Il 5G può attendere fino al 2022, almeno in Italia, e la Commissione Europea se ne dovrà fare una ragione. Il passaggio dei 700 Mhz dal digitale terrestre al broadband mobile e in prospettiva al 5G non ha ancora una tempistica nel nostro paese e mentre Francia e Germania hanno già fatto l’asta l’anno scorso, a Roma permane una situazione di attesa. Alla Commissione, che punta sul 5G entro il 2020 per creare nuovo business e competere a livello globale sull’Internet of Things, sono nervosi e ce lo dicono: niente di peggio di un 5G a macchia di leopardo nella Ue.
Quadro politico
Non ha cambiato il quadro in tema frequenze la visita italiana del vicepresidente della Commissione Ue al Mercato Unico Digitale, Andrus Ansip. Ieri Ansip ha chiuso il suo tour di incontri istituzionali al seminario “Digital Single Market: challanges and opportunities” organizzato dall’Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione fondata da Nino Andreatta), il think tank diretto dall’ex presidente del Consiglio Enrico Letta.
Il nostro paese non ha intenzione di anticipare al 2020 il passaggio dei 700 Mhz dal digitale terrestre alla banda larga mobile e in prospettiva al 5G, come chiede la Commissione, secondo cui il 5G è una questione cruciale (“crucial issue” l’ha definita Ansip) per rinverdire i fasti europei nel wireless dell’era 2G e 3G.
Anzi, l’Italia non ha fretta e vuole prendersi tutto il tempo possibile (e consentito dalla Ue) per la migrazione dei broadcaster dalla banda 700, ovvero fino al 2022. L’Italia è stata tra i paesi Ue che maggiormente hanno spinto per una deadline più morbida, dato che nel nostro paese la banda 700 è occupata al 60% da emittenti nazionali e locali, tutti con diritti d’uso in scadenza nel 2032 e 18 milioni di famiglie su 24 si affidano al digitale terrestre per fruire della tv in chiaro.
Peraltro ogni paese Ue può tardare il passaggio di due anni in presenza di giustificati motivi, come ad esempio il rischio di interferenze transfrontaliere.
Ma ce lo possiamo permettere?
Secondo la Commissione Ue no, tanto più che per competere a livello globale sul 5G l’Unione dovrebbe muoversi come un blocco unico per armonizzare lo spettro e creare standard tecnologici comuni (nella Ue ce ne sono 600 diversi per l’Internet of Things) che vanno definiti ora per essere pronti al lancio commerciale delle prime reti nel 2020, come pensano di fare ad esempio a Stoccolma.
Il pressing di Ansip
Ieri Andrus Ansip ha gettato acqua sul fuoco delle polemiche, dopo il botta e risposta sui 700 Mhz alla vigilia del suo arrivo con il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli (“L’Italia non può permettersi ritardi sul 5G” aveva detto il Commissario; “L’Italia non è in ritardo, c’è tempo fino al 2022 come stabilito dal Consiglio dei Governi Ue (in linea con il rapporto Lamy)”, ha replicato il Sottosegretario).
Ma il pressing della Commissione resta alto, in particolare per il timore di sforamenti dell’Italia nell’elaborazione del piano frequenze e nel difficile processo di coordinamento internazionale con i paesi vicini per mitigare le interferenze del digitale terrestre soprattutto ai danni di Francia, Croazia, Slovenia e Tunisia. C’è da dire che le polemiche fra il Governo e la Commissione vanno avanti da qualche mese e che già il Commissario Ue all’Economia Digitale Guenther Oettinger, in visita a Roma il 18 marzo, aveva detto che l’obiettivo è partire con il 5G nel 2020 e la storia dei 700 Mhz in Italia non deve diventare una “neverending story”.
