Pubblichiamo di seguito l’intervento di Donato A. Limone, presidente dell’Andig (Associazione nazionale dei docenti di Informatica giuridica e Diritto dell’Informatica) con le proposte di modifica del Cad per renderlo applicabile.
Non vi è dubbio che il Codice costituisce la conclusione di una fase iniziata con la legge 59/97, art. 15, comma 2 e dal Dpr 513/1997 e le prime norme tecniche sulla firma digitale (Dpcm del 1999) con la quale si è avviato un processo di cambiamento nel settore privato (valore legale del documento informatico; firme elettroniche; conservazione informatica dei documenti; pec) e nel settore pubblico (documentazione amministrativa informatica; firma digitale; protocollo informatico; gestione informatica dei documenti; pec; conservazione dei documenti; telelavoro; carta d’identità elettronica; open data; ecc.).
Un processo di cambiamento che ancora in tutti e due i settori non si presenta in tutta la sua potenzialità e valore sociale ed economica ma ormai il processo è avviato e non lo si può “bloccare”.
Cosa possiamo registrare oggi nell’amministrazione pubblica? Siamo in una amministrazione digitale?
Certamente la risposta è negativa (e pesantemente negativa) in quanto possiamo registrare l’esistenza di “spezzoni” di amministrazioni digitali o meglio di amministrazioni automatizzate (l’amministrazione digitale è prima di ogni cosa un nuovo modello di organizzazione pubblica).
Dopo 10 anni di Codice, le PA gestiscono in due modalità (analogica e digitale, invece di una sola modalità) gli archivi, i procedimenti, ecc. con costi per “ridondanza” di procedure e di dati pari a 20 miliardi di euro.
In 10 anni di Codice è stato scarsamente attuato l’art. 15 dello stesso Codice (prima si semplifica e poi si digitalizza): le amministrazioni operano ancora con procedure e procedimenti lunghi, costosi, scarsamente trasparenti, non in rete, ecc.
Un bilancio negativo (stiamo tornando dal digitale all’analogico?!): ma non possiamo non considerare il valore aggiunto di un processo innovativo, intensivo, capillare che trova gli ostacoli più rilevanti proprio nella cultura amministrativa (per tutte, la cultura della “carta”) e nella mancata semplificazione amministrativa.
Allora, il Codice è utile ma è necessario modificarlo per renderlo più applicabile. Come? L’occasione è data dall’art. 1 del DDL sulla riforma della P.A. (Carta della Cittadinanza digitale) dove si prevede la delega al Governo per intervenire sul Codice.
La delega a mio avviso e ad avviso della ANDIG (Associazione Nazionale Docenti di Informatica Giuridica e diritto dell’informatica) dovrebbe considerare di intervenire sulla struttura generale del Codice: un codice che dovrebbe comprendere “solo” principi generali sui diversi aspetti (valore legale dei documenti informatici; le firme elettroniche; il sistema procedimentale informatico; il sistema documentale digitale; il trasferimento di documenti; i dati pubblici digitali; la conservazione informatica dei documenti; ecc.), rinviando in un unico Dpcm le regole tecniche (ripulite ed aggiornate).
Sarà necessario inoltre stabilire date certe sulla realizzazione del Codice e definire accordi “forti” (premi e sanzioni) con le Regioni e gli enti locali per l’attuazione dell’amministrazione digitale per servizi di qualità ed in rete per i cittadini e le imprese. Un intervento normativo di semplice ripulitura e integrazione servirebbe a ben poco.