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Rappresentanti di governi, del mondo d’impresa, accademici ed addetti ai lavori a San Paolo del Brasile per NetMundial 2014 (The Global Multistakeholder Meeting on the Future of Internet Governance), l’assise organizzata per discutere, da domani e per due giorni, sul futuro della rete.
Un appuntamento importante che, sostanzialmente, prende le mosse dal duro discorso della Presidente brasiliana Dilma Rousseff pronunciato alle Nazioni Unite contro lo scandalo Prism e i controlli a tappeto sulle comunicazioni elettroniche mondiali effettuate dall’agenzia governativa NSA (National Security Agency), che aveva posto tra l’altro sotto controllo i telefonini dei leaders di mezzo mondo, compresa Angela Merkel e la stessa Dilma Rousseff.
Lo scandalo NSA ha chiaramente minato la credibilità internazionale politica e diplomatica degli USA.
Con essa è stata, inevitabilmente, posta sotto accusa anche la prerogativa americana di controllo sulla governance della rete, fondata formalmente sul regime cosiddetto multistakeholder: una parola magica, di scarsa intellegibilità e con una malintesa composizione pluralistica, dal momento che il controllo di internet viene effettuato, come è noto, in modo asimmetrico dal governo americano, ovvero dall’US Deparetment of Commerce attraverso una serie di organismi come ICANN, ISOC, IANA e IETF, alla cui guida siedono i nuovi “mandarini” del potere digitale, con grandi disponibilità economiche.
Oggetto della due giorni sarà pertanto l’assetto futuro di internet alla luce della domanda di privacy, sicurezza e libertà d’espressione, senza le quali sarà difficile immaginare una vera democrazia elettronica.
Un obiettivo ambizioso, che deve districarsi tra molti equivoci e qualche impostura.
Queste ultime, come è noto, soffrono di uno strano complesso.
Più sono grandi e più passano inosservate.
Come alcuni ricorderanno, ai tempi della Conferenza di Dubai, il dibattito internazionale fu polarizzato, specialmente nello scacchiere occidentale e ad opera dei public opinion maker americani (con un impegno globale in prima fila di Google), sulla necessità di evitare il controllo dei governi su internet, nascondendo agli occhi del mondo una verità lapalissiana: che il controllo della rete era saldamente posto da decenni sotto il controllo del governo americano.
Un equivoco di non poco conto, che parte a sua volta da un assunto di non poco conto: il controllo sulla rete consente di orientare i benefici dell’economia digitale a favore di questo o quel paese.
Nel caso specifico è chiaro che per gli USA lo sviluppo dell’economia digitale equivale all’affermarsi della “loro” economia digitale.
Ora in epoca post-NSA occorre trovare una via d’uscita che ridia credibilità al sistema, guardando al futuro della rete e alla domanda di rinnovamento.
Alcune settimane fa l’US Department of Commerce ha dichiarato di voler cedere la supervisione di ICANN e a San Paolo inizia un confronto che durerà mesi, passando anche per l’Internet Governance Forum 2014, che si terrà il prossimo settembre a Istanbul.
Ma il rischio è che sia un’operazione di facciata.
Non sarà un confronto semplice: a San Paolo sono stati già presentati in fase istruttoria 187 documenti, che saranno oggetto di classificazione, per valutare i posizionamenti convergenti o meno dei proponenti.
Tale raccolta di posizioni andrà avanti per mesi, ma ciò che serve è un framework strategico: perché se il governo della rete non può più stare nelle mani del governo americano, dietro l’equivoca etichetta del regime multistakeholder che si vorrebbe rilanciare, potrebbe annidarsi una soluzione scarsamente rappresentativa, magari capace di ridare immensi poteri ai nuovi “mandarini” della rete.
Lo stesso termine multistakeholder sta assumendo toni sempre più fondamentalisti: è una parola che ha perso significato, una soluzione dietro cui non si sa bene cosa ci sia, infine un termine quasi religioso che rappresenta sempre più un fine piuttosto che un mezzo.
E il NetMundial2014 avrà il compito di entrare nel merito di questi problemi.
Quanto approfonditamente e quanto convintamente è difficile dirlo.
La discussione è già pesantemente orientata sul versante della soluzione multistakeholder, come indicano i documenti pubblicati su Wikileaks, una soluzione che contiene sempre l’insidia di assegnare i poteri in mani in qualche modo “orientabili” e che quindi, per ovvie ragioni, non dispiace ad alcuni.
Una soluzione che ad altri sta stretta, per ragioni di rappresentanza.
Il prossimo miliardo di utenti della rete, come sottolineato da Virgilio Almeida responsabile delle Policy di Information Technology per il governo brasiliano, apparterrà per intero al Sud del mondo e questo ha un significato difficilmente eludibile.
Indipendentemente da ciò che avverrà in questi due giorni, il dato certo è che continua il confronto strategico sul futuro della rete, il cui versante imprescindibile è il suo controllo (banale e puerile, l’affermazione che internet viva di vita propria).
Proseguirà oltre San Paolo, guardando all’Internet Governance Forum di Istanbul e ai successivi appuntamenti, primo fra tutti quello in Corea tra oltre un anno.
Ma se guardiamo a questo primo punto di partenza non possiamo non notare alcuni equivoci o tesi rischiose già presenti sul tavolo della discussione.
Il primo è che l’approccio quasi religioso al termine multistakeholder pone di fatto sullo stesso piano rappresentanti di governi e rappresentanti di Big Companies.
La differenza è enorme: i primi rappresentano il popolo da cui hanno ricevuto mandato, le seconde rispondono solo ai loro azionisti.
Il secondo è che il rilancio di ICANN porta al rafforzamento di un unico internet (ricordate la proposta della Cancelliera Angela Merkel per un internet europeo e quello della Presidente Dilma Rousseff per un internet brasiliano, proprio per uscire fuori dal rischio di controllo di NSA?) a scapito di altre soluzioni.
Un unico internet dove pochi algoritmi privati esercitano un controllo unico di dati personali, metadati e introiti da pubblicità o da copyright, che per più della metà fanno oggi capo a Google.
Per sostenere questa vision, ICANN si è fatta paladina della lotta contro la “balcanizzazione” di internet, avversando il rischio di frammentazione sotto diversi governi (un attacco alla democrazia, perché dei governi non ci si può fidare!), per lasciare tutto sotto il controllo di pochi monopoli americani…
Il problema, tuttavia, non è solo di scelte, ma anche del modo con cui esse vengono presentate.
Come ha osservato Jean-Cristophe Nothias su The Global Journal, se si chiedesse ai partecipanti di NetMundial2014 (e all’opinione pubblica mondiale):
“Volete (a) che la rete venga preservata sotto un’unica modalità di interazione o (b) siete in favore della sua frammentazione?“, la risposta sarebbe inevitabilmente in favore del primo quesito.
Ma se si chiedesse:
“Volete (a) sostenere una rete monolitica, con un controllo egemonico centrale o (b) preferite una rete distribuita, aperta e rispettosa dei diritti umani?“, il risultato sarebbe esattamente l’opposto.
Il rischio è che tutto rimanga, senza discussioni adeguate e con scarse consapevolezze, nelle mani di ICANN e dei nuovi “mandarini” della rete, piuttosto che nelle mani dei governi e quindi dei cittadini.
L’economia digitale appartiene a tutte le nazioni e non può rappresentare un regime di interesse per un solo paese, lo strumento principe per controllare persone, processi, risorse su base mondiale.
Un dibattito da seguire con attenzione.