La Francia ha deciso di combattere seriamente (almeno sulla carta) lo spreco di cibo, varando nei giorni scorsi la nuova legge che impone a negozi e supermercati di donare i beni alimentari ‘in scadenza’ ma ancora buoni e/o di renderli disponibili per la produzione di energia.
Una prima insufficiente mossa che comunque va nella direzione di una politica e una cultura della sostenibilità alimentare che punta, tra le altre cose, alla lotta agli sprechi (in cui una voce importante ce l’hanno i ristoranti e le catene di fast food, come anche i cittadini a casa), al recupero e la condivisione del superfluo.
In Italia non abbiamo una legge del genere e, anzi, donare cibo non è una cosa semplice (viste le stringenti norme sul come un alimento deve essere confezionato). All’Expo di Milano, manifestazione dedicata all’alimentazione e al nutrimento, sono state presentate diverse applicazioni mobili per evitare sprechi e imparare a condividere ciò che ‘avanza’.
C’è ‘Last Minute Sottocasa’, megafono digitale per rivendere a costi contenuti i prodotti alimentari invenduti a fine giornata, oppure ‘MyFoody’, tracciatore di cibi rimasti invenduti che avverte l’avvicinarsi della data di scadenza favorendone la vendita a prezzi scontati.
Tutte mobile/web app italiane che promuovono comportamenti virtuosi, socialmente responsabili e orientati alla crescita sostenibile nel settore alimentare. Come nel caso di ‘Ratatouille’, sviluppata dalla startup vincitrice di HACKathon101 per la condivisione del cibo nel proprio frigorifero, o di ‘Bring the Food’ per il coordinamento in rete di tutte le realtà che offrono e raccolgono cibo da condividere, regalare e distribuire a chi ne ha bisogno.
La crescita esponenziale delle città e degli abitanti che vi si riverseranno da qui al 2050 (l’80% dell’intera popolazione mondiale secondo l’ONU) sono due fenomeni che pongono subito problemi serissimi in termini di accesso al cibo (di qualità), di accesso alle risorse energetiche e naturali, di qualità della vita, di capacità di gestire i rifiuti e di affrontare l’inquinamento come i cambiamenti climatici (ma la lista è molto più lunga).
La smart city presuppone un consumo critico e cosciente delle risorse alimentari, con un occhio alla qualità delle materie prime e al ciclo produttivo da cui provengono (provenienza, certificazioni, condizioni lavorative e altro ancora). A riguardo, sempre all’Expo di Milano, si è parlato più volte di cibo stampato in 3D. Oggi il 3D printing è una realtà in molti settori, soprattutto per la produzione di componenti: la Boeing utilizza almeno 300 parti ‘stampate’ nei suoi aerei e sono 20 mila i pezzi pronti ad essere stampati in 3D.
Un’innovazione tecnologica che fa storcere il naso a chi siede a tavola, ma che potrebbe tornare utile invece in termini di sostenibilità ambientale, di lotta agli sprechi e di razionalizzazione dell’industria alimentare. Avendo in casa un apparecchio del genere (le grandezze possono variare dal molto piccolo al grandissimo, anche se siamo ancora ad una fase sperimentale) basterebbe acquistare gli ingredienti base per ‘stampare in casa’ qualsiasi prodotto alimentare (mantenendo inalterato il gusto): spaghetti, merendine, pizze, panini, formaggi, persino le classiche bistecche di manzo o di seitan per i vegani/vegetariani.
Tutto sta nell’ugello di cui la stampante è dotata e nei ‘materiali’ che alimentano la macchina (frutta, carne, latte, sale, uova, ecc, ecc,.). Scegliendo risorse di qualità si ottengono prodotti di parli livello e soprattutto se ne prepara il giusto, quello che seve, senza eccessi che poi inesorabilmente diventano sprechi. Un settore in rapida crescita, che rivoluzionerà il nostro quotidiano lavorativo, formativo, ricreativo e alimentare.