Poteva sembrare una piccola iniziativa “locale”, ma va invece dato atto al consigliere di Roma Capitale Francesco D’Ausilio – già Capo Gruppo consiliare del Pd – di aver promosso ieri un convegno di livello senza dubbio nazionale (anche se l’iniziativa non sembra aver provocato l’attenzione mediale che meritava): per la prima volta in Campidoglio, è stato organizzato un incontro su “Etica e economia”, nel tentativo di affrontare concretamente le criticità che riguardano la “mala gestio” della pubblica amministrazione, ed in particolare nel rapporto con i cosiddetti “portatori di interesse”. Nella dinamica tra “pubblico” e “privato”, con il termine “lobbying” si definisce – come è noto – l’attività di un gruppo organizzato di persone che cerca di influenzare dall’esterno (e talvolta dall’interno!) i processi decisionali delle istituzionali (a vari livelli), per favorire interessi giustappunto particolari.
#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
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Il convegno “Etica ed economia a Roma, verso una nuova regolazione delle lobby” si è tenuto ieri 11 maggio nei Musei Capitolini, in un’affollata sala Piero da Cortona (con quadri nobili alle pareti, che guardavano con austera severità gli astanti). Sono intervenuti, con l’obiettivo di discutere una innovativa proposta di delibera promossa dal consigliere D’Ausilio, l’Assessore alla Legalità e Trasparenza del Comune di Roma Alfonso Sabella, il Vice Presidente della Camera di Commercio di Roma Lorenzo Tagliavanti, il Presidente Anip/Fise Confindustria Lorenzo Mattioli (Fise sta per “Federazione Imprese di Servizi” e “Anip” per “Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati”), ed il professore di Teorie e Tecniche delle Lobbying alla Luiss Pier Luigi Petrillo.
Francesco D’Ausilio si è fatto interprete di un’esigenza di regolazione di questo rapporto (pubblica amministrazione/“stakeholter”), presentando una proposta di delibera comunale che mira a definire un regolamento ed ad istituire un registro giustappunto dei portatori di interesse, affinché la cittadinanza possa – in qualsiasi momento – conoscere quali sono i gruppi che influenzano i poteri decisionali, non soltanto in materia di appalti, ma nel “policy making” generale.
L’iniziativa è denominata “proposta di delibera di iniziativa consiliare regolamento in materia di rappresentanza di interessi particolari” e prevede tra l’altro un “Comitato per il monitoraggio della rappresentanza degli interessi”. La proposta, all’articolo 8, prevede che i “rappresentanti di interessi iscritti al Registro” abbiano diritto a “presentare a Roma Capitale e alle Aziende, Enti e Organismi non societari controllati o partecipati” proprie proposte di “delibera”, così come “richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi, memorie scritte o qualsiasi altra documentazione relativa all’interesse rappresentato”. Può apparire una provocazione, ma si tratta di una concreta proposta di intervento.
L’attività di “lobbying” in Italia è una sorta di “terra di nessuno”, a tutti i livelli (dal comunale al nazionale), come hanno scritto efficacemente Alberto Flores d’Arcais e Carmine Saviano in un dossier-inchiesta pubblicato il 16 marzo 2015 da “l’Espresso/la Repubblica”.
Come è noto, in Italia sono state presentate decine e decine di proposte di legge in materia di “lobby” (quasi sessanta, nella storia della Repubblica), ma nessuna è andata in porto, nonostante vi siano ormai tre direttive dell’Unione Europea in materia che attendono di essere recepite (la 2014/23, la 2014/24 e la 2014/25).
Tra i principi contenuti in queste direttive europee, si prevede la “partecipazione di portatori qualificati d’interesse nell’ambito dei processi decisionali finalizzati all’aggiudicazione di appalti e concessioni pubbliche”.
Una ragione ci sarà, se in Italia la legge (ancora) non c’è.
Forse conviene a politici e lobbisti (ovvero ad una parte di loro, forse non esattamente i migliori: i politici sensibili alla corruzione ed i faccendieri addetti agli affari particolari) lasciare che la situazione resti grigia e vischiosa, perché, in questa opacità, ci si può muovere meglio. Senza lasciar traccia del proprio operato e delle proprie responsabilità. E magari facendo “ammuina”.
