#eJournalism. Si può campare col giornalismo online?

di di Maria Daniela Barbieri (LSDI) |

Ovvero: il sistema dell’informazione è ancora capace di mettere d’accordo la produzione di notizie con un fatturato che permetta di compensare i contributi di chi lavora e i costi di prima necessità?

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Come si fa a campare con il giornalismo online? Bisogna puntare sui lustrini (ciò che diverte) o sulla sostanza (ciò che è importante)? Trovare un bilanciamento non è per niente facile. L’analisi di James Fallow sul difficile equilibrio fra i costi di produzione e l’impostazione editoriale sulla qualità dei contenuti.

 

Sin da quando esistono lettori, giornalisti ed editori, e da molto prima che la gente usasse questi termini oppure la parola “giornalismo”, l’attività del fornire informazioni sul mondo – spiega James Fallow, collaboratore di The Atlantic dagli anni ’70 – si è scontrata con due grandi questioni, strettamente correlate fra loro: nel 2014 si chiamano “monetizzazione” e “traffico”.

 

Il problema monetizzazione. Coloro che raccolgono le notizie, le valutano e analizzano, le presentano e le illustrano, le rendono disponibili al pubblico – si chiede Fallows – come possono coprire le spese personali? Come fanno a pagare l’affitto e il riscaldamento degli uffici in cui lavorano, ad acquistare  le (vecchie) rotative o i (nuovi) server che servono per produrre, come fanno a campare, a comprarsi i vestiti, a pagare le spese mediche? Più in generale: il sistema dell’informazione è ancora capace di mettere d’accordo la produzione di notizie con un fatturato che permetta di compensare i contributi di chi lavora e i costi di  prima necessità?

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).
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Il problema traffico: come può una testata giornalistica impostare, reimpostare, regolare quotidianamente l’equilibrio tra sfrigolìo e bistecca, tra lustrini e sostanza, tra ciò che diverte sapere e ciò che è importante sapere? Le notizie debbono sempre essere entrambe le cose, e non possono mai essere solo una delle due. Se sono solo futilità e delizie per lo sguardo, non sono notizia, ma intrattenimento; se sono solamente  fatti  meritevoli, sono noiosi e rimangono invisibili.

 

I professori possono obbligare in qualche modo gli studenti a leggere i loro libri: i reporter e i redattori, no – continua Fallows – Perciò tutto, nel nostro ambiente, è,  e deve essere, in costante rivalutazione e cambiamento.

 

Al di là di tutto questo, comunque, secondo Fallows la vera questione del giornalismo è ciò che noi definiamo il problema dei “contenuti”, ovvero come discernere e spiegare quello che è importante e vero.

 

Il giornalista segnala due saggi da lui scritti: un servizio di quattro anni fa su come l’era di Internet stesse cambiando il nostro lavoro (“How to Save the News“) e, un anno dopo, un aggiornamento,  su come erano andate le cose dopo il 2011 (Learning to Love the [Shallow, Divisive, Unreliable] New Media).

 

Volendo aggiornare al 2014 questa eterna questione, Fallows consiglia invece la lettura di due recenti saggi di LadyBits su Medium. LadyBits – spiega – è in procinto di lasciare Medium, ad un anno dal suo esordio, e questo spiega bene il problema che questi saggi affrontano e che l’ autore sintetizza.

 

Il primo si intitola Your Newfangled Media Algorithms Are Bullshit (“I vostri moderni algoritmi dei media sono una stronzata”, di Erin Biba). Sì, lo sono. Così come sarebbe stato una stronzata, una generazione fa, dire che la TV Guide  fosse venti volte meglio del The New Yorker solo perché aveva venti volte più abbonati.

 

Il modello di approccio di Biba  all’eterna faccenda monetizzazione/traffico.

 

“Nonostante io sia a favore di questo nuovo mondo di nuove imprese, in cui gente realmente piena di buone intenzioni sta cercando di capire come diavolo far soldi con il giornalismo in Rete, ho proprio bisogno di forzare ed esagerare, in questo momento, chiamando stronzate quasi tutti gli algoritmi…perché voi, ragazzi, proprio non capite l’importanza di un bravo scrittore.”

 

Quanto al secondo intervento, “LadyBits’ First and Last Year on Medium“, la sua fondatrice e curatrice, Arikia Millikan, scrive:

“Sarebbe confortante credere di vivere in un mondo dove i contenuti di qualità scelti da redattori esperti e scritti da persone di talento ottengano più clic del pettegolezzo sulle celebrità,  dei titoli terrorizzanti e dei venditori di fumo che rifilano alla prossima generazione schemi piramidali di  bufale tecnologiche. Ma questo non succede quasi mai…Medium ha smesso di curare una home page universale ove gli utenti, navigando, avrebbero potuto entrare in contatto con i migliori scritti del sito. Questo significava che tutti coloro che avevano intersecato i contenuti di LadyBits perché buoni, e che non li avrebbero di norma incrociati perché non alla ricerca di contenuti tecnologici in una prospettiva femminista,  non ci hanno trovato. Il nostro traffico è crollato di circa il 50%, così come i nostri ricavi”.

 

Naturalmente, ogni commento simile a questo che viene da chi scrive appare come una supplica. “Stiamo facendo un ottimo lavoro! Dovreste amarci di più!” – conclude Fallows – Ma sia che  ciò appartenga  al tono di questi scrittori, sia che appartenga al mio, questi saggi stanno mettendo a fuoco la versione odierna delle contraddizioni contro le quali  ognuno dei nostri predecessori  ha lottato. Ora forse troveremo un po’ di equilibrio e poi tutto cambierà un’altra volta.

 

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