Europa
Gli Stati membri possono chiedere alle società che forniscono servizi di comunicazione elettronica sul loro territorio (anche se stabilite in un altro Stato membro) le informazioni necessarie per verificare l’osservanza delle condizioni relative alla tutela dei consumatori, a seguito di denuncia o in caso di indagine su iniziativa delle stesse autorità. Lo ha stabilito la Corte Ue intervenendo, su sollecitazione del Tribunale di Budapest, Ungheria, sul caso di alcune denunce presentate dagli abbonati di UPC, una società lussemburghese che fornisce servizi radiofonici e audiovisivi a pagamento ricevibili via satellite e ad accesso condizionato. Tali servizi sono forniti ad abbonati residenti in altri Stati membri, tra cui l’Ungheria.
Le autorità ungheresi hanno chiesto a UPC di comunicare loro talune informazioni relative ai suoi rapporti contrattuali con uno dei suoi clienti.
UPC si è però rifiutata, motivando il suo diniego sul fatto di avere sede in Lussemburgo e che, quindi, le autorità ungheresi non erano competenti per avviare procedimenti di vigilanza nei suoi confronti. Non avendo ricevuto le informazioni richieste, le autorità ungheresi hanno inflitto un’ammenda a UPC, contro cui la società lussemburghese ha fatto ricorso.
La Corte di giustizia ha quindi rilevato che il servizio fornito dalla UPC costituisce un ‘servizio di comunicazione elettronica’ ed è quindi soggetto alla direttiva autorizzazioni che consente agli Stati membri di imporre la registrazione dell’inizio della fornitura di un tale servizio sul loro territorio. La direttiva autorizza altresì uno Stato membro sul cui territorio risiedono i destinatari di tale servizio a subordinare la prestazione dello stesso a talune condizioni specifiche del settore delle comunicazioni elettroniche.
In tale contesto, ha precisato la Corte, “gli Stati membri possono avviare procedimenti di vigilanza aventi ad oggetto l’attività, sul loro territorio, dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione”.
Per contro, ha concluso, “gli Stati membri non possono imporre a tali fornitori la creazione di una succursale o di una filiale sul loro territorio, in quanto un siffatto obbligo sarebbe contrario alla libera prestazione dei servizi”. (A.T.)