Negli ultimi mesi, la Commissione Affari Costituzionali del Senato, presieduta da Anna Finocchiaro, sta procedendo all’esame congiunto di ben sei proposte, provenienti da più parti politiche. Un gruppo di lavoro dell’Autorità Anti Corruzione (Anac), presieduta da Raffaele Cantone, sta peraltro lavorando ad un “libro bianco” da presentare al Governo.
A metà aprile, è stato presentato a Bruxelles il dossier “Transparency”, curato dalla organizzazione non governativa “Transparency International”: nel dossier “Lobbying in Europe. Hidden Influence, Privileged Access”, il nostro Paese risulta al 19esimo posto, su 22, con un voto in pagella di 20 su 100.
Motivo principale, ovviamente, la mancanza di una normativa in materia, che giace da tempo “dimenticata” in Parlamento. Il 17 aprile, è stato ancora un soggetto indipendente e super-partes a certificare che, sugli “open data”, in Italia, siamo ancora all’anno zero: la trasparenza e la disponibilità di dati sono aumentate negli ultimi anni, ma il loro utilizzo è ancora quasi esclusivamente legato all’impegno di attivisti, di associazioni e gruppi pionieristici, si legge nel rapporto Tacod sul ruolo degli Open Data contro la corruzione in quattro Paesi europei (Italia, Regno Unito, Austria e Spagna), presentato ad Oxford dall’istituto di ricerca Rissc (diretto da Lorenzo Segato) e Transparency International Italia.
Va segnalato che D’Ausilio è un giovane atipico “politico di professione”, che si è tra l’altro fatto notare per aver promosso, l’anno scorso, un sondaggio d’opinione (affidato alla Swg), che mirava a studiare attentamente le criticità della Giunta Marino: iniziativa che ha provocato la rabbia del primo cittadino (notoriamente molto decisionista, ed accusato di autoreferenzialità), al punto tale che la polemica che ne è scaturita ha sostanzialmente costretto D’Ausilio alle dimissioni da capogruppo. I risultati del sondaggio demoscopico (non entusiasmanti per la Giunta) sono stati ovviamente strumentalizzati dalle opposizioni, ed hanno reso ancora più critico il contraddittorio sostegno del Pd ad una Giunta che procede molto autocraticamente, spesso ignorando le tesi del partito che resta il suo maggior sostenitore. Anche in questo caso, di “trasparenza” trattasi, sebbene in senso più lato.
Promuovere un’iniziativa su etica, politica ed economia, a qualche settimana di distanza della vicenda giudiziaria dello scandalo sul “mondo di mezzo”, ovvero l’inchiesta “Mafia Capitale”, appare lodevole ed eterodosso tentativo di passare dalla “macerie” che la magistratura inevitabilmente produce ad un tentativo di ideazione di nuove “architetture” normativo-regolatorie, che possano, se non eliminare almeno ridurre, i casi di malaffare.
Intitolavamo un articolo del 12 dicembre 2014 su “Key4biz”, non a caso: “Roma Ladrona, il mondo di mezzo e l’opacità degli open data”.
Il problema delle lobby ha dimensioni al contempo “micro” (comunali) e “macro” (regionali e nazionali e finanche sovranazionali, se si pensa al potere delle lobby in sede di Commissione Europea e Parlamento Europeo).
L’iniziativa di D’Ausilio è stata sostenuta con convinzione dall’Assessore ex magistrato Sabella, nominato nel dicembre 2014 dal Sindaco Marino per dare un segnale netto e visibile di estraneità della Giunta rispetto alle… pratiche basse (ovvero del “mondo di sotto”, per giocare sulla citazione rispetto alla quale Christopher Tolkien si rivolta nella tomba, per quanto la metafora della “terra di mezzo” sia efficace).
Per onor di cronaca, va però ricordato che nella sua prima pubblica sortita, una volta eletto, Ignazio Marino aveva dichiarato di voler destinare alla oggi famigerata ed un tempo benemerita Cooperativa 29 Giugno (alias Salvatore Buzzi) il suo primo stipendio da Sindaco (il che non denotava esattamente una capacità lungimirante di leggere dietro la maschera di alcuni interlocutori).
