L'analisi

ilprincipenudo. Rai: cambi radicali o tutto sarà inutile

di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale - IsICult) |

Proposte di legge effervescenti da parte di 5 Stelle e Sel, mentre spunta l’ipotesi di una regia occulta dietro alle decisioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi

In questi ultimi giorni, la questione Rai – tra “towers” e “governance” – sembra essere tornata di concreta attualità, ma uno scetticismo estremo (che riteniamo debba caratterizzare un osservatore distaccato del teatrino politico-mediale italiano) dovrebbe imporre un’assoluta prudenza.

#ilprincipenudo ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale, a cura di Angelo Zaccone Teodosi, Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) per Key4biz.
Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Questa prudenza e questo scetticismo sono dettati dalla coscienza che tra il “reale” e il “mediale” c’è quasi sempre un abisso. Siamo convinti che in Italia esistano diversi livelli di realtà, così come diversi paralleli livelli di potere, e le istituzioni non sono esattamente “case di cristallo” (basti ricordare che si attende da decenni una legge per regolamentare l’attività di lobbying!).

Non siamo mai stati cultori del complottismo, ma crediamo che in Italia le analisi dietrologiche debbano assumere la stessa importanza delle analisi scenaristiche. Non sappiano se quello che hanno scritto ieri Stefano Feltri e Carlo Tecce su “il Fatto Quotidiano” sia frutto di fantasia scatenata, ma l’impressione che possa esserci una regia occulta (più di una regia…) dietro alcune decisioni del Governo Renzi cresce progressivamente, e stimola quesiti inquietanti.

L’articolo reca un titolo ed un sottotitolo eloquenti: “Telecom, Rai, Ilva, Fisco, Popolari: avanza il governo ombra di Renzi. I ministri ufficiali contano sempre meno. La squadra privata del premier ormai ha in mano i dossier più importanti”. I due giornalisti non ci rivelano chi è “il consulente personale” di fiducia del Presidente del Consiglio sul “dossier Rai”, ma sappiamo che c’è.

Riproduciamo l’incipit dell’articolo de “il Fatto”: “Nel piano sulla banda larga che sarà presentato oggi in Consiglio dei ministri ‘non ci sono ipotesi di arbitrari spegnimenti di rete’, spiega il sottosegretario allo Sviluppo con delega alle Comunicazioni Antonello Giacomelli. Ma questo non basta a rassicurare Telecom Italia. Lo scontro su chi pagherà la banda larga ha fatto emergere il ‘governo ombra’, la squadra di consiglieri di Matteo Renzi che, settimana dopo settimana, sta espropriando i ministri ufficiali. Spostando nei corridoi di Palazzo Chigi decisioni di solito prese da membri del governo che rispondono al Parlamento, soggetti a norme su trasparenza e conflitti di interesse”. Più che di governo “ombra”, crediamo si dovrebbe usare un’espressione come “governo occulto”.

In argomento “banda larga”, ci limitiamo a riportare quel che il quotidiano “il Sole 24 Ore” titolava ieri in prima pagina: “Banda larga, piano da 6 miliardi. Approvate le linee-guida del Governo con le risorse pubbliche per il 2020, ma niente decreto”. Ciò basti. Appunto: un altro… annuncio, e comunque si procrastina. Come per la riforma della scuola, che parrebbe essere stata rimandata – anch’essa, giustappunto – al Consiglio dei Ministri di martedì prossimo (anche in questo caso, verosimilmente un ddl e poi la palla passerebbe al Parlamento… come se fosse questo il luogo dell’attuale potere reale in Italia!). Come ha scritto il Direttore di “Key4biz” Raffaele Barberio, abbiamo finalmente una “strategia” (se tale la si vuole generosamente considerare), ma a quando un “piano” operativo?!

A chi non crede nella malattia di Renzi – la sindrome dell’“annuncite” – suggeriamo la lettura del libro di Arturo Diaconale, “L’anno del Peron alla fiorentina”, presentato qualche giorno fa dal direttore del quotidiano “l’Opinione”. Uno slogan che sintetizza un “mood” renziano: “annuncio e rinvio”. Fino a quando il popolo sarà contento di questa dinamica di “panem et circenses” (80 euro in busta paga e fuochi d’artificio di “riforme” a getto continuo)?!

