensare di gestire questa fase senza massimizzare il consenso interno.
Sino ad ora, al di là degli obiettivi molto ambiziosi indicati nel piano industriale, l’azione dell’azienda presenta luci ed ombre.
Ma questa, parafrasando un noto scrittore e commentatore televisivo, è un’altra storia. Ne riparleremo, con maggior dettaglio, alla prossima puntata.