Agenda digitale, la Ue punge l’Italia: pesa come un macigno il deficit della politica

di Alessandra Talarico |

Le premesse per fare bene ci sono tutte. Ci sono i fondi Ue e un piano NGN già approvato. Perché, allora, questo stallo? Per la Corte Ue, ‘le autorità italiane hanno dato prova di gravi carenze nella gestione e nel controllo dell’utilizzo dei fondi Ue.

Italia


Cartellino Giallo

Un monito alla politica italiana a prendere in mano le redini dello sviluppo digitale e a usare bene i Fondi Ue per il 2014-2020 per dotare l’Italia intera, e non solo le regioni del Mezzogiorno, di infrastrutture che garantiscano l’allineamento del Paese agli obiettivi dell’Agenda digitale europea.

E’ questo il messaggio che la Ue ha fatto arrivare all’Italia per mezzo di una lettera indirizzata al Governo due settimane fa e che fa riferimento all’Accordo di partenariato che il ministero per la coesione territoriale ha inviato a Bruxelles lo scorso dicembre (ministero soppresso da Matteo Renzi ma che sul web risulta curiosamente ancora attivo e facente capo a Carlo Trigilia).

L’Italia patisce un ritardo culturale ma soprattutto infrastrutturale che ci pone agli ultimi posti in Europa in fatto di utilizzo della banda larga ed estensione delle infrastrutture: andando di questo passo è praticamente impossibile, per il nostro Paese, raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale e lo sottintendono sia il Rapporto Caio che i dati del ministero dello Sviluppo economico.

Eppure le premesse per fare bene ci sono tutte: ci sono i fondi Ue, che sono pochi ma ci sono (1,8 miliardi di euro, di cui l’80% destinati alle regioni del Sud, a cui si somma un pari importo messo sul piatto da Governo e Regioni), e c’è un piano strategico per le NGN già approvato dalla Commissione europea: un aiuto di Stato che Bruxelles ha ritenuto compatibile per la spesa di fondi pubblici volta alla realizzazione di infrastrutture a banda larga e che autorizza una spesa di 2,5 miliardi di euro eventualmente modificabili dopo il 2015 per portare internet a 30 Mbps al 100% degli italiani e a 100 Mbps nelle aree strategiche del paese.

Cosa manca quindi?

Manca, secondo la Commissione, all’interno dell’Accordo di partenariato, una strategia unitaria, una soluzione che renda il piano strategico banda ultralarga l’unico piano di riferimento per l’Italia. Manca, a monte, un Piano Operativo Nazionale per le infrastrutture e l’Agenda digitale, un accordo tra Stato e Regioni che vincoli queste ultime a utilizzare il Piano e a fornire – di conseguenza – budget, tempi, obiettivi e modelli certi in termini di realizzazione delle infrastrutture necessarie per mettere l’Italia al passo con gli altri Paesi avanzati.

Dopo l’approvazione del Piano, insomma, la Ue si aspettava che l’Italia lo utilizzasse come strumento per risolvere le carenze infrastrtturali del Paese, dotandolo delle risorse necessarie a valere sia sui Fondi FEASR sia nazionali e identificando chiaramente risorse, tempi e obiettivi per il suo completamento.

Ma così, secondo Bruxelles, non è stato e l’Italia continua a sprecare tempo prezioso senza saper trovare una via d’uscita dall’impasse digitale che frena crescita e competitività.

Una ‘miopia’ che costa anche cara, visto che secondo le stime del Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, basterebbe attuare poche semplici misure – fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, razionalizzazione dei Centri Elaborazione Dati (Ced) e pubblicazione solo su canale digitale di tutti i bandi e i risultati di appalto – per risparmiare 2,8 miliardi di spesa pubblica. Ma come si fa a pianificare un uso capillare di questi e altri servizi se non c’è una rete altrettanto capillare e performante a sostenerli?

Il governo Renzi, dal canto suo, ha ammesso i ritardi dell’Italia, certo non attribuibili a questo esecutivo ma non per questo meno gravi o da sottovalutare.

Parlando alla direzione del Partito democratico, il premier ha pertanto ribadito che nel semestre europeo l’Italia si farà “capofila della riflessione sul rapporto tra information and communication tecnology, gestione dei dati e mondo della Rete. Vogliamo che l’Italia sia capofila in Europa e l’Europa sia riferimento”, ha detto Renzi, riferendo anche che si è svolta a Palazzo Chigi una riunione incentrata sull’applicazione dell’Agenda digitale alle tecniche della PA.

Ma, tra i tanti fattori che ingessano l’Italia, lo sblocco del potenziale digitale del nostro Paese sembra un compito più arduo di altri. I dati forniti dal servizio studi della Camera parlano chiaro: al 24 febbraio 2014, dei 55 adempimenti attuativi dell’Agenda digitale ne sono stati adottati solo 17 e, per gli atti non ancora emanati, in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere.

E già a febbraio, la Commissione europea aveva richiamato l’Italia a fare di più in fatto di infrastrutture digitali, soprattutto nel centro-nord, e a dare maggiore certezza sulle modalità e le tempistiche di spesa dei Fondi comunitari.

Due settimane fa, quindi, il nuovo monito al nostro Paese che però, ci hanno assicurato da fonti Ue, non intende bocciare l’Accordo di partenariato – definito una ‘buona base di lavoro’ dal Commissario alla Politica regionale Johannes Hahn  – ma pungolare la politica, affinché prenda in mano le redini dello sviluppo infrastrutturale del Paese e affinché questo non prosegua a macchia di leopardo, soprattutto in un momento in cui bisogna tagliare le spese inutili e ridondanti e rilanciare crescita e competitività.

Vero è, come ha sottolineato anche Paolo Colli Franzone, che la nuova configurazione l’Agenzia per l’Italia Digitale  “può risolvere questo problema, in quanto probabilmente per la prima volta (rispetto alle storie di CNIPA e DigitPA) si avverte la volontà dell’Agenzia di “meglio coordinare” le regioni e le autonomie locali”.

Ma è vero anche che l’AgID è ancora priva di risorse e personale e che, a più di un mese dall’insediamento del nuovo governo, al sottosegretario alle telecomunicazioni, Antonello Giacomelli, mancano ancora le deleghe.

I tempi con l’Europa intanto stringono: l’ultima versione dell’Accordo di partenariato per l’utilizzo dei Fondi Ue 2014-2020 dovrà essere presentata alla Commissione europea il prossimo 22 aprile. In vista di questa scadenza, il cartellino mostrato dalla Ue all’Italia se non è rosso, è quanto meno giallo: un pungolo che vuole essere uno stimolo a fare di più, non solo a parole, per il futuro digitale del Paese.

Giusto oggi, tra l’altro, la corte di Giustizia Ue ha confermato che il contributo finanziario fornito dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) alla Regione Puglia dev’essere ridotto di quasi 80 milioni di euro.

“Le gravi carenze di cui le autorità italiane hanno dato prova nella gestione e nel controllo dell’utilizzo dei fondi dell’Unione sono tali da condurre a irregolarità sistemiche”, scrive il Tribunale, confermando una decisione presa dalla Commissione europea nel 2009 e contestata con un ricorso dall’Italia.

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