Restiamo convinti – come abbiamo già scritto su queste colonne – che la vicenda Ei Towers / Rai Way svanirà come una bolla di sapone, anche se oggettivamente l’ipotesi di un gestore unico delle reti potrebbe avere un senso lungimirante per il sistema-Italia: richiederebbe però un’elaborazione evoluta, raffinata, organica, tipica di un Paese che abbia la capacità di disegnare una strategia di medio-lungo periodo. Rassegniamoci: non è il caso dell’Italia.

La giornata di ieri (mercoledì 4 marzo) ha registrato, per l’osservatore cultural-mediale, almeno tre o quattro iniziative di una qualche importanza (e comunque degne di notiziabilità).

Proponiamo ai lettori di “Key4biz” un qualche telegrafico commento.

Se l’altro ieri il M5S ha tirato fuori dal cassetto una proposta di riforma della Rai abbastanza innovativa (per esempio, per i pre-requisiti dei candidati al governo della Rai, e per le logiche di trasparenza, anche se la nomina del Cda Rai da parte dell’Agcom suscita una qualche ilarità, date le caratteristiche genetico-storico-strutturali dell’Autorità, e l’idea del “sorteggio” ci sembra veramente infantile…), ieri mattina alla Camera, durante una conferenza stampa discretamente affollata, è stata riproposta in tutta la sua attualità e radicalità, un’idea di riforma della Rai che un piccolo movimento d’opinione qual è MoveOn Italia ha promosso ormai da anni, concretizzatosi nel progetto “La Rai ai cittadini”.

Sul tavolo di presidenza, erano allineati, oltre al rappresentante di Move On, l’appassionato Marco Quaranta, alcuni esponenti di Sinistra e Libertà e del Pd. Ha presieduto l’ex Sottosegretario ed ex parlamentare Pd, il pugnace Vincenzo Vita, che segue ormai queste vicende come editorialista de “il Manifesto”, con interventi sempre molto accurati. L’iniziativa era intitolata “Riforma del servizio pubblico. La Rai bene comune”: formalmente, si tratta di una proposta di legge presentata dai deputati Giuseppe Civati (“dissidente” Pd), Nicola Fratoianni (coordinatore nazionale di Sel), Arturo Scotto (Sel), Sandra Zampa (Pd), Annalisa Pannarale (Sel) e Luca Pastorino (Pd).

L’obiettivo è quello di tutelare un “bene comune” caratterizzato dalla promozione dello sviluppo democratico, sociale, culturale e dei diritti umani di ogni società, tutelando il diritto dei cittadini a ricevere e diffondere informazioni, idee ed opinioni garantendo un accesso non discriminatorio.

Il servizio pubblico – si legge – deve essere svolto in piena autonomia ed indipendenza editoriale, amministrativa e finanziaria. Si auspica che non venga approvato alcun decreto governativo… decisionista, ma si spera che venga sviluppata un’intensa attività di confronto a livello parlamentare.

“Il governo vuole fare in fretta sulla riforma della Rai? Io dico, per una volta, facciamo bene tramite un percorso che parta con la giusta autonomia parlamentare, dove tutte le forze si confrontino insieme per il bene comune – ha sostenuto (saggiamente o ingenuamente?!) Civati – Facciamo un lavoro di sostanza. sulle cose di cui parliamo. Non mi sembra impossibile”. Un pensiero condiviso anche da Fratoianni: “Una questione così rilevante non deve essere sottratta al dibattito parlamentare”.

Temiamo, egregi parlamentari, che Renzi non abbia alcuna intenzione di far calendarizzare questa tematica in Parlamento. Il “dossier Rai” se lo tiene bello stretto tra le proprie mani.

Di fatto, quasi in risposta alla provocazione dei grillini di ieri l’altro, anche Sel ha ora una sua proposta di legge sulla riforma della Rai, elaborata con il contributo di semplici cittadini ed operatori del settore, attraverso la piattaforma web di MoveOn.org: una proposta che presenta comunque “molte convergenze” con quella presentata ieri dal Movimento 5 Stelle, ha sostenuto Fratoianni.

