AgiD: agenda o telenovela?

di di Paolo Colli Franzone (NetSquare - Osservatorio Netics) |

Ministro Madia, per cortesia, faccia presto. Decidete se l’AgID serve a qualcosa oppure no. Se serve, datele tutto quello di cui ha bisogno, a partire da un Capo, e poi fatela lavorare.

#PAdigitale è una rubrica settimanale a cura di Paolo Colli Franzone promossa da Key4biz e NetSquare – Osservatorio Netics.
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Italia


Paolo Colli Franzone

La notizia di ieri 2 giugno è quella del commissariamento dell’AgID. Esce Ragosa, arriva una commissaria ad acta – Elisa Grande – alla quale si chiede di metter ordine e di preparare il bando per il nuovo DG dell’Agenzia.

Una cosa, su tutte, va detta: Agostino Ragosa ha fatto davvero di tutto per riuscire a governare l’Agenzia, nonostante i rimpalli burocratici (statuto, bilancio, revisori dei conti, membri del comitato di indirizzo) e qualche osservazione sulla pianta organica. Ha fatto di tutto e ha lavorato tantissimo, in questi diciassette mesi.

Il problema è che, per l’appunto, sono passati diciassette mesi. E, a parte la gara SPC, di cose non ne sono successe moltissime, se non quelle avviate dalla struttura di missione di Largo Chigi e il “minimo sindacale” di linee guida pubblicate in esecuzione di adempimenti imposti dalle modifiche al CAD.

Non che potesse andare a finire diversamente: in assenza di un bilancio approvato, di un collegio dei revisiori nel pieno dei poteri, nessuno avrebbe potuto fare nulla di più di quanto è stato fatto.

Nella migliore delle ipotesi, avremo un nuovo DG dell’Agenzia in ottobre. E di mesi, a quel punto, ne saranno passati ventidue: forse un pochino troppi, per una PA avviata verso una trasformazione epocale e per un mercato ICT ormai in preda allo sconforto.

Continuiamo a non avere un Digital Champion, qualcuno che ci rappresenti a Bruxelles non tanto per “girare slides” quanto piuttosto per tentare di imporre un ruolo centrale per l’Italia anche per quanto riguarda questo non irrilevante capitolo di politica industriale.

Continuiamo a non avere i “Digital Evangelist” mandati a trotterellare lungo tutto lo stivale per spiegare i vantaggi delle ICT alle decine di migliaia di PMI che entrano nel panico al solo pensiero di dover emettere una fattura elettronica.

Continuiamo a non avere dei “Digital Evangelist” anche nei ministeri e negli enti locali: persone capaci di spiegare ai “pezzi grossi” della burocrazia che la ceralacca è finita e molto difficilmente gliene sarà acquistata di nuova.

Continuiamo, soprattutto, a pensare al mattone. Paradossalmente, lo facciamo anche quando parliamo di ICT, con tanto di lunghissime discussioni intorno al dove e come costruire i data center prima ancora di aver capito cosa ci metteremo dentro e – soprattutto – con quale modello di collaborazione coi produttori di software e di soluzioni per la PA che non sia la solita “sbobba” modello SPC.

Nel frattempo, all’interno della PA nessuno muove una paglia: tutti ad aspettare che AgID dica, che AgID scriva, che AgID faccia.

Salvo poi addossare tutta la responsabilità ai fornitori: “non investono, non ci credono, non sono pronti, continuano a farsi strapagare”.

Che non investano e non ci credano, è scontato: come potrebbero investire in un Paese che non è stato in grado di mettere mano all’agenda digitale in questi lunghissimi diciassette mesi?

Che non siano pronti, è falso: abbiamo vendor che si conquistano quotidianamente posizioni di rilievo in giro per il mondo, e nessuno di loro lo fa solo per il desiderio di accumulare punti Millemiglia.

Quanto poi all’essere “strapagati”, la cosa sarebbe comica se non fosse drammatica: gare al massimo ribasso, gare che durano tre anni e costano fior di decine di migliaia di Euro in avvocati, fidejussioni che pesano considerevolmente sul plafond affidamenti, fatture incassate a 280 giorni di media con qualche simpatica punta a 445 giorni.

 

Idem per la domanda: abbiamo dirigenti e funzionari della PA (quelli che ci credono, e non sono pochi) che proseguono sul cammino dell’innovazione di processo attuata grazie anche all’innovazione tecnologica nonostante qualche vuoto normativo e la totale assenza di punti di riferimento certi e “presenti”. Si va, più o meno fortunosamente, di “copia e incolla”: Tizio ha fatto così, facciamo così anche noi. Quasi sempre ci si azzecca, meno male.

Abbiamo una Commissione Europea che ci ricorda un giorno sì e un altro pure l’importanza di avere un quadro strategico nazionale “serio” e una regia “tosta”, se vogliamo portare a casa qualche risultato dalla programmazione 2014-2020. E anche qui, sono opportunità per la PA e ossigeno per le imprese ICT.

 

Adesso, con tutta la pacatezza del caso: Ministro Madia, per cortesia, faccia presto. Decidete se l’AgID serve a qualcosa oppure no. Se serve, datele tutto quello di cui ha bisogno, a partire da un Capo, e poi fatela lavorare; se non serve, chiudetela e riportate tutto quanto all’interno di un Dipartimento.

L’importante è che i mesi non diventino più di ventidue. Che già sono moltissimi.

Perché una cosa è chiara e lampante: quella grande rivoluzione della PA che avete in mente, non riuscirete a farla a colpi di ceralacca, penne biro e carta bollata. La tecnologia non è un optional, l’open data non lo si fa senza i “data”, la semplificazione non passa attraverso i fax.

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