Italia
L’attacco di Fedele Confalonieri ai cosiddetti Over The Top della comunicazione, come Google e Amazon, toglie ogni incertezza al dibattito sulle prospettive del mercato italiano multimediale. Con la sua consueta concretezza brianzola, “Fidel”, il vero pilota dell’impero di Arcore, mette nel mirino il nuovo nemico, rivelando la bussola che sta guidando il gruppo. Dal mercato generalista alle nuove relazioni individuali. Questa sembra la grande rivoluzione culturale che si sta elaborando all’ombra del Biscione.
Posizione chiave sarà la newco annunciata dallo stesso Confalonieri, che dovrebbe rinverdire i fasti delle famose scatole 1,2,3, fino a 12 che proteggevano, all’inizio dell’avventura, il tesoro di Berlusconi. La nuova società si candida a diventare la Mediobanca della comunicazione multimediale italiana, una società aperta a tutti i nuovi player, per allestire una grande piattaforma di contenuti on demand, di cui la Pay Tv sarà solo la prima tappa.
Il vero obiettivo è quello di sostituire la vecchia pubblicità tabellare con relazioni dirette con ogni singolo consumatore, creando delle community per ogni prodotto, vendendo così la profilazione del consumatore ai distributori. Esattamente quello che fanno Google e Amazon, che diventano i veri avversari.
Confalonieri apre così il fronte dell’USB, ossia della porta laterale che rende lo schermo televisivo uno dei tanti device della rete. E’ lì che si giocherà la partita decisiva. Soprattutto in un paese come l’Italia, che a dispetto dei vieti luoghi comuni, è considerato dagli stessi global player un mercato di punta per la grande predisposizione delle comunità ai social network e per la tradizionale propensione ai consumi driving.
Non a caso è in Italia che Google, Amazon, la stessa Facebook intendono sperimentare la versione europea della loro piattaforma di social TV. Ed è in Italia che si misurerà la conseguenza sul mercato editoriale dell’incursione dei nuovi linguaggi televisivi.
Sky ha già predisposto il suo nuovo bouquet in protocollo IP.
In tutto questo brilla l’assenza totale del servizio pubblico. Ma anche del governo. La vicenda dei 150 milioni rischia di distrarre l’attenzione politica dal vero focus: quale modello di internazionalizzazione del sistema Italia si immagina? Siamo alle soglie di ripetere l’esperienza degli anni ’80, quando sulla scia dell’esplosione, anche allora del tutto imprevista, dei consumi televisivi privati, che Berlusconi occupò, si visse una delle più clamorose esperienze di internazionalizzazione passiva di un paese. In pochi anni l’Italia si trasformò dal paese delle mille antenne, con circa mille televisioni locali, al paese degli infiniti spot, con il fatturato pubblicitario televisivo che passò da 90 miliardi di lire nel 1978 alla fantastica cifra di 4 mila miliardi nel 1986. Per lo più rastrellati da Publitalia di Dell’Utri. Un moltiplicatore del genere non si è mai visto in nessuna economia del mondo. Ora ci risiamo.
Mediaset sta disponendo le truppe, cercando di buttare fuori dal ring i concorrenti più minacciosi e soprattutto di conquistare le disponibilità di chi vuole entrare nel mercato. Ma chi vuole entrare? O meglio chi oggi realmente può entrare in questo mercato? Sicuramente non gli editori tradizionali, che semmai puntano a diversificazioni collaterali, per mitigare le perdite di questi anni. Allora chi è interessato al nuovo mercato dei consumi individualizzabili? Sicuramente i grandi brand di tendenza: Luxottica, Prada, Conad, Diesel.
Sono loro i nuovi editori. Sono loro interessati a costruire community attorno ai loro prodotti che sono sempre più dei media più che degli oggetti. Confalonieri lo ha capito e si muove, sparando sul pianista.
Rai gioca ancora sul giardinetto interno. La TV generalista potrebbe ancora recitare un ruolo importante, proprio perché l’estrema individualizzazione del sistema comunicativo lascia uno spazio per chi vuole ricomporre occasionalmente tribù e comunità attorno a contenuti di senso comune, sorprendendo chi sceglie solo i prodotti che conosce. Ma chi lavora in questa direzione? L’azienda non trova ancora un bandolo da seguire. Basta vedere come è stata sprecata la carta del nuovo portale news online, dove la Rai ancora non riesce a trovare un linguaggio per un servizio di flusso e territorializzato.
Basta vedere come la stessa Google sta soffiando al servizio pubblico le committenze della digitalizzazione dei sistemi comunicativi locali nelle grandi città e nelle regioni. Davvero sembra di tornare al Mundialito del 1982, quando Berlusconi prese velocità sostituendo la Rai nell’immaginario televisivo nazionale.