In Parlamento, giacciono altri articolati, da quello a firma di Michele Anzaldi, segretario della Commissione di Vigilanza (che riprende una proposta del già Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni) a quello a firma di Mario Marazziti (Capo Gruppo di Per l’Italia-Centro Democratico)… E potremmo anche ricordare le proposte di Articolo21 piuttosto che le elaborazioni di Infocivica, e basterebbe far riferimento a bei cervelli come quello di Roberto Zaccaria o Giuseppe Giulietti o Bruno Somalvico, se si dovesse cercare un “trust cerebrale” su queste tematiche.

Non sono le idee e le proposte a mancare: quel che manca è un confronto pubblico approfondito, serio, metodico, magari anche con un qualche crisma di scientificità.

Perché il Sottosegretario Antonello Giacomelli ha abbandonato l’idea della “consultazione popolare”, che potrebbe essere – se gestita in modo non demagogico e populista – una vera occasione di dibattito e confronto? Chi lo ha costretto a cambiare idea?! Renzi stesso, forse, e – se così fosse – perché???

Eravamo e restiamo scettici su queste iniziative del Movimento 5 Stelle e di Sel + dissidenti Pd, che hanno fatto propria l’elaborazione di MoveOn.

Crediamo che queste proposte di legge – pur interessanti (sebbene, ribadiamo, sganciate da approfondite analisi di scenario e da adeguate comparazioni internazionali) – siano purtroppo destinate a finire su binari morti.

Scommettiamo che il premier Renzi riuscirà, con un disegno di legge minimalista (riduzione dei componenti del cda e rimodulazione del canone), a far sì che… la montagna partorisca il topolino: una mini-riforma piccina picciò, che pure verrà venduta come un’innovazione rivoluzionaria.

L’Italia è un Paese nel quale la tecnocrazia è “rara avis”, e si legifera quasi sempre sulla base di modeste e parziali (e talvolta partigiane) conoscenze tecniche, sulla base di conati contingenti e talvolta decisionisti, nel tentativo di mettere mano (maldestramente, spesso) ad urgenze ed emergenze.

Nella stessa giornata di ieri, è stato organizzato – dopo una sonnolenza di due o tre mesi – un nuovo incontro (il sesto) dell’iniziativa laboratoriale “Pallacorda Rai” promossa dall’Università di Roma. Ancora una volta, prevalenti disquisizioni teorico-accademiche, anche interessanti, ma lontane anni-luce da quel che sta avvenendo in alcune segrete stanze di Palazzo Chigi. Ci è piaciuto Claudio Cappon (già Direttore Generale della Rai, e fino al dicembre 2014 Vice Presidente dell’Ebu), che ha sostenuto che “la televisione pubblica non deve essere una televisione privata castrata, ma dovrebbe invece essere una televisione che, al contrario, sa osare”. Il che, certo, non avviene in Rai. Gigi Marzullo incarna la Rai che… è osé, come i “pacchi” di Rai1 e le fiction targate Lux Vide, ed ignobili sotto-prodotti come “Made in Sud”.

Le proposte di legge sulla Rai sembrano convergere sull’esigenza di “liberare” Viale Mazzini dalla “politica”. Mario Morcellini, promotore della “Pallacorda”, ha però sostenuto, coraggiosamente e controcorrente, che Viale Mazzini ha certamente necessità di uno shock, ma non è detto che “togliere la politica dalla Rai” sia – in sé – una scelta positiva nel lungo periodo. Condividiamo pienamente, pensando al rischio concreto di riduzione ulteriore del pluralismo dell’italica democrazia, già messa a dura prova da un sistema dell’informazione che non brilla per indipendenza (basti ricordare i gruppi economico-industriali che controllano, nell’improprio ruolo di editori, gran parte della stampa quotidiana).