Sabella ha auspicato l’approvazione della delibera proposta da D’Ausilio, ma ha lamentato l’esigenza (anche se se ne parla da decenni!) di una normativa nazionale a livello di lobbying: senza un intervento normativo organico a livello nazionale, secondo l’Assessore, queste iniziative “locali” finiscono per essere deboli assai.
Si ricordi che Sabella è stato soprannominato anche lo “sceriffo di Ostia”, perché a fine aprile il Marino l’ha anche nominato delegato del Sindaco per il X Municipio di Roma (a seguito delle dimissioni del Presidente del Municipio Andrea Tassone; le prossime elezioni sono previste per il maggio 2016), ovvero il Lido di Ostia, territorio metropolitano (300mila abitanti residenti, che superano mezzo milione d’estate) che è soggetto ad infiltrazioni mafiose e nel quale si registrano diffuse dinamiche criminali nel tessuto produttivo.
Sabella ha un curriculum eccellente: ex pm antimafia a Palermo, è noto anche come “il cacciatore di mafiosi”, per aver arrestato decine di latitanti, tra i quali i responsabili delle stragi del 1992 che causarono la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino…
Va altresì ricordato che la nomina di Sabella è comunque – anch’essa – paradossalmente sintomatica di alcune contraddizioni interne peculiari del nostro Paese: quando nel dicembre 2014 arrivò il placet del Consiglio Superiore della Magistratura, l’Unione delle Camere Penali sentenziò polemicamente che, da un lato, “la magistratura si insedia all’interno della politica legittimando se stessa come unica garante della legalità, e dall’altro la politica dimostra con tali scelte di voler delegittimare se stessa”.
C’è del vero. Sabella precisò comunque che non si riteneva passato dalla “magistratura” alla “politica”, ma di vivere questo incarico assessorile esclusivamente come “tecnico”. Sofismi, ardui da comprendere per il cittadino comune, che certo ricorda casi eclatanti come quello di Antonio Di Pietro divenuto Ministro in un paio di governi guidati da Romano Prodi.
Confusione su confusione, ruoli che si intrecciano, con meccanismi di “sliding doors” che non contribuiscono alla più sana “separazione dei poteri”, che pure dovrebbe essere principio fondamentale di uno Stato di diritto degno di questo nome. E che dire del caso di dirigenti della pubblica amministrazione, che lasciano il “pubblico” per divenire poi agguerriti lobbisti rispetto alle stesse amministrazioni di cui facevano parte?! Un paradosso patologico, tipico della… Commedia dell’Arte. Ma quando il… “trasformismo” passa dai palcoscenici teatrali a quelli parlamentari, la questione diviene delicata assai.
Sabella – convinto che i burocrati siano più corrotti dei politici (tesi che ribadisce spesso pubblicamente) – ha varato a fine gennaio 2015 una prima versione di un “piano anti-corruzione”, che ha come primo obiettivo il ridimensionamento del grande potere dei dirigenti apicali della Pubblica Amministrazione capitolina.
Uno degli strumenti è rappresentato dall’autocertificazione, attraverso la quale ciascun dirigente dovrà comunicare all’amministrazione il proprio stato patrimoniale e chiarire eventuali conflitti d’interesse con società contraenti con Roma Capitale; il secondo strumento è il “piano di rotazione”, che impedisca che posizioni di potere si consolidino per lunghi lassi temporali. Si segnala che, a fine gennaio, l’ufficio anti-corruzione del Comune di Roma aveva un organico di quattro dipendenti soltanto, ed il suo adeguato potenziamento era tra gli obiettivi dell’Assessore alla Legalità.