5G e Internet of Things
“Il tema dei 700 Mhz è cruciale e riguarda questioni importanti come la corsa europea al 5G e nuovi mercati come quello delle connected cars (munite di sim 5G), che rischiano di non essere disponibili in certi paesi (per mancanza di reti compatibili con il nuovo standard) – ha detto Ansip al seminario dell’Arel – Ma non c’è alcuna tensione fra Commissione Ue e Italia sui 700 Mhz, anche perché la situazione su questa banda è diversa da paese a paese”. La questione, per Ansip, è più profonda, e riguarda non tanto i rapporti con l’Italia, quanto “Il futuro dell’Europa” e il suo ruolo nella corsa al primato globale del 5G. “Alcuni paesi, saranno pronti nel 2018, come la Corea del Sud – ha ricordato Ansip – Il Giappone vuole inaugurare le prime reti 5G per le Olimpiadi del 2020. So che qui in Italia ci sono delle difficoltà per liberare i 700 Mhz dal digitale terrestre, ma è importante fare presto”. Tanto più che il passaggio della banda 470-694 Mhz agli operatori mobili potrebbe fruttare, secondo il Commissario Ue, 4,5-5 miliardi di euro all’economia del nostro paese.
La posizione dell’Italia
La posizione dell’Italia sui 700 Mhz (al seminario Arel non c’era il Sottosegretario Giacomelli, che aveva incontrato Ansip in mattinata) è arrivata in una battuta del Commissario Agcom Antonio Nicita. Il tira e molla sulla data (2020 o 2022) della migrazione della banda 700 gli ricorda la querelle “che ho avuto con mia moglie prima di sposarci – ha detto Nicita – quando eravamo fidanzati, mi chiedeva sempre quando ci saremmo finalmente sposati. Io le dicevo, prima o poi ci sposeremo. Alla fine ci siamo sposati, e dopo tanti anni siamo ancora felicemente sposati”. Insomma, l’Italia si muoverà per liberare i 700 Mhz ma non si sa ancora quando. In tema frequenze Nicita ha ricordato poi che l’Italia, in vista del 5G, sta facendo molto in tema di “spectrum sharing” con la consultazione relativa al “Licensed Shared Access”, la delibera sui 3.6-3.8 Ghz e la sperimentazione sui 2.3-2.4 Ghz.
Digitale argomento sexy
Aprendo i lavori del seminario, Enrico Letta aveva detto che “Il Digital Single Market è cruciale per la competitività della Ue” e che il mercato unico digitale, di cui Ansip è titolare in seno alla Commissione “è un argomento sexy” che interessa tutti i cittadini europei, in particolare i giovani: “Abbiamo bisogno di una Commissione Europea che si occupi di temi comprensibili” e che stanno a cuore ai cittadini per evitare il disinteresse verso la politica, soprattutto da parte dei giovani. Soltanto il 35% dei giovani ha votato al referendum per la Brexit, e questo è un campanello d’allarme, per questo servono argomenti sexy.
L’impatto crescente di nuove soluzioni IoT e M2M sul settore energetico è sempre più concreto, ha detto Alberto Biancardi, Commissario dell’AEEGSI: “C’è un’enorme quantità di informazioni che arriva dalla rete elettrica – ha detto Biancardi – stiamo lavorando con Agcom per studiare” e ottimizzare questi flussi, in un contesto di crescente integrazione dell’offerta congiunta di gas, elettricità e acqua in un contesto di mercato fluido, dove un soggetto come Amazon ha mostrato interesse per l’acquisto di tre impianti Enel, dove ospitare i suoi server.
Per Giulio Napolitano, Professore di Diritto Amministrativo all’Università Roma Tre, “il Digital Single Market è un progetto ambizioso”, anche se il rischio è quello di parlare troppo “di consumatori e troppo poco di cittadini” e che si perda di vista il concetto di Unione (Digital Single Union) a vantaggio di una visione eccessivamente economica di Mercato (Digital Single Market). In attesa di nuove regole su Net Neutrality, Geoblocking e Data Protection, per Napolitano sarebbe opportuno inserire nel pacchetto del Digital Single Market anche i servizi postali alla luce della diffusione del digitale che ne ha cambiato i contorni in maniera profonda.
In linea con Napolitano, ha chiuso il seminario il presidente Agcom Angelo Cardani, secondo cui “il rapporto fra consumatori e cittadini è molto importante e le due strade sono molto interscambiabili”. In qualità di vice presidente del Berec, Cardani auspica un ampliamento del ruolo dell’organismo che raccoglie tutte le Autorità europee nei confronti della Commissione Ue. Nessun accenno dal presidente alla questione dei 700 Mhz, su cui si era espresso in occasione della Relazione annuale sollecitando un piano d’azione urgente.