Sempre ieri, a distanza di qualche centinaio di metri dal Parlamento e da Palazzo Chigi, presso la sede del Ministero dei Beni e le Attività Culturali e il Turismo, una piccola ma agguerrita lobby qual è Symbola, l’associazione di Ermete Realacci appassionatasi alle tematiche del “made in Italy”, organizzava un seminario ad uso interno, ovvero “ad inviti riservati”, sulla situazione dell’industria culturale italiana. Tra i partecipanti, rappresentanti di Confindustria, Fondo Ambiente Italiano (Fai), Rete delle Imprese, Rai, Fondazione Roma ed Unioncamere

Al di là dell’anomalia di una simile iniziativa ospitata ufficialmente (con tanto di comunicato stampa) nel cuore di un dicastero, al Collegio Romano, ma… “a porte chiuse”, stupisce che, a conclusione dell’incontro, il Ministro Dario Franceschini abbia comunicato ai giornalisti semplicemente il proprio apprezzamento per l’iniziativa: “un incontro molto importante”, con la solita enfasi retorica sui moltiplicatori economici della cultura.

Al cittadino, così come al giornalista, resta la curiosità di sapere cosa sarà emerso, di così importante, nell’arcano conclave… Ricordiamo che Symbola produce ormai da 4 anni un rapporto sul sistema culturale italiano, la cui sconcertante debolezza metodologica è stata uno dei fattori determinanti, qualche mese fa, nel convincerci della necessità di promuovere su queste colonne un osservatorio critico sulla fragilità del sistema informativo dei mercati culturali e mediali italiani, e quindi sulla conseguente inevitabile approssimazione del “policy making” (quale che sia la cromia della maggioranza al governo: in questo un Massimo Bray è uguale ad un Sandro Bondi, come comune deficit cognitivo).

Ci domandiamo anche perché Franceschini senta la necessità di chiedere aiuto all’esterno (o anche soltanto di ospitare istituzionalmente all’interno del suo dicastero seminari chiusi promossi da una lobby, per quanto presieduta da un collega di partito, Presidente di Commissione ovvero della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera), allorquando potrebbe far funzionare meglio (“rectius”: far funzionare, semplicemente) quelli che dovrebbero essere i “think tank” del suo dicastero, ovvero l’Osservatorio dello Spettacolo (che dipende dalla Direzione Generale dello Spettacolo dal Vivo) e l’Ufficio Studi (che dipende dal Segretariato Generale del Ministero): strutture che sono state nel corso del tempo private di risorse, depotenziate quanto definanziate, e rese quasi scatole vuote. “Cui prodest?!”…

Insomma, si studia poco e male, si legifera balbettando, e si governa nasometricamente.

Temiamo seriamente per il futuro della Rai.

Il rischio di passare dalla padella alla brace è concreto.

Forse è quasi meglio che Renzi richiuda nel cassetto le sue estemporanee idee di riforma di Viale Mazzini. Quasi quasi meglio lasciar tutto com’è. Nel bene e nel male. In verità, il premier ha confermato che “entro dieci giorni” il Governo presenterà un suo testo: caro Presidente, non pensa possa esser meglio lasciar perdere, e, anche in questo caso, adottare la  succitata tecnica “annuncio e rimando”?! Oportet. Peraltro, mesi fa, lei aveva annunciato che sarebbe stato “aprile” – suvvia! – “il mese della cultura e della Rai”. Siamo ancora ad inizio marzo. E, poi, diciamocelo, lei ha ben altre gatte da pelare. Viale Mazzini può attendere.

Intervenendo in modo “urgente” e “straordinario”, si corre il rischio di buttar via, insieme all’acqua sporca, anche il bambino. Lei vuole usare l’accetta, in apparente sintonia con Grillo (abbiamo notato le effusioni di queste ore tra il suo Alzaldi ed il Fico del cerchio magico grillino). Noi crediamo Lei dovrebbe invece attrezzarsi col bisturi. Previa adeguata radiografia e tac. Che non sono state effettuate dai suoi uffici e consulenti. Lei non dispone ancora dell’adeguata “cassetta degli attrezzi”, per intervenire sul delicato organismo Rai.

Ovvero, in traduzione in dialetto veneto (per omaggiare la Lega?!): “pézo el tacòn del sbrégo”. Meglio evitare, Presidente.

Leggi le altre notizie sull’home page di Key4biz