Particolarmente efficace, durante il convegno romano, la relazione di Petrillo, brillante studioso di “lobbying” e consulente Ocse in materia di lobbying e trasparenza: il giovane docente luissiano (è anche professore associato di Diritto Pubblico Comparato all’Università Unitelma Sapienza di Roma) ha definito i tentativi di regolare i gruppi di interesse in Italia una sorta di “serpente schizofrenico”. Così si spiega la divertente metafora: “serpente”, perché esce e rientra continuamente nella sabbia; “schizofrenico”, perché lo Stato tenta di intervenire in materia, ma, quando riesce a farlo, si contraddice nei suoi stessi comportamenti…
Pier Luigi Petrillo ha descritto, con buona sintesi accademica, i tre macro-modelli di lobbying nel mondo: quello statunitense, nel quale la “casa di vetro” si accompagna al diritto delle lobby di essere coinvolte direttamente nei processi decisionali; il modello britannico-canadese, che prevede la massima trasparenza dei processi decisionali e dei processi di lobbying, ma non il coinvolgimento diretto nei processi decisionali; l’anomalo caso italiano, che attende da decenni e decenni una regolamentazione. Petrillo si è domandato se il fatto che l’Italia sia l’unico Paese in Europa, insieme a Spagna, Grecia e Portogallo, a non essere dotato di una legge sulla lobbying possa essere correlato allo stato comune di debolezza delle economie nazionali di questi quattro Paesi: tesi metodologicamente di non agevole dimostrabilità – temiamo – ma veramente intrigante.
Petrillo ha sostenuto che l’iniziativa di D’Ausilio può assumere una valenza non soltanto simbolica, che va ben oltre i confini di Roma Capitale, che pure è una delle “stazioni appaltanti” maggiori d’Italia, e certamente un’amministrazione di dimensioni enormi, con un budget che veleggia, negli ultimi anni, intorno ai 4 miliardi di euro l’anno (e basti pensare ai circa 25mila dipendenti, di cui 6mila sono vigili urbani, cui si sommano altri 32mila dipendenti delle aziende partecipate, per un totale di quasi 60mila lavoratori dipendenti!).
La proposta di D’Ausilio è stimolante, ma, ancora una volta, riteniamo che la questione essenziale, e prodromica, sia la preliminare esigenza di disporre di fonti agevoli, accurate ed approfondite, che consentano al cittadino (che è in fondo il vero e fondamentale “stakeholder”, nel rapporto con lo Stato) di accedere ai dati e informazioni rilevanti per comprendere il “policy making” (comunale o regionale o nazionale che sia).
E, ancora una volta, non possiamo non evocare gli “open data”, augurando che si passi dalla retorica delle belle intenzioni alla concreta fattualità operativa: ancora una volta, scriviamo su queste colonne che ci piacerebbe osservare un ruolo più attivo, pro-attivo, dell’Agenzia per l’Italia Digitale – Agid, in relazione a queste delicatissime questioni.
Una normativa nazionale sulle lobby è comunque indispensabile ed urgente, perché, rendendo pubblici i contrapposti interessi particolari, il cittadino potrebbe finalmente comprendere, ovvero toccare con mano, perché una decisione pubblica va in una direzione o in un’altra, al di là delle prese di posizione ufficiali di gruppi politici e singoli parlamentari. Basti citare il caso di metà marzo scorso, allorquando Beppe Grillo ha denunciato che il Pd voterebbe in Parlamento assecondando le lobby del gioco d’azzardo: vero?! falso?! La risposta è ardua, in assenza di dati chiari, accurati, e trasparenti… appunto!
Su queste colonne, anche in occasione dello scandalo romano del “mondo di mezzo”, abbiamo auspicato che siano proprio gli “open data” lo strumento di questa auspicabile rivoluzione informativa: e quindi istituzionale e politica.
La regolamentazione normativa delle lobby è questione essenziale per la democrazia stessa del nostro Paese.
La regolazione delle lobby richiede però che esista, prima, un “sistema informativo” accurato, aggiornato, accessibile: gli “open data” al servizio della democrazia.
Giocando con le metafore: la tanto auspicata “casa di vetro” deve essere costruita su “fondamenta informative” solide, su “dataset” accurati aggiornati accessibili.
L’assenza di informazione rappresenta l’anticamera della corruzione, o comunque stimola la distorsione del “policy making”.
Auguriamoci che l’epoca dei “fuochi d’artificio” e del “facite ammuina” (con informazioni parziali, frammentarie, confuse, dati non validati e numeri in libertà) s’esaurisca presto, grazie ad una normativa innovativa ed efficace.